Nina Cassian e Paul Celan: una lunga fedeltà

«Ultima figura emblematica di una ormai classica tradizione modernista, erede e testimone di quel fecondo ambiente romeno di cui facevano parte Brâncusi e Tzara, Ionesco, Eliade e Cioran, e come loro inevitabilmente esule, Nina Cassian ha percorso un tragitto artistico e umano singolare come la sua persona. Nel 1985, già titolare di una lunga carriera di successo (con qualche strappo al morso del regime), durante un soggiorno negli Stati Uniti finisce nel mirino della polizia, che ha scoperto certi suoi testi a dir poco caustici contro la politica e i politicanti del Paese: decide allora di non tornare in patria e chiede asilo politico. Qui, sostenuta e tradotta da vari poeti americani, rinasce a nuova vita. E la scelta, la riproposta, la traduzione, a volte la vera e propria ricreazione delle poesie romene precedenti l'esilio, nonché la stesura di nuovi componimenti – in romeno prima, e dopo qualche anno anche in inglese –, alimenteranno un corpus che non ha riscontri, né rivali, nell'odierno panorama poetico internazionale» (dal risvolto di C'è modo e modo di sparire, Adelphi).


«È sempre bello quando un vero poeta irrompe sulla scena». Così Franco Marcoaldi il 2 novembre 2013 saluta su «la Repubblica» il bel volume adelphiano di poesie di Nina Cassian, frutto del lavoro di Anita Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica, curatore del volume, il quale non manca di ricordare che, nelle poesie della Cassian, tra le varie voci novecentesche «si ascolta» anche quella di Paul Celan. Infatti, Nina Cassian non solo ha tradotto Paul Celan in romeno ma è stata sua amica per tutta la vita. La più bella testimonianza degli albori della loro amicizia, nella Bucarest dell’immediato dopoguerra, è stata consegnata da Petre Solomon nel suo libro dedicato a Paul Celan – che prossimamente verrà pubblicato in Italia nella traduzione di Irma Carannante – da cui estrapolo un ampio brano molto suggestivo:


L'amicizia tra Paul e Nina

«Inizio con Nina Cassian, la personalità femminile e dominante nella nostra cerchia. […] Anche se non aveva ancora pubblicato un volume di poesie, la sua presenza in diverse riviste dell’epoca aveva iniziato ad imporsi con una voce lirica distinta – una voce forte e acuta, che coltivava dissonanze in un sottile accordo con tutta la sua generazione iconoclasta. Alla sua grande intelligenza si aggiungeva un’inimitabile capacità di espressione tagliente e sferzante. Dotata, in egual misura, di abilità poetiche, musicali e pittoriche (prendeva lezioni da Loewendal e da Maxy), Nina aveva inoltre uno straordinario talento teatrale, manifestato tanto in pubblico – durante le riunioni letterarie –, quanto in privato davanti ai suoi amici, sempre molto numerosi. La presenza di Nina in un gruppo di persone del resto eterogeneo agiva come fattore unificante, come un “collante” sociale dall’efficacia immediata. Bastava che essa apparisse in un gruppo simile che esso si animava scoprendo al proprio interno affinità elettive. Improvvisando al pianoforte o eseguendo brani di Debussy, Bartók o Costantin Silvestri, Nina si poneva al centro dell’attenzione generale, che sollecitava anche attraverso altri mezzi, in primo luogo, attraverso una conversazione spumeggiante. Complessata dal suo profilo dantesco, ci teneva a dimostrare la propria superiorità intellettuale in modo spesso aggressivo, volto a disarmare coloro che si fossero soffermati soltanto sulla sua “bruttezza” del tutto immaginaria. […] Paul era affascinato dalla personalità di Nina Cassian, e in quest’attrazione rientrava anche una buona dose di timore. “È dritta, ma deraglia”, diceva maliziosamente Paul sul conto di lei, in uno di quei calembour in cui soleva impegnare il suo spirito ludico. “Sveglia, ma sterile”– questa definizione non nascondeva qualche riserva di ordine morale, ma esprimeva solo un’opinione, largamente diffusa, che riguardava la sua intelligenza eccessiva ma aggressiva. Tra questi due poeti esistevano delle profonde differenze originate sia dai rispettivi dati biografici che dai loro temperamenti. Ma ciò non impediva loro di comunicare o di avere delle cose in comune, sotto il segno di una profonda fratellanza spirituale. […] Nella cerchia di Nina venivano praticati spesso alcuni giochi surrealisti: “Questions-réponses” oppure “Ioachim”, una variante bucarestina del celebre Cadavre exquis perfezionato da Breton e dai suoi amici negli anni dopo la prima guerra mondiale. […]
Riguardo all’amicizia tra Paul e Nina, aggiungerei che essa non si era consolidata soltanto grazie alla comune pratica di tali intrattenimenti, ma anche sulla base di un rispetto reciproco circa i rispettivi talenti poetici. Le solide conoscenze della lingua e della letteratura tedesca facevano di Nina un’interlocutrice riconosciuta e competente proprio nel campo di Paul. Le sue traduzioni di Kästner e Morgenstern rappresentavano alcuni modelli di felice equivalenza poetica. Entrambi avevano le stesse predilezioni nella poesia: Apollinaire, Desnos, Éluard, Esenin, Rilke, Arghezi, Ion Barbu.
In presenza di Nina Cassian, Paul diveniva molto loquace, la “presa” diveniva immediata, senza limitazioni formali, anche se, dietro questa loquacità, alcuni complessi o timori potevano stare in agguato. Esisteva tra loro una certa coquetterie, espressione dell’attrazione reciproca, ma anche della distanza di cui erano consapevoli volenti o nolenti. Leggerò, a tal proposito, per esemplificare questa coquetterie, una lettera che Paul inviò, dietro mia iniziativa, a Nina nell’estate del 1947, quando essa era in vacanza sul litorale:

