Vladimir Ghika riconosciuto martire di Cristo da Papa Francesco

Di lui, Jacques Maritain aveva detto: «Principe nel mondo e, per una vocazione più alta, Sacerdote di Cristo». Ora che lo scorso 27 marzo la Chiesa Cattolica ha riconosciuto il suo martirio offerto a causa dell'odio alla fede e lo eleva alla gloria degli altari con la solenne beatificazione, possiamo proclamarlo: «Principe, Sacerdote e Martire glorioso di Cristo».
Si tratta della nobilissima figura di Vladimir Ghika: suo nonno, Gregorio Ghika X, fu l'ultimo re della Moldavia (1849-1856). Suo padre, principe e generale, Giovanni Ghika, era stato ministro della Difesa, e poi degli Esteri dì Romania, poi ministro del suo governo a Costantinopoli presso il sultano, a Vienna, a Roma e a S. Pietroburgo in Russia. Sua madre era, una illustre nobildonna francese. Lui, dunque tutto di "sangue blu», VIadimir Ghika, nacque a Costantinopoli il 25 dicembre 1873, e battezzato nella religione greco-ortodossa, come i suoi antenati paterni. Era dotato di acuta intelligenza e forte volontà, fin da piccolo. Nel 1878, Vladimir arriva in Francia e, al termine dei primi studi, percorre tutta la carriera scolastica, prima al Liceo di Tolosa, quindi all'Università di Parigi, dove tutto lo interessa e tutto approfondisce: lettere, filosofia, diritto, scienze e medicina.
Non ha ancora vent'anni e comprende che la religione dei suoi padri non gli basta, perché nata dallo scisma e Cristo non può essere diviso. Lui da, più anni sì sentiva cattolico, ma ora comprende che lo scisma in cui di fatto vive, non si sarebbe potuto sanare senza riconoscere il primato anche di giurisdizione della Cattedra di Pietro a Roma e rientrare in grembo alla Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo. Sereno e deciso, il 15 aprile 1902, a 28 anni, Vladimir si fa cattolico, nella luce, e nella pace piena dell'anima, finalmente ritrovata.Già laureatosi in filosofia e in legge, ora si laurea pure in teologia con l'intento di farsi sacerdote cattolico: nobiltà, studi, amore, tutto il suo genio per uno solo: Gesù Cristo! E riportare a lui molte anime, anche dall’ortodossia, nella Chiesa Cattolica. Va a raccontarlo al Papa Pio X e a chiedergli consiglio. Il santo Pontefice ritiene che per lui sia più utile rimanere laico che farsi prete, per promuovere il ritorno degli scismatici alla Chiesa Cattolica, a causa del prestigio dei suoi nobili natali.

Alter Christus

Obbedisce, Vladimir, e pensa che il modo migliore per indurre i suoi a riunirsi alla Chiesa Cattolica sia quello di illuminarli con la carità più ardente verso Dio e verso i fratelli, la vera carità teologale, di cui Gesù ha detto: «Da questo riconosceranno che siete miei amici, se vi amerete l’un l'altro, come io vi ho amati» (Gv 13,35).
Nel 1904 comincia ad assistere i malati all'ospedale di Salonicco, retto dalla Figlie. della Carità. Quindi, a Bucarest, fonda un centro medico e ospedaliero, con le medesime suore. Appare un uomo di Dio, ancora di più nel luglio 1913, quando durante la seconda guerra balcanica organizza un ospeda­le per la cura dei colerosi e si prodiga nell'assisterli, fino allo sfinimento. Altrettanto fa per ogni dove, durante la Prima guerra mondiale. Davvero si rivela «il cattolico» della carità eroica! Ma lui si sento chiamato al sacerdozio e chiede a Dio di aprirgli la via.
Ritorna a Parigi nel 1922 e si stabilisce a Auteuil, nel convento benedettino di S. Maria, dove si prepara al sacerdozio. Ha 50 anni ed è conosciuto in tutta Europa: per la sua nobile stirpe, per la sua conversione dall'ortodossia al Cattolicesimo, per i suoi scritti e per la sua arte. Con articoli densi di fede e di luce collabora a Le correspondant, a La Revue heb­domadaire, a La Revue des jeunes, a La documentation catholique. Stampa più volte il libro La visite des pauvres, e un altro testo, Pensées pour la suite des jours,che diventa un best seller. Sono testi pieni di Gesù, di ragioni forti per credere in lui e per amarlo.
Finalmente, il 7 ottobre 1923, con la benedizione di Papa Pio XI in per­sona, il principe Vladimir Ghika è ordinato sacerdote nella chiesa dei Lazzaristi a Parigi, alla presenza di numerosi re e principi d'Europa venuti apposta per onorare il nobile collega che sale all’altare di Dio. Quel giorno egli udì nello spirito le parole di Gesù – che scrisse nei suoi Pensées: «O prete, come oserai sacrificare Me veramente e totalmente sull'altare se prima non avrai veramente e totalmente sacrificato te stesso?». Qualche tempo dopo, confida: «Potete immaginare ciò che ho provato questa mattina nel trovarmi proprio là dove Dio aveva permesso che io divenissi uno dei suoi sacerdoti e dove mi è stato dato di trattare di persona il Corpo e il Sangue del mio Redentore, e di collegare le aspirazioni di tutte le vostre anime  e tutte le vostre intenzioni con i meriti dei suo supremo Sacrificio».

