Risorgimento italiano e Rigenerazione nazionale romena, caso unico di parallelismi sorprendenti

I Romeni, questi fratelli lontani degli italiani, hanno dato prova di patriottismo ed un esempio di concordia che noi, italiani, siamo pronti a seguire (…). L’Unione dei Principati e la consultazione del voto del popolo è l’inizio di una nuova era nel sistema politico dell’Europa. Esse prepareranno, col loro trionfo, l’unione di tutti gli italiani in un solo corpo, giacchè oggi nessuno può più impedire che il meraviglioso atto compiutosi alle falde dei Carpazi non si realizzi anche ai piedi delle Alpi.[1] (Camillo Benso, conte di Cavour, a Vasile Alecsandri, Ministro degli Esteri della Moldavia, in visita a Torino - marzo 1859 - per notificare la duplice elezione, avvenuta il 24 gennaio 1859, di Alexandru Ioan CUZA, in Moldavia e Valacchia).

Noi, romeni, dobbiamo sempre tener presente che, allor’quando il primo pianoforte fu portato in Valacchia, Mozart era morto da circa quarant’anni…(Octavian Paler, scrittore romeno, 1926-2007)

Le due citazioni di cui sopra, prese a prestito come motto del nostro intervento, rappresentano, in modo simbolico, i due poli estremi del ragionamento‚ ed, insieme, della riflessione, che ci proponiamo. Poli asimmetrici, disuguali, certo, ma, ciò non di meno, che riassumono, in maniera assai plastica e suggestiva, i dati veri del problema, e che rispecchiano tristi realtà – mi riferisco, ovviamente, alla seconda componente della dicotomia – fatti, in principio, noti, ma, troppo spesso, dimenticati, sottaciuti, scartati, quando non, addirittura, volutamente, lasciati in disparte o, del tutto, passati sotto silenzio… Per un corretto ed equo quadro dei parallelismi, per una corretta ed equa analisi del paragone risorgimentale italo-romeno è doveroso, quindi, prendere in considerazione, e far emergere, tutti gli elementi, non uno escluso, anche quelli, a dir’ poco, più delicati e meno entusiasmanti, per noi, romeni…

È, tuttavia, ormai, diventato, un luogo comune, fra gli studiosi del fenomeno risorgimentale nei due, rispettivi Paesi, Italia e Romania, di osservare le fortissime somiglianze, coincidenze, sincronie ecc., del paradigma risorgimentale. Comunque, esse sono di prima mano, di primaria importanza, prevalgono di gran’lunga ed hanno, sicuramente, precedenza… Non è, dunque, scorretto, insistere, portare avanti, mettere in rilievo, innanzitutto, questi aspetti, altamente, squisitamente, positivi… Ecco perché parlavo poc’anzi di „poli asimmetrici, disuguali”… Le due componenti del paragone sono lungi dall’avere lo stesso peso specifico. Visibilmente, primeggia la parte prima, positiva, il primo termine del paragone… Guai a perdere di vista, però, anche l’altra „faccia della luna”!