Ingrato!
Nobilă şi arborescentă ca întotdeauna, când mă gândesc la tine, mâna mea arborescentă se grăbeşte să-ţi ofere ţie, adormitului meu covor pe care l-am întins mareelor, această oglindă din funingine albă şi tuş ritmizat – pentru ca să te poţi recunoaşte în ea ca Ibis (ceea ce-ţi dă posibilitatea să te vezi, în sfârşit, simultan realizată în dubla ta ipostază de pasăre adorată şi toc rezervor) şi pentru ca răuvoitoarele guri ale posterităţii să nu poată spune că nu ne-am iubit.
Să vină marea peste noi şi să ne înghită rechinii-fraţi!
Paul
(mai african ca oricând).

Ingrata! / Nobile e arborescente come sempre, quando ti penso, la mia mano arborescente si affretta ad offrirti, all’assopito mio tappeto che ho steso sulle maree, questo specchio di fuliggine bianca e di inchiostro ritmato – affinché tu possa riconoscerti in esso come Ibis (ciò che, infine, ti dà la possibilità di vederti allo stesso tempo realizzata nella tua duplice ipostasi di uccello adorato e penna stilografica) e affinché certe bocche malevoli della posterità non possano dire che noi non ci siamo amati. / Che venga il mare su di noi e che gli squali-fratelli ci inghiottiscano! / Paul / (più africano che mai)». [1]

Le influenze del surrealismo

Al di là della scherzosa ingratitudine affibbiata alla destinataria, «Paul» scrivendo questa singolare attestazione d’amore ha voluto offrire questo dono poetico impiegando volutamente alcuni sintagmi che appartengono ai primi componimenti di Nina intitolati Autoportret, Cei ce devoră, O pasăre (presenti nell’antologia adelphiana), e ha desiderato inoltre indicare il mare come l’elemento naturale in cui la soggettività di Nina sembra maggiormente rifrangersi nell’immaginario poetico. Tuttavia, nel comporre e recapitare questo surrealistico «O.O.O.: Oggetto Oggettivamente Offerto», il poeta dei sommersi si è ispirato non solo a Gherasim Luca, ma soprattutto a un brano di Urmuz, tratto da Algazy & Grummer, riguardante l’Ibis in cui la stessa Nina Cassian si dovrebbe in particolare riconoscere attraverso l’inquietante descrizione del crudele personaggio di nome Grummer. Riportiamo il brano di Urmuz a titolo esemplificativo.