Apostolo senza  limiti

Inizia il periodo più eroico della sua esistenza. Con atto notarile, rinuncia alla sua parte dell'ingente patrimonio familiare, per essere libero di dedicarsi tutto a Dio e alle anime, per mescolarsi, come farà pressoché subìto, con i poveri più poveri, con gli atei, i bestemmiatori, per condurli a ogni costo a Gesù Cristo e dare loro la consolazione divina.
Va a abitare a Villejuif, poco lontano da Parigi, al centro della zona "rossa”: in una baracca abbandonata apre una cappella con il SS.mo Sacramen­to e dietro edifica la dimora per sé, povero in mezzo al poveri, soprattut­to ai poveri dì Dio. La nobiltà delle sue origini cui ha rinunciato, la sua serenità imperturbabile e la sua bontà senza limiti, la maestà del suo por­tamento in primo luogo il suo spirito di preghiera e il suo amore ardente a Gesù, gli spianano la via in tante anime. Sì vedono conversioni tali che solo un particolare intervento della Grazia di Dio può averle operate.
Vinte le prime diffidenze, ricorrono a lui ì profughi politici, ì miserabili, ì ragazzi di strada cresciuti nel vizio e negli stenti. La povera cappella, dove lui prega e fa penitenza, vede innumerevoli anime che torna­no a Dio. Ne viene informato il Cardinale Arcivescovo dì Parigi, il quale gli offre il rettorato della chiesa degli stranieri in rue des Sèvres, e lo costringe ad accettare. Così don Vladimir ritorna in mezzo all'alta socie­tà da cui aveva voluto distaccarsi: esuli e perseguitati politici di tutti i Paesi, e poi uomini della cultura, della finanza, della politica, pure bisognosi spesso di ritrovare il senso della vita.
Riannoda antiche amicizie – J. Maritain, Paul Claudel, Henrí Bordeaux, François Mauriac – e ne stringe di nuove con diplomatici, artisti, scritto­ri. Per tutti costoro prega e fa penitenza, e annuncia Gesù, l'Uomo-Dio, ­che unico al mondo risponde in modo definitivo e adeguato a tutti i perché dell’esistenza, in  ogni ambiente e in ogni tempo. Quando parla, don Ghika viene ascoltato: sono colpiti a fondo dal suo Cattolicesimo, davvero grande, sublime, divino: da Gesù che non è una fabula bella per i bambini buoni, ma la Verità assoluta ed eterna.
Nell'autunno 1931, Pio XI, che lo conosce di persona, lo nomina «protonotario apostolico» e gli affida prestigiosi e difficili incarichi apostoli­ci per il mondo, in Giappone, presso l'imperatore; poi a Buenos Aires, a Manila, a Budapest per i Congressi eucaristici, dove spesso si trova a fianco dei Card. Eugenio Pacelli, segretario dì stato e futuro Papa Pio XII; infine in Brasile in mezzo a tanta attività e accanto a uomini illustri della scena mondiale, Mons. Ghika pone al centro di tutto la santa Messa,  la preghiera prolungata davanti al Tabernacolo, il Rosario (interminabile!) alla Madonna, e l'annuncio di Gesù. Scrive sui più diversi giornali dei mondo articoli dì mirabile bellezza e saggezza evangelica, tiene conferenze e corsi di esercizi spirituali a uomini dì cultura, a studenti, a preti o religiosi, circondato sempre di più, in ogni ambiente, da un fascino singolare.
Nell’estate 1939 si reca a rivedere i suoi parenti in Romania: si trova a contatto diretto con le terribili prove della sua patria dovute prima alla guerra, quindi all'invasione dei comunisti. Chiede subito di rimanere lì per portare Gesù, in quell'ora terribile per il suo popolo. Comincia a occuparsi dei prigionieri politici, presso diversi governi; poi, sfidando comunisti e nazisti, percorre il Paese a tenere conferenze, per illuminare e rafforzare la fede, per convertire molti dall'ortodossia o dall’indifferenza e dall'ateismo alla Chiesa Cattolica. Durante i terribili bombardamenti aerei del 1944, non si allontana da Bucarest, come un vero miles Christi per assistere i più sofferenti nell'ora dei pericolo e della morte, con ­il conforto del Vangelo e dei Sacramenti.
Adesso più che mai, si rende conto che solo il Sacrifico di Gesù, ripre­sentato nella Messa, salva le anime. Tutto attinge dalla Messa quotidiana, vero atto di unione con Gesù immolato al Padre. Discende dall'altare ardente di uno stile e di una parola che converte i peccatori più induriti, anche solo in un breve colloquio con lui. Inorridisce del peccato volonta­rio e combatte il peccato con la, preghiera, la penitenza, con lunghe ore passate in confessionale a illuminare e a: trasmettere il perdono di Dio. Chiama più persone che può all’adorazione eucaristica: un giorno, ci sono anche due protestanti che, dopo averlo visto pregare, gli chiedono di aiutarli a farsi cattolici,
In Francia, per il mondo dove è passato, in Romania, dove è giunto per l’ultima tappa, si rinnova nelle anime che lo incontrano quanto si diceva del S. Curato d'Ars: «Ho visto Dio in un uomo».

