Vasile Pârvan/2. Il profetico spiritus rector dell'Università romena di Cluj-Napoca

Vasile Pârvan – aldilà della sua importantissima opera di specialità, del suo ruolo di fondatore dell'archeologia moderna romena e di istituzioni culturali rimarchevoli, in Romania e all'estero – rimane il fondatore dell'Università di Cluj, lo spiritus rector del più importante istituto superiore di studio, educazione e ricerca di Transilvania. Nella sua grande opera di donazione alla comunità, opera considerata una vera missione, il pensatore «ha tracciato le grandi linee delle fondamenta» dell'Università; «egli ha lavorato alla selezione dei suoi dipendenti; egli ha stabilito la sua missione in forme magistrali; egli ha inaugurato, per primo, la sua attività, come professore, tramite la profetica lezione su Il dovere della nostra vita» (Onisifor Ghibu).
Onisifor Ghibu (preside, nel 1928, della Facoltà di Lettere e Filosofia), in occasione del decimo anniversario dalla fondazione dell’Università di Cluj, considerava che il dono più idoneo per gli studenti dell'Alma Mater fosse la lezione di vita e di moralità «con i pensieri e le aspirazioni del più profondo dei pensatori, dei divulgatori e dei fondatori» dell'istituzione, termini con cui si riferiva, certamente, a Vasile Pârvan. Riportiamo anche noi oggi all'attenzione lo stesso messaggio profetico del grande creatore e fondatore.

La proiezione verso il futuro

Taluni si possono domandare che senso possa avere ancora oggi, a distanza di un secolo circa, il patetico messaggio enunciato poco tempo dopo la Grande Unione da uno spirito superiore, che tuttavia visse in un tempo finito e in un luogo ben definito. Però, dopo la lettura di alcune pagine di Il dovere della nostra vita ognuno si può rendere conto che il testo costituisce una lezione intellettuale perenne che trasmette idee generalmente valide, universali, alcune con caratteristiche di precetto. Il grande merito del messaggio di Pârvan è la sua proiezione sin dall'inizio verso il futuro.
Il testo si articola, in modo evidente, su due piani: il primo è marcato dalla disillusione per un presente che sarebbe potuto essere sublime, e che però era segnato da difetti profondi, da un «materialismo» irrimediabile, da meschinerie e dal desiderio di arricchimento». Il secondo piano è quello della speranza e della fiducia in un futuro destinato alle giovani generazioni, che dovevano essere plasmate secondo l'idea di una Università autentica, rappresentata dalla nuova istituzione culturale di Cluj.
Vasile Pârvan si erge come un demiurgo, al pari, nella sua dimensione, di personaggi simili a quelli della mitologia greca e romana, capace, insieme agli spiriti più nobili, di annientare dalle fondamenta un mondo cattivo, malandato, malriuscito e cambiarlo con uno ideale. Per lui i popoli vivono tramite i creatori di nuovi pensieri e tramite quelli che si ribellano, scontenti del tangibile e del quotidiano; e la scuola ha il dovere di dare alla società uomini in cui arda la fiamma delle idee, anche se il quadro sociale è sfavorevole; a plasmare simili uomini il ruolo principale spettava, secondo lui, all'Università, obbligata da un «dovere» superiore a procedere alla «grande riforma spirituale». In contrasto con quelli «arrivati all'apice della piramide sociale», senza alcun ideale morale, con «lo smarrimento dei contemporanei» accecati dall'illusione del denaro e dallo spirito di gregge, il visionario ritorna all'Università Nazionale della Dacia Superiore (come egli stesso ha nominato l'Istituzione), considerata una «confraternita universale». Si tratta di una comunità di persone alla pari, il cui dovere è quello di di scegliere e coltivare «gli spiriti superiori», di eliminare la mediocrità e l'incapacità. Lo spirito elitista si fa palese, però si giustifica tramite due correzioni: 1. L'Università è per propria essenza un empireo degli spiriti eletti; 2. ogni uomo ha un suo posto dove può agire nella comunità perché «nessuna intelligenza umana, per quanto modesta sia, può essere completamente inutilizzabile per le mete della società»; e il dovere dell'insegnante è quello di «accendere la scintilla» idonea nell'uomo idoneo. Dall'opera di istruzione e di educazione morale superiore dell'Università risulterebbe una generazione capace di «purificare» la società, adeguata a capire lo specifico della civiltà romena rurale ancestrale, chiusa in un guscio difensivo che nasconde le sue profondità, accessibili solo ai visionari e ai generosi.

