L'Europa Centrale e Orientale: ermeneutica della multiculturalità o eterogeneità socioculturale

Fino a dove si estende l'Europa? Dov’è il suo centro e dove la frontiera? Concettualizziamo la modernità in funzione dello spazio o solo in funzione del tempo? Come definiamo le zone geografiche? Che importanza diamo ai luoghi o ai punti di incontro, alle zone di transito fra l'Ovest e l'Est europeo?

È possibile analizzare la modernità nelle regioni e nelle sottoregioni dell'Europa Centrale e dell'Est attraverso il concetto di liminalità, derivato dal limen greco, che significa l'incontro tra la terra e il mare, l'idea di porto, zona di transito oppure la cosiddetta ʻzona grigiaʼ [1]. Le culture frontaliere o transfrontaliere non sono analizzabili solo in funzione della geografia del luogo, così come non sono del tutto assimilabili alla struttura del pensiero nata nella vecchia statalità medioevale, oppure a quella costruita dallo Stato-nazione nella sua accezione occidentale. Ci sono regioni e città la cui storia, l’evoluzione culturale-giuridica e la struttura amministrativa non si sovrappongono né a quelle del centro né a quelle della periferia, e la loro delimitazione è arbitraria. La Boemia, la Silesia, la Moravia, ma anche la Slovenia, il Banato, la Transilvania, la Bucovina, attirano l'attenzione per la loro collocazione in zone di transito, là dove le ambivalenze diventano molto feconde sul piano della comunicazione intracomunitaria, della coscienza collettiva e delle creazioni culturali individuali o di gruppo. Ecco perché la concettualizzazione della modernità si può realizzare in funzione della geografia del luogo, cioè in funzione dei risultati della coabitazione di due o più comunità linguistiche e religiose.
Non si tratta di speculazioni in assenza di una storia, di ipotesi intese ad arricchire la memoria culturale contemporanea. Si tratta invece di spiegare e concettualizzare la modernità in funzione dei riferimenti sociali, culturali e comportamentali reali, di una pluralità già esistente nel momento in cui nascono i germi del nuovo mondo. Non si tratta quindi di inventare una teoria, ma di teorizzare le realtà. Da un dato premoderno, la multiculturalità degli spazi dell'Europa Centrale e dell'Est diventa un argomento-chiave nel concettualizzare la modernità. [2] Essa risulta dall'organizzazione e dall'amministrazione statale, dalle riforme, ma anche dalle filosofie politiche. Non è una costruzione completamente nuova, ma il ripensamento dell'eredità del passato in virtù delle aspirazioni di integrazione nel sistema dei valori dell'Europa del tempo. Nel caso delle regioni dell'Europa Centrale e dell'Est, la configurazione multiculturale e le identità ibride continuano a rappresentare una realtà di cui hanno tenuto conto sia le amministrazioni imperiali, sia le ideologie etnonazionali. È questo il motivo per cui, insieme alla diffusione dell'idea etnonazionale, la concettualizzazione della modernità, cioè i modelli del pensiero politico e societale, si sono confrontati con significati e discorsi diversi, con una serie di contraddizioni culturali e politiche.