Supremo sacrificio

Nel 1948, quando la Romania cade sotto il regime comunista, Mons. Ghika avrebbe potuto riparare in un Paese dell'Europa libera, ma lui rifiuta anche davanti al giovane re Michele costretto a partire per l'esilio e che vorreb­be portarlo con sé. Rimane,consapevole di andare incontro, sotto “falce e martello”, a persecuzione e forse alla morte. Sacerdote di Gesù, in mezzo ai banditori dell'ateismo; nemico dei soprusi e della violenza, di fronte ai despoti tra i più feroci della storia, quale altra sorte può attenderlo?
Fino al 1959, infischiandosene dei pericoli, fa il cappellano delle Figlie della Carità che lui stesso aveva chiamato a Bucarest, diversi decenni prima. Celebra la Messa, poi passa la giornata tra malati, perseguitati e afflitti di ogni specie; battezza bambini e adulti che si convertono in gran numero, amministra ì Sacramenti ai moribondi, predica e nessuno lo ferma mai, neppure con le minacce, nonostante la sua età ormai avanzata. Allora, dalla polizia comunista di Ceausescu viene costretto al domicilio coatto sotto strettissima sorveglianza, perché «ciò che predica e fa (Gesù Cristo) è pericoloso alla rivoluzione». Poi viene rilasciato, ma circondato da spie che non lo perdono mai d’occhio e cercano di continuo un pretesto per arrestarlo e finirlo, uomo e prete così scomodo quale egli è.
Il 19 novembre 1952, viene arrestato come «reo di turbamento dell’ordine pubblico». Processato dal solito «tribunale del popolo» dei senza-Dio, anche se ha 80 anni, viene condannato – innocente di tutto – a 30 anni di galera! Nel forte di Jilava, dove viene rinchiuso, è seviziato in modo tale che basterebbe questo a infamare in perpetuo regime e uomini che lo fecero. Lo sostiene la sua fede invincibile e il suo amore ardente a Gesù e alla Chiesa, la sua consacrazione alla Madonna, come aveva scritto nei Pensées: «L’anima nell'ora delle tenebre interroga Dio al fondo di se stessa: “Che cosa vuoi, mio Signore? Che cosa vuoi che io faccia?”. Lui, Gesù in persona, risponde: “Io voglio te, solo te”». Così giunge l’ora del sacrificio supremo: il 17 maggio 1954, a seguito delle numerose e crudeli torture degli aguzzini comunisti, Mons. Vladimir Ghika finisce di soffrire per raggiungere il premio eterno.
Ora il principe, il sacerdote e il martire di Cristo sale alla gloria degli altari.

Paolo Risso
(n. 5, maggio 2013, anno III)

Bibliografia
P. Gherman, Vladimir Ghika, in: F. Lelotte, Convertiti del nostro tempo, vol. 2, Vita e Pensiero, Milano 1957, pp. 197-21;
AA.VV., Vladimir Ghika, articoli tratti dal Bollettino dei Canonici Regolari della Madre di Dio, Lagrasse, Francia.