Riepiloghiamo, quindi, il primo aspetto, quello delle similitudini, nelle sue tante sfumature e sfaccettature, senza nemmeno la pretesa di esaurire tutti i suoi, tanti, addentellati.
Innanzitutto, cronologia e collocazione temporale. Sia nel mondo italiano, che in quello romeno (per comodità useremo, a volte, anche i termini „Italia” e „Romania”, benché consapevoli di commettere un anacronismo, per il periodo pre-1861, riguardo all’Italia, rispettivamente, pre-1859/1862/1866, riguardo la Romania!) il periodo del Risorgimento dura, con puntualità esemplare, lo stesso lasso di tempo: 1821-1918, esattamente l’arco di (quasi) un secolo.
Da notare che, per il proprio risorgimento, i Padri della nazione romena avevano creato ed usavano, come abbiamo visto dal titolo, da noi prescelto, un sintagma originale, a me, personalmente, molto caro, ancorché, adesso, in disuso, praticamente dimenticato: movimento di rigenerazione nazionale; il concetto era lo stesso: „ri-nascere”, „ri-sorgere”, „ri-generarsi”… Talvolta si usava anche Renaşterea României = „rinascimento della Romania”- vedasi la serie dei numerosi, imponenti, volumi, di fine Ottocento - primi del Novecento, di documenti curati da D. A. Sturdza, protagonista di spicco del periodo considerato, storico insigne, futuro primo-ministro e Presidente dell’Accademia Romena, intitolata: Materiale pentru a servi la istoria Renaşterii României ed anche il famoso titolo di Al. Marcu, Conspiratori şi Conspiraţii in epoca renaşterii politice a României, 1930 - ma più che di ri-nascita, sarebbe stato meglio parlare di „nascita” vera e propria, poiché un’Italia, come neanche una Romania, non erano mai esistite prima.
Costituisce esercizio facile osservare che, praticamente non esiste data significativa per l’Italia nell’arco di quei cento anni, che non sia stata importante anche per la Romania.

1821: le insurrezioni di Napoli e di Torino, la prima ri-esposizione del Tricolore, in Piemonte, dopo la caduta di Napoleone, i moti carbonari, hanno come corrispettivo, nel mondo romeno, il movimento rivoluzionario di Tudor Vladimirescu (accordato, inizialmente, con l’Eteria greca, partita dalla Russia, interessata a scardinare, con ogni mezzo – meglio se aiutando dei fuorusciti ortodossi! - l’obsoleto Impero Ottomano…), ma anche la cosiddetta Costituzione dei „Cărvunari”, i carbonari romeni (il nome dice tutto - o quasi secondo la famosa formula di Eugen Lovinescu, „l’eguaglianza di tutti, lanciata dalla Grande Rivoluzione Francese, diventa, presso i carbonari moldavi, solo l’eguaglianza di alcuni, cioè quella dei boiari di basso rango, con quelli del primo!”...)[2], in Moldavia, su diretto modello italiano. Tale Costituzione è opera di Ionică Tăutu, che aveva viaggiato in Italia, e venne applicata, ufficiosamente, dal primo principe autoctono („pămîntean”), dopo oltre cento anni di dominio dei principi greco-fanarioti, inviati direttamente dai sultani, Ion Ioniţă Sandu Sturdza, amico del Tăutu (entrambi, piccoli boiari!), dal 1822 al 1826. Sturdza è colui che aveva sostituito (con l’avvallo dei turchi, i quali, dal 1821, erano in rottura definitiva con i greci!) l’ultimo fanariota, Mihai Sutzu… Da notare che il mondo romeno navigava ancora, sostanzialmente, in „acque” pre-moderne (è proprio questo il maggior problema, appartenente all’altro „piatto della bilancia”) al punto che, personalmente, non sono del tutto certo se la rivolta di Tudor costituisca il primo passo verso la modernità e del „risveglio all’Occidente”, o l’ultimo atto di vecchio stampo… Dal linguaggio dei proclami di Tudor, dallo stile pesante dei suoi, molto rudimentali, „programmi”, dai riferimenti che ha, ecc., la seconda ipotesi mi sembra, purtroppo, più plausibile… Resta, tuttavia, che la rivolta di Tudor è il primo evento sincronico romeno con fatti coevi avvenuti nel resto d’Europa (i moti italiani e spagnoli, tipo Rafael Riego, l’insurrezione greca, ecc.) Una novità assoluta per lo spazio romeno.