Esortazione alla nazione romena: «Il pazzo giubilo di trovare l'armonia»

Vasile Pârvan fa anche un'analisi del nazionale, del concetto e della realtà chiamati «nazione romena», attraverso il filtro di una lucidità razionale, cinte da un'aureola di spirito ardente. Vuole contribuire a scatenare il passaggio dallo «stato vegetativo-etnografico» allo stato «culturale-creatore», cioè da un certo isolamento nazionale contadinesco alla tappa del generalmente umano ed universalmente valido. In questo senso, l'intellettualità non si può realizzare su un piano culturale superiore se non tramite un «allenamento spirituale» negli ambienti culturali di altre nazioni, vivendo pienamente l'esperienza universale e tutti i grandi modelli di creazione. Con tutto ciò, all'anima romena  si confà – considera il grande pensatore romeno – solo l'idea romana diventata «idea-madre» della nostra cultura. Essa proviene dalla profondità della nostra origine, tramite il sigillo eterno della Roma imperiale, però fatta risorgere nel XVII secolo dai cronisti moldavi e rinvigorita permanentemente, con vari mezzi, seguendo inizialmente il modello italiano e successivamente quello di Francia. In tale contesto, lo storico erige un inno di gloria alla latinità, da dove verrebbe la linfa del «supremo splendore della cultura creatrice romena».
Da questa linfa, vivificata dai modelli tedeschi continentali e anglo-americani si potrebbe arrivare, con volontà congiunta e pulita, a vivere «l'idea pura» dall'intera nazione, iniziando primamente i giovani al «movimento del mondo delle idee». In tal senso, la creazione umana, a cui avrebbero accesso gli «ispirati», potrebbe esprimere la vita vera, uscita da un «demone interiore» e dal «pazzo giubilo di trovare l'armonia» tra pensiero (idea) e materia inerte (in tal modo sottomessa). Nello stesso senso, gradualmente, con la vittoria dell'idea pura, si passerebbe dalla condizione di meno-uomo all'uomo e dall'uomo a Dio. Coloro che sono chiamati a percorrere tale strada sarebbero i giovani, specialmente preparati da professori in possesso della virtù di arrivare alle stelle, tra gli dei, tramite il mistero della creazione. Tutta l'arringa di Pârvan si adegua al contenuto della massima latina Per aspera ad astra (Per vie difficili si arriva alle stelle). È un messaggio profondamente spiritualizzato, che sembra incarnare l'idea pura, come una bianca colomba, ingenua, però palpabile. Per Vasile Pârvan il mondo delle idee ottiene forma e volume, esiste veramente, e parafrasando il salmo di Arghezi – si potrebbe, forse, toccarlo ed esclamare: c'è!