«Grummer are şi un cioc de lemn aromatic...
Fire închisă şi temperament bilios, stă toata ziuă lungit sub tejghea, cu ciocul vârât printr-o gaură sub podea...
Cum intri la ei în magazin, un miros delicios îţi gâdilă nările... Eşti întâmpinat la scară de un băiat cinstit, care, pe cap, în loc de păr, are fire de arnici verde; apoi eşti salutat cu multa amabilitate de Algazy şi poftit să stai jos pe un taburel.
Grummer stă şi pândeşte... Perfid, cu privirea piezişă, scoţând mai întâi numai ciocul, pe care ostentativ îl prelinge în sus şi în jos pe un jgheab anume făcut la muchea tejghelei, apare la urmă în întregime... Face prin tot felul de manopere pe Algazy să părăsească localul, apoi, insinuant, te atrage pe nesimţite în tot soiul de discuţii – mai ales de sport şi literatură – până ce, când îi vine bine, te plesneşte de două ori cu ciocul peste burtă, de te face să alergi afară în strada, urlând de durere.

Grummer ha anche un becco di legno aromatico... / Di indole chiusa e di temperamento bilioso, sta tutto il giorno sotto il banco, allungato, con il becco ficcato in un buco sotto il pavimento... / Come entri da loro nel negozio, un odore delizioso ti solletica le narici... Sei accolto sulla scala da un ragazzo a modo, che, sulla testa, al posto dei capelli, ha dei fili da ricamo verdi; poi vieni salutato molto amabilmente da Algazy e pregato di accomodarti su uno sgabello. / Grummer è là, sta in agguato... Perfido, dallo sguardo bieco, tira fuori prima solo il becco, che scivolando con ostentazione fa gocciolare su e giù su una specie di trogolo costruito sul bordo del bancone, e poi appare, finalmente, in tutta la sua interezza... Si adopera in ogni sorta di manovre per costringere Algazy a lasciare il locale, poi, insinuante, ti attira inaspettatamente nelle più svariate discussioni – in genere riguardano soprattutto lo sport e la letteratura – finché, quando gli sei venuto a tiro, ti colpisce due volte sul ventre col becco, così duramente, da farti scappare fuori sulla strada, urlando di dolore».

«Grummer», come si vede, «ha un becco di legno aromatico», appartiene alla serie urmuziana dei personaggi composti materialmente di attributi che sono da riferirsi ai pennuti sotto l’ombra dell’archetipo dell’Ibis. E il becco, secondo Celan, è anche l’estremità della penna stilografica, tagliata in punta e generalmente dotata di una fenditura centrale, attraverso la quale, l’inchiostro trattenuto in riserva nel fusto, scorre verso il supporto. Il nome Grummer rievoca una memoria germanica. Ce ne rendiamo conto non appena si entra in questo speciale negozio in cui si è colti da un piacevole profumo: ci viene incontro – verso di noi lettori – un «ragazzo a modo (ein grüner Junge), che sul capo, al posto dei capelli, ha dei fili di ricamo verdi» che non sono altro che la traduzione materiale del nome proprio di Grummer nella rima germanica grün (verde). Il gioco di rinvii al significante grafico non finisce qui. Sappiamo che Grummer è di «indole chiusa, temperamento bilioso», quindi è grimm: truce, feroce, rabbioso; è curvo, torto, guarda di sbieco, dunque krumm; e inoltre è «insinuante», perché attira gli interlocutori, i «clienti del negozio» (e anche il lettore) alle «più svariate discussioni» sullo «sport e la letteratura», in conformità alle sue origini e attribuzioni culturali decadute. Facilmente si arrabbia (grimmen), batte col becco sul ventre del cliente, recandogli forti dolori addominali (Grimmen). Tuttavia anch’esso viene umiliato (krummen) attraverso la compressione della vescica grigia (Grau) di gomma (Gummi), «il che lo induce a saltare per il negozio», ed «emettere suoni inarticolati», disseminati dalla continua corsa dei significanti, preda della vertigine testuale del nome proprio Grummer, delle sue «rime» tedesche incriptate nella lingua romena.