1830: moti italiani, l’inizio delle azioni di Mazzini, Les trois glorieuses in Francia, e, con l’aiuto decisivo del grande Lafayette, l’avvento del regime orleanista, della monarchia tricolore (preferiremo, più suggestivamente, chiamarla monarchia di sintesi, fra valori monarchici e rivoluzionar-democratici, su modello inglese!) di Louis Philippe, indipendenza e Costituzione democratica in Belgio (modello della futura Costituzione romena del 1866), l’insurrezione polacca del 1831, ecc. Per il mondo romeno, la Pace di Adrianopoli (1829) - che vede sancita, sotto pressione dei russi, vincitori nella guerra contro gli ottomani del 1828-29, anche l’indipendenza della Grecia - segna l’ingresso, vero e proprio, nella modernità (sotto forma dell’esecrato protettorato russo, che ha avuto, però, anche notevoli vantaggi per via dell’avvio all’occidentalizzazione, anche se in veste zarista…). Altresì, segna la riconferma, finalmente, in senso moderno, dell’antica autonomia consuetudinaria concessa, fin dal XIV secolo, dai turchi e la fine del dominio ottomano tradizionale (lo stesso capita alla Serbia). La conseguenza più grave per i romeni rimane, però, l’inizio di 27 anni di duro protettorato russo (1829-1856, interrotto, solo in Valacchia, dai miracolosi tre mesi della Rivoluzione del 1848!). In Valacchia e Moldavia cambia tutto. L’obsoleta amministrazione tradizionale viene rinnovata da cima a fondo, o meglio, viene creata ex novo a livello centrale e locale. Nonostante la durezza del protettorato russo[3], si iniziano riforme fondamentali dell’ordinamento statale, a cominciare dall’introduzione di un embrione di regime „rappresentativo” (42 deputati eletti da circa 500 elettori in Valacchia, più popolosa, soli 35 deputati, per circa 400 elettori, in Moldavia!…)[4], dalla separazione dei poteri, e da una prima forma costituzionale ufficiale, detta Regolamento Organico, imposta dai russi, praticamente uguale in Valacchia e Moldavia - il che spianerà, col tempo, la via all’unificazione, paradossalmente non mal vista dai russi! – e la fine di ciò che rimaneva del monopolio commerciale ottomano (già parzialmente levato, grazie ai russi, nel 1774, alla pace di Kuciuk’Kainardji, che, infine, favorirà la nascita di una borghesia commerciale ed anche produttrice romena, dalla quale scaturirà, per esempio, Tudor Vladimirescu!), quindi di libero accesso al grande mercato internazionale. Senza questa tappa di europeizzazione (è questo il momento in cui entrerà in Valacchia il famoso “primo pianoforte”! Ma, già pochi anni dopo, nel 1844, qui verrà a concertare Franz Liszt, a comprova della straordinaria capacità di sincronizzazione e ricupero di cui fa prova la società romena, o almeno la sua striminzita élite), di ampia apertura all’Occidente, di introduzione, per opera, va detto, dei russi, della lingua e cultura francese (che l’aristocrazia russa possedeva meglio del russo!), senza questi enormi progressi, non sarebbe stato possibile lo sbocciare della generazione, praticamente spontanea (un’ulteriore elemento dell’”altro polo”, sul quale ritorneremo!), che farà la Rivoluzione del 1848, e la Rivoluzione stessa.