Tradizione, modernità, multiculturalità: premesse ermeneutiche

Il concetto di multiculturalità è davvero un problema di interpretazione derivato dalle esperienze socio-comunitarie e culturali-linguistiche? Ci sono delle accezioni contraddittorie del concetto? Le amministrazioni imperiali di lungo periodo – e sulle loro scie anche gli storici concettuali – hanno ammesso che tutte le culture devono godere di una certa integrità, beneficiando di rispetto e non della riduzione al silenzio su criteri quantitativi. Gli ideali personali o quelli delle società hanno caratteristiche e ideali del luogo in cui si sono formati. Essi ricevono influenze esterne, ma sono anche custodi delle eredità culturali e storiche. La genesi del pensiero moderno si è spesso fondata sui tratti psicologici delle comunità regionali. Quanto alla questione delle società tradizionali, essa è diversa da quella liberale-democratica nel senso che la prima presenta antiche abitudini di coabitazione multiculturale, mentre la seconda è continuamente preoccupata dall'appianamento dei possibili conflitti intracomunitari. In quest'ultimo caso le difficoltà riguardano la conciliazione delle culture (ritenutesi superiori) con l'obbligo di trattare le persone come esseri uguali. [3] Questo è l'argomento utilizzato da Charles Taylor per mostrare che la genesi delle identità moderne sarebbe dovuta ai cambiamenti, alla fine delle gerarchie sociali: Taylor ritiene che l'idea di riconoscere le differenze fra i gruppi stia alla base dell'affermazione delle identità collettive. [4]
Filtrata dalle conoscenze relative al Nord America, una generalizzazione su questo tema è insufficiente, per non dire che non c'entra con la realtà. Allo stesso modo, è poco probabile che la teoria identitaria rifletta il nazionalismo in cui, secondo Taylor, si possa distinguere tra le sue parti buone e quelle cattive. Così come il differenzialismo non vede in tutti i casi il rispetto dell'altro, allo stesso modo l’identificazione con un gruppo o con un altro non richiede necessariamente di assumere un'ideologia nazionalista. La scoperta dei significati attribuiti nelle varie culture alle nozioni di etnico, nazionalità, nazione è importante in ordine al significato dato alla coabitazione di due o più culture, ma anche per capire i significati della modernizzazione e della modernità. Una volta comprese, le nozioni sopra indicate possono contribuire al superamento delle confusioni prodotte dai linguaggi che hanno propagato ideologie etnocentriche e nazionaliste. Quanto ai concetti di multi- e interculturalità, essi possono contribuire a spiegare i significati conferiti alla modernità dagli abitanti delle regioni dell'Europa Centrale e dell'Est.

L’etnonazione e lo Stato etnonazionale sono stati i prodotti del XIX secolo, nati sotto l'influenza delle ideologie rivoluzionarie e riformiste franco-prussiano-tedesche. Collocate nell'intervallo, le regioni in discussione hanno interferito sia con l'Occidente, sia con l'Oriente, prendendo in prestito una serie di valori da entrambe le culture e civiltà, e generando sia legami, sia conflitti con questi, costruendo se stesse alcune volte sotto forma di armonie, altre volte sotto forma di disarmonie interculturali. Per concettualizzare la modernità nelle regioni dell'Europa Centrale e dell'Est, bisogna analizzare attentamente le politiche della Casa di Asburgo e dell'Impero Austriaco del XVIII e XIX secolo. Gli spazi sopra indicati sono stati disputati per secoli da tre grandi imperi: asburgico, zarista e ottomano. Si tratta di società con eredità multiple, che amalgamano lingue e culture, di un melting pot che si è accentuato con l'inizio della modernizzazione, quando la circolazione delle persone è stata provocata dalle conquiste territoriali, dalle riorganizzazioni amministrative, dal progresso economico e dalle colonizzazioni. Tutti questi cambiamenti non c'entrano con la divisione etnica. D'altronde, l'inesistenza delle differenziazioni su criteri di lingua, territorio, storia, continuità di abitazione, mi porta a ritenere che la suddetta divisione non abbia giocato alcun ruolo prima del 1800. Una certa nervosità ha caratterizzato gli spazi evocati e i suoi abitanti in un lungo e tortuoso processo di emancipazione e modernizzazione, difficile da definire sul piano temporale con un’unica unità di misura.
Il sentimento di questo mondo è di non essere mai stato periferico, ma di aver fatto parte del core dell'Europa. La realtà lo dimostra, perciò bisogna evitare i giudizi deterministici, secondo i quali i fenomeni socio-economici o politici sono sempre importanti nel tracciare le differenze tra una regione e un'altra. [5] Molte delle città dell'Europa Centrale – anche se dal punto di vista amministrativo oppure economico non erano simili a quelle occidentali – erano comparabili con queste. Esse sono state e sono rimaste in buona parte prodotti culturali dell'impero austriaco, espressione di uno stato di civiltà per nulla inferiore a qualsiasi altra civiltà dell'Europa medioevale e moderna. Esse indicano delle particolarità generate da un altro tipo di statalità, dimostrano una predisposizione per prestiti e interferenze, ma non differiscono fondamentalmente dalle strutture urbane occidentali.