Il simbolismo dell'Ibis


A partire da Grummer, secondo Paul Celan, grazie allo «specchio di fuliggine bianca e di inchiostro ritmato», offerto come dono dalla mano dell’amante vegetale, Nina Cassian dovrebbe riuscire finalmente a riconoscersi nell’immagine di un uccello. Non un uccello qualsiasi, ma nell’Ibis. L’Ibis è un uccello abbastanza grande che ha un becco a forma di falce, si muove nei terreni paludosi e dà l’impressione continua di cercare e di scavare nella melma. Non è un simbolo solare, ma piuttosto lunare, «selenico» come l’«alone Paul Celan», «partigiano dell’assolutismo erotico», come si autodefiniva il poeta bucovino in un suo «poema in prosa» scritto in romeno. La curvatura del becco dell’Ibis ricorda la falce della luna. Nella cosmologia è come una «segnatura lunare». Celan, che conosce bene la tradizione culturale di quest’uccello che risale fino all’antico Egitto, sa che l’Ibis era consacrato al dio della scrittura Theuth e ne veniva considerato la sua manifestazione terrena. Nella stele egizia si vede il dio Theuth sulla barca divina con la testa di Ibis. Nella cultura mosaica, invece, l’Ibis rappresenta un simbolo negativo, un «animale impuro». E nel testo paleocristiano Il Fisiologo si legge: «Ma il peggiore di tutti, l’Ibis, non sa nuotare. Dai peccatori possono nascere solo peccati» [2].
Celan è consapevole di questa ambivalenza simbolica dell’Ibis. Forse perciò precisa tra parentesi nella lettera: «(ciò che ti dà la possibilità di vederti infine simultaneamente realizzata nella tua duplice ipostasi di uccello adorato e penna stilografica)». Il richiamo di Celan è un’allusione criptica, forse nella cifra del «delirio dell’interpretazione» surrealista, che il poeta aveva fatto dei personaggi di inchiostro di Urmuz composti eteroclitamente di attributi simbolici che sono da riferirsi agli uccelli fatati che stanno all’ombra del divino Theuth. Forse gli stessi, «con strani drappeggi e becchi di uccello» provenienti dalle illustrazioni della Bibbia di Philippson, raffiguranti i bassorilievi sepolcrali egizi, che visitavano angosciosamente i sogni del piccolo Freud, quando aveva sette e otto anni, e che successivamente immortalerà nella suo Die Traumdeutung. Il richiamo celaniano è sempre vertiginoso, e l’infinità della lingua è indicata nell’abissalità fissata nel nome, come si vedrà meglio in seguito.
Ma «la possibilità» per Nina Cassian di vedersi «infine simultaneamente realizzata» nella sua «duplice ipostasi di uccello adorato e penna stilografica» è reperibile attraverso l’indicazione di Celan, nell’iconicità sonora del «nome» di Grummer, grazie anche alla segnalazione suggerita poeticamente da Ilarie Voronca nel verso di Invitaţie la bal: «un grido come un uccello o una stilografica» (un ţipăt ca o pasăre sau stilou) [3], – con la differenza che «l’oggetto oggettivamente offerto» dal soggetto poetico, al di là della finzione neosurrealista di Luca e Trost, non è semplicemente un oggetto concreto, empirico o sensibile, ma è un dono molto prezioso per Celan. È uno «specchio» di «scrittura ritmato», è il dono della poesia, del suo dire, come promessa di quel vuoto di parola che riflette asintoticamente la cifra soggettiva dell’«alone Paul Celan», «partigiano dell’assolutismo erotico» a Bucarest [4]. Come in un gioco scintillante di rifrazioni sonore e di immagini, questo oggetto non oggettivo, oltre che essere il dono della parola e della mancanza nella schermaglia dell’amore, è fondamentalmente uno specchio fatto di resti, frammenti, di residui di combustione. Non di carbone, di sostanze catramose come quelle dei personaggi di Urmuz, ma di resti organici. È uno specchio fatto di ciò che rimane dell’umano. È uno specchio di «fuliggine bianca» forse come quella orribilmente ritrovata all’interno dei camini dei campi di sterminio di Auschwitz, di cui Celan avrebbe avuto direttamente notizia dagli ambienti molto informati di «Scânteia» dove aveva trovato un suo primo impiego a Bucarest [5].