1848: l’annus mirabilis dell’Ottocento! Per l’Italia è anche la prima guerra di indipendenza, l’anno dello Statuto albertino, della repubblica romana di Mazzini, delle cinque giornate di Daniele Manin a Venezia. I parallelismi romeni con l’Italia sono lampanti. Fra quarantottini ci si conosce, ci si riconosce. La sorpresa è costituita, però, proprio dall’aggregazione al carro della Rivoluzione europea di una piccola provincia di tipo balcanico - ma desiderosa di scrollarsi di dosso l’ingombrante protettorato russo - di tradizione ortodossa (altro grosso handicap! Ritorneremo), dunque, molto più arretrata delle zone depresse site in aree cattoliche (il Meridione italiano, la Sicilia, la Spagna…) o protestanti (Scandinavia), e, praticamente, sconosciuta al mondo civile: la Valacchia. Dove élites microscopiche, formatesi in soli 15-16 anni, si riveleranno, tuttavia, capaci di smuovere, almeno in apparenza (altra questione dell’altro polo!) un intero popolo e di „sdoganare” tutto un Paese, per farlo entrare definitivamente in Europa. Va ricordato che Bucarest costituì‚ come dice Engels, la punta estrema, verso Est, della Rivoluzione del 1848 (in Moldavia ci furono solo dei moti, a marzo, 1848, subito soffocati), e che la Valacchia fu l’unica terra ortodossa ad aver avuto un Quarantotto vincente. Se il 1830 ed i Regolamenti organici si possono paragonare, per i romeni, all’avvio di un’aereo ed al suo rullare sulla pista, il 1848 ne rappresenta il decollo, vero e proprio5… Piccolo segreto della sorprendente vittoria della Rivoluzione, col suo magnifico Proclama d’Islaz, (migliore dello Statuto albertino!) base nobile, fino ad oggi, della democrazia romena (che funzionò, tre mesi, come dettame costituzionale: libertà assoluta della stampa, principe responsabile, eletto su cinque anni, ricercato in tutti i ceti - tipo repubblica - emancipazione degli ebrei, liberazione degli zingari, riforma agraria, abolizione della corvée, assemblea costituente per suffragio, de facto, universale, tasse per tutti, abrogazione della censura, abolizione della pena di morte e della tortura, eguaglianza dei cittadini, ecc.; tutto ciò, mentre venivano messi sul rogo, in piazza, i Regolamenti Organici, simbolo dell’oppressione zarista!), l’11 giugno 1848: non solo le nostre élites, poche ma di altissimo livello (C. A. Rosetti, Ion e Dumitru Brătianu, Ion Ghica, i quattro fratelli Golescu, più il cugino, detto Golescu-Negru, i fratelli Nicolae – morto a Palermo, nel 1852, ed a cui vi è, ivi, intitolata una strada – e Constantin Bălcescu, ecc.), e che riuscirono a legarsi a personalità come Lamartine, Gladstone, Mazzini o Garibaldi, o Nigra, ma anche, e soprattutto, la discreta, ma concreta, protezione ottomana, ovviamente, in chiave anti-russa… La Rivoluzione sarà, apparentemente sconfitta, come in Italia. In realtà, era stato compiuto qualcosa di irreversibile, come scriveva lo stesso, sovra-citato, Eugen Lovinescu. Le idee della Rivoluzione germogliarono e dettero frutti. Grazie alla Guerra di Crimea, gli ideali del 1848 incominciarono a realizzarsi a partire dal Congresso di Parigi, per culminare con l’elezione dei Divani ad hoc, che dovevano pronunciarsi sull’Unione, votati su basi assai democratiche (vengono eletti anche deputati contadini) – quasi una prima in Europa (ammirato, Cavour, sempre nel 1859, confiderà ad Alecsandri – anche a lui è intitolata una strada, a Torino, in ricordo del suo passaggio: „la consultazione della volontà del popolo romeno, segna l’inizio di una nuova era nel sistema politico dell’Europa”[6] – e con la „piccola Unione”, del 1859, mediante la doppia elezione di Cuza, a Iaşi e Bucarest. Nel mondo romeno, forse per la prima volta nella storia, incominciava a farsi sentire un buon profumo…

