George Bacovia a 130 anni dalla nascita

Questa introduzione all’opera lirica del più attuale tra gli interbellici romeni, cioè George Bacovia (1881–1957), si rivolge prima di tutto al lettore italofono, meno interessato ai dettagli storico-letterari, curioso piuttosto di capire il messaggio poetico e profetico di una sincopata ma longeva parabola moderna al cospetto della post-modernità, romena ed insieme europea. Ci occuperemo brevemente delle tappe percorse a partire dal volume dell’esordiente Bacovia Piombo (1916) fino a Stanze borghesi (1946), ma anche della sua movimentata parabola nella postumità. Le sue brevi raccolte, ristampate fino alla sua scomparsa insieme ai non molti inediti, diventeranno quella partitura unica, chiaroveggente, di grande impatto per la poesia romena tanto negli ultimi quattro decenni del ventesimo secolo, che adesso, a 130 anni dalla sua nascita.


Una singolare difesa e illustrazione dell’attualità dell’autore del volume Con voi (1930) si deve al saggio del poeta Ion Caraion, Bacovia. Sfârşitul continuu (Editura Cartea Românească, 1977), al quale si stanno aggiungendo gli esami critici di Nicolae Manolescu (Scriitori români, Editura ştiinţifică, 1978), Ion Bogdan Lefter (Bacovia, Poezii, Proză, Editura Minerva, 1987), nonché gli studi e le monografie firmate da Daniel Dimitriu (Bacovia după Bacovia, Iaşi, 1998), dal compianto Gheorghe Crăciun (În căutarea referinţei, 1998), da V. Fanache (Bacovia, ruptura de utopia romantică, Cluj-Napoca, 1994) o da Mihai Cimpoi (Secolul Bacovia, Editura F.C. Ideea Europeană, 2005). Vi si mette in luce l’avventura e le maschere, l’estasi e l’agonia della modernità, ed anche il tracciato della transizione del poeta dalla posa alla prosa, dal modernismo al post-modernismo, dalla composizione spettacolare, patetico-musicale alla sintassi atonale del frammento minimalista, denotativo.
Fatto sta che sin dall’esordio e soprattutto nelle poesie di vecchia data ma non incluse nel Piombo, Bacovia fece prova di un atteggiamento stilistico imprevedibile: benché abbondino i segni del sincronismo simbolista, non mancano le tentazioni del quotidiano e del sociale, l’enunciato transitivo, il biografismo, ma anche i tentativi di ludiche trasgressioni. A 35 anni Bacovia non poteva astenersi da una certa affettazione di poète maudit, all’insegna di alcune figure di primo rilievo all’inizio del ventesimo secolo, come per esempio Baudelaire, Verlaine, E. A. Poe, Maurice Rollinat ecc. Il volume Piombo avrà senz’altro l’effetto voluto dal giovane poeta, essendo una summa ossessivo-musicale, plastica, provocatoriamente funebre e sardonica, cioè la perfetta immagine stereotipata, unidimensionale del poeta simbolista, anche se ancora dipendente dai modelli autoctoni (da Macedonski, in primo luogo) o stranieri.
 

Simbolismo e antisimbolismo

Il poeta che si era costruito in anticipo questo blasone stilistico (decorativo, estetizzante, libresco), non si rifiutò al tempo stesso il piacere (parodico?) di caricare la poetica del simbolo, smantellando sovversivamente le procedure e gli accessori a gran prezzo nei testi di alcuni  precursori minori. Un simbolismo, quello di Bacovia, presieduto dalla ragione degli effetti scontati, ma anche dalla consapevolezza drammatica della caducità, del fatale esaurimento delle forme abusivamente licitate. Consapevolezza che gli spianò la strada verso la fine continua, pronta a innescare il tropo epigrammatico, tachigrafico, colto nell’arena del reale immediato, tangibile, biografico, sociale, politico, come lo dimostrano le non poche poesie affidate ai periodici dei primi decenni del ventesimo secolo. Poesie che, comprese nei volumi ulteriori al debutto, proveranno a loro volta, lo scisma di Bacovia nei confronti dell’estetica simbolista, in modo memorabile formulato da Nicolae Manolescu: "Possiamo parlare in quanto riguarda  Bacovia di un vero e proprio antisimbolismo. Ad un capo della sua poesia si produce una disintegrazione del linguaggio per sincope, per il ricorso a forme deliberatamente prosaiche e non articolate. Ad un altro, la poetica simbolista viene abusivamente messa in gioco e talvolta compromessa dal patetismo".
Il poeta si lascia conquistare sempre più chiaro dal sentimento di un’identità apparentemente perduta, ma in realtà da sempre operante; l’umanizzazione transitiva dell’io poetico, e unitamente dell’espressione, diventa sempre più trasparente, anche quando i testi si riducono a modi ellittici, dislocamenti, a giustapposizioni, a versi liberi monologici, lineari o fratturati, spesso oracolari circa i dettagli di storia personale o collettiva, autoctona e anche mondiale. Una sintassi di flussi che rovinano l’autorità della logica formale e grammaticale, sembra suggellare anche i testi del tardo Bacovia, e cioè i frammenti dalle copertine strappate, autoironici, elegiaci, pungenti-amari, deprecanti: "Non conseguo nessun pensiero / Per descriverlo, / Compositore di verbi… / Per mezzo di colori, sogni, armonie… / Per vincere il greve silenzio. / Compositore di verbi… / Il mondo cambia. / Uguaglianza, idee tumultuose, / L’ organizzazione del futuro intravisto. / Ci sono gradi, / Posti di responsabilità…" (Perpetuum mobile).
 