La cartolina di Paul Celan spedita a Nina Cassian

Se la parola dunque resiste, ed è il nome, allora, ci si può chiedere a questo punto, cosa cambia tra la relazione immaginaria stabilita tra Nina Cassian e Paul Celan nell’economia della narrazione allegorica della cartolina in cui la posta in gioco era la decifrazione dell’Ibis in quanto «giusto» nome per la poetessa? In realtà la relazione immaginaria tra la coppia dei poeti non cambia, quello che cambia è l’interpretazione che ognuno di loro darà alle valenze teoricamente infinite del significato del nome. Ciò significa semplicemente che il riconoscimento non può avvenire solo attraverso uno «specchio ritmato», come ha suggerito Paul Celan nel suo dono epistolare a Nina Cassian, ma nel desiderio del nome, di ciò che resta di quel nome. Il desiderio del nome non può trovare soddisfazione in qualsiasi forma di reciprocità immaginaria tra i due io. Perché la questione del desiderio non è il desiderio di essere sé stessi. Il sé del desiderio non è identico a sé, ma è altra cosa da sé stesso. Per Celan sarà essenzialmente desiderio di ciò che resta del nome per ciò che ha di unico e di insostituibile.Un nome non è null’altro che ciò che resta. Esso non sarebbe altro, quindi, nell’après coup della catastrofe, che questo resto originario, questa rimanenza dell’origine, senza la quale non sarebbe mai stato possibile pensare la cosa nella lingua e neanche un possibile avvenire della poesia. Qui, nell’esperienza di scrittura di Paul Celan emerge l’evento di una certa singolarità assoluta e irriducibile, che col nome si manifesta, che si dichiara nel nome, che il nome imponendosi alla vista si espone nella poesia, indicando l’imprendibile del nome come tale, l’imprendibile come indicibile, qualcosa che insieme annunciandosi nel nome, resiste alla possibilità stessa di qualsiasi nominazione, qualcosa che è al di là della differenza stessa tra il nome e la cosa. Tuttavia, ciò che resta del nome, in Paul Celan, lascia intravvedere all’orizzonte – percepibile nell’ombra spettrale ma insieme infinitamente desiderabile – il miraggio luminoso di un’altra lingua che resiste e che si interseca nella risonanza di più lingue.
La cartolina di Paul Celan spedita in compagnia di Petre a Nina Cassian si chiudeva così: «Che venga il mare su di noi e che gli squali-fratelli ci inghiottiscano!». Celan, impiegando la metafora emineschiana dell’acqua come segno mortale dell’amplesso amoroso del «noi», indica allusivamente negli «squali-fratelli», con a capo Gherasim Luca, i poeti neosurrealisti di Bucarest loro antagonisti e rivali sul piano poetico che avevano da poco pubblicato l’Elogio di Malombra.
Come scrive Marin Mincu a proposito dei componimenti celaniani redatti in lingua romena: «Il topos dell’annegarsi o dell’annegamento è presente quasi in tutti i suoi testi romeni. Nella lettera indirizzata a Petre Solomon, il 18 febbraio 1962, il poeta si mostra molto impressionato del suicidio per annegamento nel Mar Mediterraneo della sua ex compagna Lia. L’ossessione di questa morte si è risolto forse col proprio suicidio nelle acque della Senna» dall’alto del ponte Mirabeau [6].
In questa direzione dell’immaginario poetico celaniano, sempre a partire dai componimenti romeni, Gisèle Vanhese afferma, attraverso Poe, che in Celan «l’immagine dell’acqua notturna è associata a quella della madre morta e alla morta» [7]. «È nel simbolismo acquatico che vengono a condensarsi tutte le immagini della femminilità notturna e inquietante. L’acqua notturna si presenta come un’epifania della morte che tuttavia, sotto la marezzatura cangiante, avrebbe il volto materno» [8]. Ma c’è un altro aspetto singolare, degno di interesse, a proposito di questo evento inquietante che si gioca, a distanza di tempo, nella relazione tra Celan e la Cassian, in rapporto al desiderio del poema come luogo fantasmatico dell’annegamento amoroso. Vediamo più da vicino la questione.

«Il gusto dell’annegamento» e «il gusto del poema»