1856: la guerra di Crimea (1853-56), grande sconfitta dei russi – che, loro antico incubo, si ritrovano soli contro tutti – alla quale partecipa anche il Piemonte, cambia bruscamente i dati a favore dei diritti dei popoli e dei principi delle nazionalità, soprattutto nel mondo romeno. La Valacchia e la Moldavia si liberano del protettorato russo, e passano sotto la garanzia collettiva delle Sette Grandi Potenze, fra cui il Piemonte. Cavour, dal Congresso di Parigi in poi, appoggerà (tramite il suo console a Bucarest), con tutte le sue forze, lo sforzo di unità romena, anche come ottimo precedente per la propria unità nazionale, preconizzata a realizzarsi da lì a poco [7]. Sono gli anni di gloria dei filo-romeni, che, stimolati anche dall’esilio romeno post-rivoluzionario, anche nel contesto del Congresso di Parigi e successive, decisive, riunioni (tipo conferenza degli ambasciatori, 1858), scrivono molto sul tema, sia in Italia (Carlo Cattaneo, Vincenzo Monti, il mazziniano M. A. Canini, Vegezzi Ruscalla, deputato, che, nel 1863, diventerà, con l’aiuto di Cuza, il primo docente di romeno all’estero, segnatamente, all’Università di Torino, ecc.), che in Francia (Jules Michelet, Edgar Quinet, Paul Bataillard, Ubicini, ecc.) Va detto che, almeno in Francia, tali filoromeni erano da trovarsi quasi esclusivamente in un’unica corrente politica: a sinistra, fra i repubblicani, precipuamente grazie a Michelet e Quinet. Solo congiunturalmente, Napoleone III, ed altri bonapartisti (che non amavano i romeni, in quanto questi erano aiutati dagli avversari repubblicani: Ion Brătianu fu, addirittura, coinvolto in un attentato contro l’Imperatore, all’Ippodromo di Parigi, nel 1854, indi arrestato), per interessi della Francia, non per principi, aiuteranno i romeni.

1859: La duplice elezione di Cuza viene salvata dall’inizio della II Guerra di indipendenza italiana (marzo, 1859). Se Francia e Piemonte non attaccavano, gli Austriaci erano decisi ad occupare i Principati, freschissimamente Uniti. Vienna vedeva la Piccola Unione come uno scacco, a termine, nei confronti della Transilvania asburgica. Alecsandri, accompagnato da Parigi da C. Nigra, l’uomo di fiducia del Cavour a Parigi, visita, con tutti gli onori, Torino, incontrerà Cavour (v. citazione, supra) e sarà ricevuto dallo stesso re Vittorio Emanuele II [8]. Osservatori di Cuza (Ion Bălăceanu, futuro ministro degli esteri, alcuni ufficiali, ecc.) si troveranno a Magenta e Solferino. Un gruppo di sette ufficiali romeni, nel 1860, si fece onore nel corso dell’assedio di Gaeta, sì da venir citati all’ordine del giorno dal Generale Cialdini [9]. Il tradimento della Francia nei confronti dell’Italia, a Villafranca, allontanerà il Piemonte dal suo grande amico, la Francia. Questa, per paura non giustificata della Prussia, si alleerà all’Austria ed incominceranno assieme l’avventura in Messico (1864-67). La Romania, però, non ha mai subito torti dalla Francia (anche perché più lontana e senza confine comune), quindi i rapporti rimarranno ottimi. L’Italia, invece, si orienterà verso l’acerrimo nemico della Francia, la Prussia, che non la deluderà. Dopo decenni di legame idilliaco (Claudio Magris mi raccontò, una volta, che un suo antenato aveva una bandiera italiana risorgimentale sulla quale stava scritto: „Affinché anche l’Italia diventi Francia!”). il rapporto Francia-Italia è irrimediabilmente incrinato. Ma fino al momento Solferino-Villafranca possiamo dire che funzionava un autentico triangolo Parigi-Italia e Parigi-Bucarest, completato dai legami italo-romeni, basati anche sulle comuni amicizie francesi (v. Alecsandri a Torino, raccomandato da Parigi…). Sia la Romania che l’Italia si nutrivano al petto della Francia. Ma, già dopo l’invasione di „Napoleone il piccolo”, come lo definiva Victor Hugo, contro la Repubblica Romana di Mazzini, nel giugno-luglio 1849, questo rapporto scricchiolava. Va detto che a Solferino, nelle file austriache, combattevano molti romeni della Transilvania. Prova: un famoso personaggio del drammaturgo romeno I. L. Caragiale, Marius Chicoş Rostogan, canta, con inflessioni transilvane, un ritornello ricordando la battaglia dalla quale, per volere di Napoleone III, si salvarono tanti austriaci, specie della cavalleria: „La Solferino, ghe vale, trecea un general călare” („A Solferino, nella Valle, passava un generale a cavallo”).