Un discorso realista e umanista

Il grande storico trasmette – aldilà degli slanci post-romantici della sua filosofia – un profondo discorso realista e umanista. In contraddizione alle apparenze, su un piano secondario e nascosto, stanno la moderatezza e l'equilibrio (Aurea mediocritas ossia «la via di mezzo è quella d'oro»), raddoppiate da una sorprendente modernità. Il suo elitismo non è mai accompagnato dal disprezzo verso il popolo non educato e gregario, che può essere e dev'essere forgiato da leader ben istruiti e disinteressati materialmente. Militando per una comunità dei pari, rappresentata dall'Università, il maestro non accetta né «l'uniformità del pensiero» né la «regolamentazione» della creazione. Egli invece agogna con tutta la forza del suo essere la formazione di quelle persone che «apprezzano gli spiriti», la  scansione della «meccanizzazione industriale» del mondo delle idee, la costituzione di un'università completamente rinnovata, desiderosa di ricercare la verità, il sublime della creazione, l'intesa del bello, la descrizione di spiegare il mondo. La chiave della riuscita è per Vasile Pârvan la «forza del carattere» («l'unica vera nobiltà nel mondo dei morituri») che vuol vedere moltiplicata in tutti i suoi prossimi, soprattutto in quelli chiamati a guidare gli altri e nominati a occupare posti di decisione.
Al centro dell’universo collettivo dell’erudito si trova la nazione («Lo scopo supremo della nostra lotta è la spiritualizzazione della vita del grande organo sociale e politico e cultural-creatore che è la nazione»), però una nazione animata da spirito e idee, che convive degnamente tra le altre nazioni. In opposizione alle grandi tentazioni, non si lascia mai scivolare nel nazionalismo e nell’esclusivismo nazionale. Egli apprezza realisticamente il mondo rurale romeno cui il «seminatorismo» aveva eretto statue vuote e prive di consistenza e cui  (i) grandi scrittori hanno cantato, dedicato «elogi» (Lucian Blaga, Elogio al villaggio romeno) e «lodi» (Liviu Rebreanu, Lode al contadino romeno), apprezzati come valori letterari, però lontani dal mondo reale. Nello stesso spirito, Pârvan critica, adoperando altre parole, «le forme senza fondo», di coniazione maioreschiana o fa originali appelli alla sincronizzazione della nostra cultura con quella occidentale, in chiave lovineschiana. Il segreto della vita eterna della nazione è, per lui, «l’universale umano» e, per questo, «la confraternita universitaria» deve convertire i romeni al «culto dell’idea pura». Egli combatte anche le esagerazioni del «dacismo» e dell’autoctonismo ancestrale, collocato da alcuni fuori dei limiti temporali e in tal senso è un duro critico ante litteram del protocronismo: non desidera una «romenizzazione feroce» di spirito «vegetativo etnografico», ma una continua umanizzazione nel sublime umano universale, né l’elogio della cultura superiore di una nazione ma la conoscenza della cultura di quante più nazioni. Per lui la creazione umana autentica significa prorogare la creazione divina, e la personalità creatrice, padrona delle idee, si colloca al di sopra delle forme che restano ad appannaggio degli epigoni, dei sognatori degli illusori tempi di una volta.

L'Università, democrazia dello spirito che costruisce un mondo nuovo

Questa lotta immane per la spiritualizzazione della vita deve diventare – lo dice il maestro – lo scopo della confraternita universitaria napocense. L’Università ha il ruolo di portare «più intelligenza» (a scapito del materialismo volgare e freddo che corrompe le anime), contribuendo così alla liberazione della forza latente della nazione romena nel concerto delle nazioni del mondo. Vasile Pârvan è disilluso e critico con il suo mondo, però mai scettico con la forza dei professori e dei discepoli, capaci, in armonia, parità e concorrenza leale, con l’aiuto della democrazia dello spirito, di costruire un nuovo mondo, generoso e puro. Il suo messaggio è potuto sembrare a taluni troppo idealistico e persino naif, troppo lontano dalla realtà, sullo sfondo di una sfiducia evidente di taluni nella forza creatrice spirituale dei romeni. Allo stesso modo venivano veicolate apertamente, dopo il raggiungimento della Grande Unità Nazionale, idee poco lusinghiere relative alla capacità della nazione romena di organizzare la vita accademica e di costituire a Cluj una struttura universitaria valorosa. La domanda che si faceva spesse volte in quel periodo era: «Com’è possibile che i romeni, così fatalisti come sono, privi di istruzione, incolti e nati per rimanere per sempre dei sudditi, organizzino e amministrino l’educazione e la ricerca universitaria?». Vasile Pârvan è venuto a Cluj passando dalla natia Moldavia per Bucarest con un messaggio generalmente umano, per dirci fortemente che questo è possibile proprio a Cluj, grazie al grande organismo nazionale che era l’Università della Dacia Superiore. In due decenni – e in alcuni campi di attività anche più presto – con sforzi congiunti, la fondazione accademica del 1919 è diventato un modello di università centrale europea, con anticipi di ricerca e di creazione unici, molte volte a livello mondiale.
Gli specialisti affermano che la forza dei popoli e degli stati consiste nella perennità delle loro istituzioni, nella conservazione delle grandi cerimonie tramite le quali la vita va degnamente avanti. Con la fondazione di Pârvan, con quello che egli stesso ha chiamato Il dovere della nostra vita, l’Università di Cluj è una simile istituzione, che conserva le grandi cerimonie fondatrici e che, partendo dalla tradizione, accolgono la comunità e la vita, conferendole senso e perennità.


Prof. Ioan-Aurel Pop
Rettore dell’Università Babeş-Bolyai di Cluj-Napoca
(n. 12, dicembre 2012, anno II)