In un’intervista del 2004, Carmina Popescu fa a Nina Cassian, residente ormai da lunghi anni negli Stati Uniti, questa domanda: «Signora Cassian, mi dica, non poche volte, lei ha provato “il gusto dell’annegamento”. “Il gusto del poema” non ne è forse stato l’antidoto?». Nina Cassian risponde:«È vero che ho pensato talvolta di sprofondare per sempre nel mare (o, anche, nel lago Ohrid di Macedonia), dopo una lunga nuotata. Ma, come si può osservare, “il gusto del poema” ha sconfitto “il gusto dell’annegamento”. Benché due grandissimi poeti di origine romena, Paul Celan e Gherasim Luca, si siano gettati e siano annegati nella Senna … Comunque, il mare è un elemento misterioso (stihie) che chiama nel profondo, forse perché sono nata da esso, insieme alle amebe».
In quest’intervista c’è un’altra domanda che può illuminare a posteriori il senso profondamente amoroso della lettera di Paul Celan spedita da Bucarest insieme all’amico Petre.«Signora Nina Cassian, non è forse il mare l’archetipo del suo essere?» Risposta della Cassian: «Da molto tempo ho creduto (oppure ho saputo) che il mare è il mio elemento essenziale. L’avevo conosciuto a Constanţa, quando avevo cinque anni, quando avevo imparato a nuotare. Mi ha attratto e sconvolto la sua tessitura in cui veramente entravo come in una forza cieca della natura (stihie), nel suo odore, nei colori cangianti della riva e del largo, la sua agitazione e la sua quiete, le differenti conchiglie che incrostavano nella sabbia umida il litorale. L’ho adorato, non nell’adolescenza tormentata dalla guerra, ma nella prima giovinezza, quando l’ho gustato una notte, bagnandomi nello champagne dorato della traccia della luna. Una decina di poesie ho scritto sul mare» [9].
A conclusione del suo bel saggio su Celan intitolato Romania Celaniana, Camilla Miglio riporta il frammento di una lettera di Celan a Nina Cassian. Ecco il commento: «L’ultima lettera a Nina, datata 6 aprile 1970, pochi giorni prima del suicidio di Paul nella Senna, somiglia a un ultimo saluto. Celan scrive in risposta alla notizia della morte della madre di lei. Vi riaffiora lancinante la memoria del suo trauma: la morte della propria madre. Celan augura a Nina di ritrovare “la sua orbita e le sue esorbitanze”. L’augurio è rivolto all’amica, non a sé. Sembra di sentire l’eco di Kafka che si dichiarava sicuro di “una speranza infinita, solo non per noi”. Nonostante i progetti di letture settembrine in Germania riferiti a Nina, di lì a qualche giorno sarebbe morto. […] A Nina, Celan lascia una frase misteriosa in eredità: Les choses diminuent, les choses augmentent – sorry for these “Words of wisdom” – ton regard les éclairera d’un sens. Je t’embrasse Paul. “Le cose diminuiscono, le cose aumentano”. Sentenza gnomica da un’irrefrenabile voglia di relativizzare, di prendersi in giro, espressa da una lingua franca e libera di ipoteche, l’inglese (come già con Solomon) Sorry for these “Words of wisdom”. Quale saggezza? La saggezza di qualcosa che va e che viene, che cresce e diminuisce, come le maree, come il ricordo? Come il dolore? Va e viene, come i giorni. Ma non per Paul Celan» [10].
Questa lettera di Celan a Nina Cassian non è necessariamente una lettera d’addio ma forse è un altro dono d’amore, proprio come quella testimonianza epistolare, anni addietro spedita da Bucarest a Constanţa in compagnia della presenza discreta di Petre Solomon. Les choses diminuent, les choses augmentent («Le cose diminuiscono, le cose aumentano») e immediatamente dopo si legge: ton regard les éclairera d’un sens («il tuo sguardo le illuminerà di un senso»). C’è, infatti, qui per la Cassian un invito da parte del poeta a illuminare con lo sguardo il senso misterioso di quelle parole messe in inciso: sorry for these «Words of wisdom». L’attenzione di Nina deve essere posta dunque su quest’enunciato in lingua inglese. Le Words di wisdom per Celan non sono solo «parole di saggezza», ma sono «cose» molto mobili (poiché diminuent e augmentent) che devono essere illuminate con uno sguardo che appartiene al «tu». E poi, per un poeta come Celan, che tipo di saggezza può far fronte alla perdita più irreparabile come quella di una madre? Wisdom non è semplicemente la saggezza, ma è una domanda di saggezza che riguarda le cose dell’amore, dopo un tempo passato che in fondo non è mai del tutto passato, poiché si riferisce forse, nell’après coup epistolare, al loro amore di Mangalia consumato sulle acque del Mar Nero nello specchio della scrittura. «Words of wisdom», inoltre, sono parole scritte e virgolettate, percepibili allo sguardo, che racchiudono, nella cifra del segreto condiviso (guarda caso sotto il segno di Urmuz!) la sonorizzazione di due parole in romeno vis (‘sogno’) e ‘dom’ (‘signore’) omofone con l’inglese wisdom.
Non sapremo mai con certezza se Nina Cassian avrà colto il messaggio amoroso cifrato sapientemente nella lettera. Nina Cassian come Petre Solomon, nelle loro scritture che segretamente si intrecciano a partire dal ricordo di Celan, dimostrano comunque di conoscere gli schibboleth dell’amico a partire da Urmuz, anche perché il poeta originario della Bucovina non fa altro che ripeterli e rimetterli in gioco nella poesia in lingua madre.