1860: durante le campagne successive alla spedizione dei Mille, sono attestati alcuni romeni (specie transilvani), ma, come dimostra lo studioso Ştefan Delureanu, non nella spedizione principale, come, a volte, si sente dire [10]. Dopo che già il 23 marzo 1859, durante il famoso sopraccitato ricevimento di Alecsandri, Cavour aveva annunciato l’avvenuta nomina del cav. Annibale Strambio come console generale nei Principati Uniti, con residenza a Bucarest, nell’agosto 1860 la Camera di Iaşi aveva votato l’istituzione di un’Agenzia diplomatica romena a Torino (seconda dopo quella di Parigi - luglio 1860 - e prima della successiva, che sarà Belgrado - 1863). Correva voce, non veritiera (da Vegezzi Ruscalla), che vi fosse stato nominato a Torino C. A. Rosetti [11]. Da notare che, prosegue Isopescu, citando Xenopol, Cuza aveva proibito ai vescovi cattolici di Moldavia e Valacchia di dar lettura alla scomunica, nel 1860, di Vittorio Emanuele II, poiché questi era “re galante e di un sangue con noi”.

1861: 17 marzo, proclamazione del Regno d’Italia. I Principati Uniti riconoscono subito il nuovo stato amico, tramite lettera gratulatoria di Cuza recapitata dallo stesso Alecsandri, di ritorno a Torino. Nella lettera si diceva “essendo i romeni di stirpe italiana, più di ogni altra nazione si rallegrano di questo fatto. Da un’Italia forte e potente gli italiani dei Carpazi e del Danubio possono sperare appoggio, come ne meritano la benevolenza”. In risposta, Vittorio Emanuele conferisce a Cuza il Gran Cordone dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro, e la commenda mauriziana a Kogălniceanu, Presidente del Consiglio Moldavo e ad altri statisti romeni [12]. Anche l’Unione di Cuza riceverà, lo stesso anno, finalmente, il riconoscimento ultimo, quello del Sultano (malgrado l’amicizia in chiave anti-russa, post 1812‚ da quando i russi presero la Bessarabia, ed i ruoli di protettore, rispettivamente di nemico, si rovesciarono‚ malgrado le recenti, grandi, convergenze del 1848, i turchi non avevano gradito l’Unione moldo-valacca, che, anzi, avevano cercato di impedire, compreso con brogli elettorali per il Divano ad-hoc moldavo, nel 1857 – situazione salvata solo da Napoleone III che convince, ad Osborne, la regina Vittoria, amica dei turchi, di ripetere le elezioni). Il 4 dicembre 1861, il sultano riconosce, mediante un firmano, l’Unione. Poche settimane dopo, il 24 gennaio 1862, al compimento di tre anni dalla doppia elezione, si ufficializza la fusione fra i due stati romeni – Non più due governi e due parlamenti, ma uno solo, a Bucarest!