Eredità culturali molteplicemente codificate

Praga, Budapest, Bratislava, Novi Sad, Gorizia, Trieste, Venezia, Cracovia, Leopoli, Timisoara, Černivci, si sono costruite e inserite nella civiltà moderna come identità a sé stanti, per il loro plurilinguismo  e le convergenze religiose cattolico-protestanti, ortodosso-cattoliche  (l'esempio della religione greco-cattolica), cristiano-giudaiche, cristiano-musulmane. In altre parole, per un bagaglio culturale molteplicemente codificato. Ciò conferisce loro sia delle similarità con le città vicine dell’Europa dell'Ovest, sia numerosi aspetti esotici. Da qui risulta anche la conclusione che la modernità della zona in discussione coincide con le scoperte scientifiche, tecniche, industriali e le competizioni commerciali, ma anche con i movimenti letterari, artistici e musicali d’avanguardia, che propagano tutti l'unità nella diversità. A loro volta, le città del Sud-Est europeo come Bucarest, Belgrado, Sofia, Sarajevo, Salonicco, si sono definite per la coabitazione di diverse comunità religiose e non solo per la loro collocazione geografica. In nessun modo per il nome di Balcani, per la condizione di avamposto del cristianesimo europeo oppure per quella di fortezze dinanzi all'avanzamento della civiltà ottomana, ritenuta arretrata. Piuttosto per il conservatorismo, per le transizioni lente da un tempo storico ad un altro. Oppure, per gli esperimenti.
La ricerca della modernità attraverso la multi- e l’interculturalità facilita un'altra conoscenza della storia sociale e intellettuale, ma anche la concettualizzazione della modernità attraverso i trasferimenti culturali e il significato transnazionale delle identità urbana e regionale. Lo storico Moritz Csáky ha dimostrato in maniera eccellente nei suoi studi il legame profondo tra la vita politica ufficiale e quella generata dalle diverse espressioni culturali, artistiche, letterarie, storiche, filosofiche. [6] Si tratta di un legame che si iscrive nel quadro dell'evoluzione sociale del XVIII e del XIX secolo, periodo in cui si sono ammodernati i riflessi di pensiero delle collettività umane delle regioni in discussione. Il mondo dell'Europa Centrale e dell'Est si è identificato con le proprie peculiarità comportamentali, trasmesse da una generazione all'altra. Da una parte, ha accettato il cambiamento. Il ricordo e le corrispondenze culturali rimandano ad uno spazio delle esperienze e ad un orizzonte di attesa che si ritrovano nel codice culturale multiplo delle popolazioni delle regioni dell'Europa Centrale e dell'Est. La ricerca delle essenze, la problematizzazione, diventano molto importanti, perciò ogni intenzione di «ricontestualizzare» le creazioni culturali – letterarie, musicali o artistiche – contribuisce a far comprendere le mentalità, le strutture di pensiero dell'individuo e delle collettività. Anche là dove i cambiamenti sembrano avere qualcosa in comune o stimolano la ricezione e la moltiplicazione delle idee etnonazionale e nazionale, la valutazione e la concettualizzazione della modernità devono tenere conto delle peculiarità del luogo e della storia, dell'eterogeneità culturale e dei riferimenti ambivalenti.