La poetica simbolista

L‘abbandono dell’enfasi e delle maschere standard per la poetica simbolista diventa una nuova e forte strategia nell’affrontare il demiurgo funesto, accostato dalla trincea del reale attraverso enunciati breviloquenti, altrettanti sintomi di un panico delle urgenze sempre più minacciose. La sopravvivenza del testo, cioè dell’autore, richiede in maniera impellente attestati in tempo reale, senza più farli attraversare l’alambicco dell’immaginario (Cogito, Idee, Pro Arte II). Il tempo delle pubbliche nevrosi è giunto a scadenza; il ritorno dall’esilio della butaforia simbolista si sta attuando sotto l'impero del minimo istinto di conservazione. La dipendenza dallo psichismo teatrale-autista non ha che un rimedio solo: la terapia della transitività del messaggio. Bacovia si assume in fine, la normalità, compresi tutti i rischi della contingenza. Si assume il tuffo nel quotidiano, il salto mortale nelle caotiche interferenze della vita, il ravvisamento distaccato dello squallore esistenziale, del vuoto, del nulla: "Fa freddo, inverno… / Voglio pensare ai miei anni vuoti – / Non attendo più nessuno, / Nessuna speranza. / Nessuno è ormai più libero… / Voglio pensare ai miei anni vuoti – / Chiudi ovunque, / Chiudi la porta, – / Fa freddo, inverno" (Eco dei tempi).
Anche se la solitudine, il deserto, l’agonia, la morte quale aspirazione o presagio sono rimasti i temi essenziali dell’universo bacoviano, anche se gli eteronimi del poeta non hanno smesso di farneticare per spazi chiusi o aperti, ma altrettanto vuoti, anche se il tramonto-vespro (il più frequente vocabolo del lessico bacoviano), la notte e il piombo invernale con i loro connotati funesti imperversano ancora nei volumi della tarda età, Bacovia si era messo da tempo in risonanza della fine continua. Sempre più martellanti tornano le parole collegate alla condizione e allo statuto di poeta o artista. Un itinerario segreto sulla spirale del proprio DNA lo porta all’ennunciato scarno, febbrile, tormentato nella sua spontaneità di ultimatum. Bacovia si atteggia sia da improvvisatore di graffiti, sia da corrispondente speciale del nulla e del disgregarsi, siglati da terroristiche raffiche SF: "Laddove con c’è nessuno, / Né ombre, / Dove vanno a migliaia gli anni / Ed i rumori del giorno, / E il silenzio della notte… / Dove tutto è già saputo… / Là, dicono i viandanti, / Che solo raffiche di fuoco / emergono lugubri, / Mettaliche, / Minuto per minuto, / Laddove non c’è nessuno, / E non occorre più / Nessuna parola" (Sic transit).

Epitaffio in nome del futuro

Gli echi di fuoco di quelle bolge abissali hanno messo in irrevocabile crisi l’oasi manierista, la magica rappresentazione di allora, in abiti che piangevano addosso. Il protagonismo luciferico e la solitudine estetizzante stanno ridimensionandosi in esame critico e metapoetico. L’immaginario lussuriante del Piombo si destituisce a favore di un linguaggio nuovo, la cui libertà privativa di metafore passerà nella poesia delle non-parole di Nichita Stănescu, in quella antiretorica di un Petre Stoica, Mircea Ivănescu, ma anche nell’alchimia tragica & grottesca dell’ottenebrato decennio letterario nove, con le parole del critico Radu G. Ţeposu. Per non parlare più dei decenni seguenti, in un paese nel quale, sebbene sottrattosi alla mentalità di campo di concentramento, quasi tutta la sintomatologia politica, sociale, psichica e biologica dell’universo bacoviano sembra ritornare, con tutto il suo corteo di naufragi, scoraggiamenti, fobie e siccità del senso della vita.
Bacovia è nel momento della verità lo stenografo dell’intenzionalità vuota del reale: il poeta è sceso all’inferno, ma anche al grado zero del linguaggio in nome della vita, in nome di una poesia che fa da epitaffio e testamento al capezzale dell’avvenire. Individuando nei suoi versi delle affinità alla filosofia di vita e alla visione artistica dell'opera di Eminescu, Lucian Blaga, Emil Cioran o Constantin Brâncuşi, ma anche agli scritti di Georg Trakl, Heidegger o Gottfried Benn, l'accademico Mihai Cimpoi non esita ad avvalorare l'opera di Bacovia quale emblema del ventesimo secolo, conclusione asserita nel titolo stesso della monografia dedicata al poeta romeno.

Geo Vasile
(n. 1, dicembre 2011, anno I)