Un desiderio d’amore

Quello che si può notare, in questa lettera di condoglianze inviata a Nina Cassian, è che wisdom non si definisce a partire dal suo significato in lingua inglese, ma dalla sua facoltà mimetica nella scrittura che produce somiglianze sonore in lingua romena determinando così un’intenzione soggettiva di comunicare, cioè un desiderio d’amore. Continuando l’impossibile esperimento traspositivo tra le lingue, al limite feticizzando il significante, possiamo tradurre celanianamente Wisdom in francese – attraverso il mot de passe romeno: vis (‘sogno’) e ‘dom’ (‘signore’) – con Monsieur Le Songe, cioè «il Signor Sogno». Si tratta cioè di un calembour tipicamente celaniano, un gioco di parole in romeno tra le lingue straniere, che fanno accenno nella loro risonanza misteriosa ad un’«unica lingua», forse quella dei «nomi» secondo Walter Benjamin, e che ricorda, dal punto di vista esistenziale, la belle saison des calembours e dei Cadavres exquis di Paul Celan trascorsa con gli «amici poeti» e traduttori di Bucarest, nel segreto amoroso dell’incontro.
Il riferimento criptato nell’intenzione di Paul Celan riguarda la poesia scritta in tedesco che si intitola Ricordo di Francia, in cui il protagonista è indicato in francese come se fosse un nome proprio. Costui è «un omino asciutto» che si chiama Monsieur Le Songe. Il destinatario amoroso della poesia è proprio Nina Cassian, o per lo meno così Paul ha inteso «farle vedere» (ton regard les éclairera d’un sens) – come fece a suo tempo con l’Ibis della cartolina romena –, e quindi «ha giurato» di «farle credere» (Les choses diminuent, les choses augmentent) nella lettera di condoglianze inviata in occasione della morte della madre, che il «Ricordo di Francia» è un segno indelebile del loro amore o freudianamente un «ricordo di copertura» della mai abbandonata belle saison des calembours trascorsa fra Bucarest e Mangalia.

ERINNERUNG AN FRANKREICH
Du denk mit mir: der Himmel von Paris, die große Herbstzeitlose...
Wir kauften Herzen bei den Blumenmädchen:
sie waren blau und blühten auf im Wasser.
Es fing zu regnen an in unserer Stube,
und unser Nachbar kam, Monsieur Le Songe, ein hager Männlein.
Wir spielten Karten, ich verlor die Augensterne;
du liehst dein Haar mir, ich verlors, er schlug uns nieder.
Er trat zur Tür hinaus, der Regen folgt’ ihm.
Wir waren tot und konnten atmen.

RICORDO DI FRANCIA / Rammenta con me: il cielo di Parigi, colchico immenso … / Comprammo dei cuori dalle piccole fioraie: / erano azzurri e nell’acqua non si aprirono. / Iniziò a piovere nella nostra stanza, / ed il vicino, Monsieur Le Songe, venne, un omino asciutto. / Giocammo a carte, io perdetti la luce degli occhi: / tu mi prestasti i tuoi capelli, li perdetti, egli ci atterrò. / Egli uscì dalla porta, la pioggia gli tenne dietro. / Eravamo morti e potevamo respirare. (Traduzione di Giuseppe Bevilacqua)