Le creazioni e le eredità culturali molteplicemente codificate sono sopravvissute fino ad oggi su un vasto territorio dell'Europa. Nell'Europa Centrale e dell'Est, esse sono parte dell'identità. Associamo loro gli elementi dovuti alle grandi riforme burocratiche dello Stato asburgico dal quale provengono: la cultura comune ritrovabile nella «germanità austriaca»; le istituzioni formatrici di riflessi comportamentali; le denominazioni imperiali che indicano la subordinazione amministrativa e giuridica, economica e politica; il rapportarsi alla casa regnante, vista come simbolo della cittadinanza; la lingua tedesca pigmentata con espressioni provenienti da più lingue comunitarie e soprattutto dal ceco, dal polacco, dall'ungherese e dall'italiano; il plurilinguismo. Tutto indica il fatto che gli individui e le collettività delle regioni sopracitate hanno acquisito modelli simili; una politica, una giustizia e un'economia basate sugli stessi principi. Una parte di questi rinnovamenti rappresenta il successo delle riforme sognate sin dal 1765 da Giuseppe II, accettate da Maria Teresa e che il Consiglio di Stato della Casa di Asburgo, dell'Impero austriaco più tardi, hanno messo in pratica. Esse sono il risultato di lunghe dispute e hanno rimodellato il sistema introdotto da Haugwitz nel 1749. [7] Ci fu un contesto sociopolitico in cui, accanto agli elementi comuni ereditati dalle popolazioni dell'impero, furono imposti cambiamenti amministrativi e finanziari.
Le esperienze riformistiche si fecero dapprima in Boemia, poi in Ungheria, in Banato e in Transilvania. Esse furono il risultato di idee radicali. In occasione del viaggio del 1773 in Banato e in Transilvania, l'imperatore Giuseppe II raccolse informazioni sull'amministrazione civile e militare, sulla situazione finanziaria e sul modo con cui si percepivano le tasse, e formulò il programma delle sue riforme in cui era prioritario introdurre il codice civile e il codice criminale, la riforma della magistratura, i catasti, l'archiviazione dei documenti, il controllo medico, la regolamentazione delle attività delle istituzioni rappresentative e dei loro funzionari, la regolamentazione del funzionamento delle corporazioni artigianali dell’epoca, la creazione di manifatture e fabbriche in funzione delle materie prime estratte, l'aumento dei salari dei funzionari e l'annullamento dell'obbligo dei cittadini di mantenerli ecc. [8] Anche in questo caso, le similitudini della vita degli abitanti diventarono più forti delle differenze, e ciò spiega come è avvenuta la prima modernizzazione delle regioni evocate.

Per una nuova concettualizzazione della »modernità zonale»

La genesi delle nazionalità, delle nazioni e degli stereotipi nazionalisti fu accompagnata nel corso del XIX secolo dal desiderio di molti intellettuali e politici di evidenziare in modo positivo «il caleidoscopio variopinto rappresentato dalla mescolanza dei popoli». La letteratura, la storiografia, la filosofia politica, la musica e le arti visive si sono interessate al fenomeno dell'amalgamazione culturale, fenomeno che ha offerto e sta ancora offrendo una nota di esotismo alle regioni dell'Europa Centrale e dell'Est. È chiaro che la loro modernità si deve da una parte alla ricezione delle idee occidentali, e dall'altra parte ai progetti di una statalità diversa da quella dell'Europa dell'Ovest. La multiculturalità spiega le realtà esistenti. La sua concettualizzazione e implicitamente quella della modernità nelle regioni dell'Europa Centrale e dell'Est non ha a che fare né con l'utopia, né con il mito asburgico, né con il mito dell'imperatore, ma con le realtà storiche. Ha un legame profondo con l'inimitabile «eterogeneità delle culture» della zona. [9]
Qualsiasi teoria che mira a concettualizzare la modernità nell'Europa Centrale e dell'Est dovrà distanziarsi dai modelli interpretativi presi in prestito dalle scuole post moderne contemporanee, ma anche da quelli subordinati alle ideologie etniciste e nazionaliste. L'analisi della multi- e dell’interculturalità negli spazi in discussione è parte dell'investigazione storica obbligatoria, che spesso gli studi che partono dall'attuale configurazione statale e politica purtroppo ignorano. Collocate sul confine tra l'Occidente e l'Oriente, questi spazi hanno beneficiato delle influenze di entrambe le civiltà, quelle occidentali prevalendo su quelle orientali nel corso dell'epoca moderna. Alcuni storici le hanno identificate nelle strutture organizzative o nella vita socio-economica [10], gli altri, nelle idee culturali e nei valori delle comunità religiose e linguistiche. [11] La concettualizzazione della modernità zonale dovrà prendere in considerazione i contributi delle amministrazioni statali che hanno realizzato il progresso socio-economico e organizzativo, così come è avvenuto nel caso della Casa di Asburgo, dell'Impero Austriaco e della Monarchia Austro-Ungarica. Ci sono sufficienti esempi che fanno vedere che gli imperi Ottomano e Zarista hanno anch'essi riformato lo Stato, ispirati dalle trasformazioni occidentali del periodo moderno. In ogni caso, non furono queste le cause dell’arretratezza dell'Europa Centrale e dell'Est, come si è spesso affermato.


Victor Neumann
Traduzione dal romeno di Afrodita Cionchin
(n. 6, giugno 2014, anno IV)

NOTE

1. «La nozione di liminalità può essere un importante strumento concettuale nella scelta non solo del modo in cui si producono / possono verificarsi trasformazioni culturali (e cognitive), ma anche del modo in cui queste trasformazioni possono essere adattate in un modello pacifico». Cf. Mihai Spăriosu, Studiile interetnice contemporane în Europa Centrală. Observații interetnice preliminare, nel vol. Armonie și conflict intercultural în Banat și Transilvania, Coordonatori Vasile Boari și Mihai Spăriosu, Editura Institutul European, Iași, 2013, pp. 66-67.
2. Si veda Peter Niedermüller, Der Mythos der Unterschieds: vom Multilikulturalismus zur Hibridität, nel vol. Habsburg Postcolonial, ediție de Johannes Feichtinger, Ursula Prutsch, Moritz Csáky, Studien Verlag, Insbruck, Wien..., 2003, pp. 69-81.
3. Amy Gutmann, Introduction to Charles Taylor et alii, Multiculturalism. Examining the Politics of Recognition, Princeton University Press, 1994, Edited and introduced by… p. 5.
4. Ibidem, p. 30.
5. Simili differenziazioni nel volume The Origins of backwardness in Eastern Europe: economics and politics from the Middle Ages until the early twentieth century, Edited and with an introduction by Daniel Chirot, University of California Press, 1989, pp. 53-92.
6. Moritz Csáky, Ideologie der Operette und Wiener Moderne. Ein kulturhistorisches Essay, Boehlau Verlag, Wien, 1997; cf. şi Idem, Das Gedächtnis der Städte. Kulturelle Verflechtungen-Wien und die urbanen Milieus in Zentraleuropa, Boehlau Verlag, Wien, 2010.
7. Si veda l’eccellente libro di Derek Beales, Enlightenment and Reform in Eighteenth Century Europe, I.B. Tauris, New York, 2011, p. 162.
8. Lista delle misure necessarie e utili per essere introdotte in Transilvania in Ileana Bozac, Teodor Pavel, Călătoria împăratului Iosif al II-lea în Transilvania la 1773, Vol. I, ediţia a II-a, Editura Academiei Române, Cluj-Napoca, 2007, pp. 204-205.
9. Moritz Csaky, Ideologie…,
10. Si veda Daniel Chirot (coord.), The Origins of Backwardness in Eastern Europe, University of California Press, 1989.
11. Victor Neumann, Multiculturality and interculturality. The Case of Timișoara, in Hungarian Studies (Hungarian Academy of Sciences), Budapest, 21/1, 2007, pp. 3-18; Idem, Timișoara between „Fictive Ethnicity” and „Ideal Nation”. The Identitity Profile during the Interwar Period, în Balcanica (Serbian Academy of Sciences and Arts), Belgrade, XLIV, 2013, pp. 391-412; Idem (coordinatore), Identitate și cultură. Studii privind istoria Banatului, Editura Academiei Române, București, 2009, pp. 25-38; 38-48; 77-89; 211-229; 325-347; Idem, Interculturalitatea Banatului/Die Interkulturalität des Banats, in corso di pubblicazione.