Come indicano urmuzianamente i puntini sospensivi, questa poesia d’amore è tutta giocata su Herbstzeitlose il fiore sognante e avvelenato della meditazione e del rimpianto di un tempo senza più tempo, che ricorda l’atmosfera autunnale del Poem pentru umbra Marianei e di altri componimenti a sfondo amoroso di Celan. Il Colchico – indicante nell’omonimia il Mar Nero dei Tristia dell’esule Ovidio – è la piccola pianta erbacea dai fiori rosa-violetto [11]. Nell’Erinnerung an Frankreich di Celan, Herbstzeitlose è una parola in tedesco che indica un «nome»; e un nome è ciò che gli uomini (o le creature) danno alle cose. La lingua degli uomini è un nominare, allora nel nominare si comunica il respiro (o l’essenza) della lingua delle creature. La relazione di Celan alla lingua dei nomi è etica e non strumentale, e si rivolge sempre all’Altro. I nomi di Celan sono le parole della sua memoria e del suo silenzio, richiedono al destinatario della lettera l’attenzione di essere interrogati e l’implicita complicità di comprendere, a partire dalla cifratura del «messaggio» contenuto nell’involucro della poesia, l’intenzionalità desiderante del soggetto.
Si tratta di una «traduzione» impossibile del nome che fa i conti con l’estraneità delle lingue e le riconduce alla loro affinità più profonda: cioè una lingua che prova a «rifare dei ponti» come dice Solomon. Il patto di traduzione è costituito dal doppio vincolo di traducibilità e intraducibilità – fedeltà e tradimento – che guarda in ultima istanza alla lingua pura raccolta attorno alla verità del nome giusto da dare alle cose, come compito etico di ogni traduzione che si basa paradossalmente sulla possibilità dell’impossibile e dell’intraducibile in relazione a un nome senza nome o di un nome innominabile cui si fa ancora appello dopo l’evento catastrofico di Auschwitz.



Giovanni Rotiroti
(n. 12, dicembre 2013, anno III)

NOTE

1.
La traduzione dal romeno della lettera di Celan e della testimonianza di Petre Solomon è di Irma Carannante.
2. Il Fisiologo, a cura di Francesco Zambon, Milano, Adelphi, 1975, p. 76.
3. La poesia di Ilarie Voronca è contenuta in Poesia romena d’avanguardia. Testi e manifesti da Urmuz a Ion Caraion, a cura di Marco Cugno e Marin Mincu, Milano, Feltrinelli, 1980.
4. Su tale aspetto si veda G.Rotiroti, «Il mio arcipelago rimarrà sconosciuto». Paul Celan sotto l’angolo d’incidenza del surrealismo di Bucarest: esperienza privata e imperativi di senso nei poemi romeni in prosa, in Per Teresa. Obiettivo Romania, a cura di G. Borghello, D. Lombardi, D. Pantaloni, Udine, Forum 2009, pp. 541-558.
5. Cfr. O. S. Crohmălniceanu, Paul Celan et la mélancolie, in A. Corbea-Hoisie, Paul Celan. Biographie und Interpretation, Iaşi, Polirom 2000, pp. 70-71.
6. Marin Mincu, Il ritratto del poeta in giovinezza, in Paul Celan, Scritti romeni, Campanotto, Udine, 1994., p. 12.
7. Gisèle Vanhese, La parole en exil, Il bagatto, Roma, 1990,  p. 40.
8. Ivi, pp. 38-39.
9. Intervista a Nina Cassian: «Nu m-am despărţit nici o clipă de cultura mea» di Carmina Popescu in «România Literară», n. 46, 2004.
10. Camilla Miglio, Romania celaniana, in Quaderni del Premio Letterario Giuseppe Acerbi, Il Segno dei Gabrielli Editori, 2005, pp. 127-128.
11. Come scrive Vanhese: «Traduttore di Apollinaire, Paul Celan è stato affascinato da Le pont Mirabeau e Les Colchiques. A partire da Mohn und Gedächtnis, Erinnerung an Frankreich (Ricordo di Francia) propone un verso Du denk mit mir: der Himmel von Paris, die große Herbstzeitlose («Le ciel de Paris, le grand Colchique d’automne») dove fa allusione al fiore “fuori dal tempo”, che aveva già evocato in un poema giovanile (ICH WEISS vom Fels, in den ich mich nicht traue). Tra tutti i fiori, che hanno irradiato nella poesia di Celan (si pensi al ciclo Blumen dei poemi giovanili), il colchico è quello che si è caricato di maggiori risonanze simboliche. Sotto l’influenza dei Colchiques di Apollinaire, e in particolare del verso «Ils cueillent les colchiques qui sont comme des mères», il nome rinvia al simbolismo materno, come in Die Silbe Schmerz. […] Soprattutto, il termine francese colchique evoca una regione mitica per l’immaginario celaniano: la Colchide. Il termine Kolchis […] presente in Und mit dem Buch aus Tarussa attraverso la referenza a Ovidio tende a confondersi con il paese natale sulla riva del Mar Nero». Gisèle Vanhese, La parole en exil, cit., p. 42.