1862-64: Scambi di lettere fra Garibaldi e C. A. Rosetti, il grande patriota romeno della sinistra liberale radicale (equipollente alla sinistra storica italiana, di Depretis, Coppino, ecc.), come pure fra Mazzini e Rosetti. Traspare una forte complicità fra i personaggi e molte interessanti interconnessioni. Risulterebbe, addirittura, che Garibaldi, ed i suoi amici, leggevano il romeno.
Il 12 febbraio 1864, infatti, Garibaldi, da Caprera, scriveva a Rosetti:
«Caro Rosetti, ricevo con regolarità il tuo giornale (Românul, n. n.), e devo ringraziarti per questo (…). Io, adesso, sto meglio, e posso camminare quasi senza più zoppicare (si era dopo l’impresa di Mentana, n. n.). Tuo, G. Garibaldi» [13]
L’11 maggio 1863, Mazzini scriveva a Rosetti:
«Ce n’est pas Vous, nos frères, doublement par la race et par la foi politique, qui saurez manquer ‘a cet appel (Mazzini, a nome anche di Garibaldi e del Partito d’Azione, si riferiva ad una richiesta di aiuto per due ufficiali polacchi in viaggio durante l’insurrezione polacca del 1863, n. n.)Votre frère, Joseph Mazzini» [14]
Il 12 ottobre 1862, Augusto Vecchi, aiutante di campo di Garibaldi, scriveva anche a nome di Giovanni Basso, l’altro aiutante di campo dell’Eroe dei Due Mondi:
«Giovanni Basso e me stesso siamo, da sempre, lettori assidui del Suo giornale (Românul, n. n.) e spesso abbiamo comunicato al Generale le coraggiose intenzioni di cui è animato, Augusto Vecchi» [15]
In quello stesso periodo, il governo italiano aveva fatto un vero e proprio “abbonamento di sostegno” per il giornale Românul di Rosetti, di cui, delle 2750 copie, tiratura complessiva, 200 copie andavano in Italia [16], probabilmente per biblioteche, ministeri, enti pubblici etc.
Infine, un vero e proprio manifesto fu indirizzato da Garibaldi - sotto forma di lettera ad un gruppo di studenti romeni di Torino (fra cui Romolo Scriban), organizzati da M. A. Canini per incontrare il Generale - ed intitolata Ai rumeni. Nella lettera datata Torino, 20 marzo 1862, si legge: “Seduti fieramente al vostro posto, nel consesso delle nazioni, ne meritaste la fratellanza e, massime, quella dell’Italia, con cui Voi avete comunanza di sangue, comunanza di origine. Sì, generosi figli di Roma. Ambi marceremo serrati (...) ed insieme daremo l’ultimo crollo alla tirannide. Sono con affetto, Vostro, G. Garibaldi. [17]
Va ricordato che M. A. Canini fu anche fondatore di una Società italo-romena (Torino, 1862) cui aderirono molti nomi insigni fra cui Luigi D’Ancona, grande amico del Canini, Francesco Crispi (il vice di Garibaldi in Sicilia, durante l’impresa dei Mille e futuro primo ministro - “il Bismark dell’Italia”), il famoso generale Della Rovere, J. A. Vaillant (grande filo-romeno francese, attivo fin’ prima del 1840 a Bucarest, importante massone e docente al Collegio Sfântul Sava - San Sabba), addirittura lo scrittore Alexandre Dumas, noto garibaldino, il generale ungherese Turr, dell’impresa dei Mille, l’immancabile Vegezzi Ruscalla, Terenzio Mamiani, ministro della pubblica istruzione, ecc. [18]

1866: III guerra d’Indipendenza dell’Italia. Battaglia di Sadova e di Lissa. L’Italia ricupera, grazie alla Prussia, il Veneto, Friuli compreso. Mentre imperversavano le battaglie, a maggio, Carlo I di Hohenzollern viaggiava, incognito, lungo il Danubio, su una nave austriaca – non c’era altro! – per occupare il suo trono, di principe, non ancora di re, a Bucarest.

1870: Breccia di Porta Pia, annessione di Roma, sgomberata dai francesi che difendevano il Papa (Pio IX), dal 1849, ma che erano dovuti convergere sul fronte prussiano, dove a Sedan si dava la battaglia finale. In Romania, un gruppo di liberali radicali, facente capo ad un giovane, Candiano-Popescu, futuro generale - e, ulteriormente, diventato, grazie al suo coraggio nella Guerra di Indipendenza, notata da Carlo I aiutante di campo, proprio del re! -, proclamano un’effimera repubblica a Ploieşti, nell’agosto, 1870, addirittura qualche giorno prima della proclamazione, il 4 settembre, della III Repubblica francese. Non era, come la si dipinge spesso, una storia d’operetta, presa in giro dal grande drammaturgo Caragiale. Dietro le quinte si trovavano gli infaticabili capi liberali Ion Brătianu e C. A. Rosetti.
Nel 1871, la Romania fu l’unico paese che tramite il suo parlamento espresse all’Italia la sua profonda gioia per il trasferimento della Capitale nella Città eterna [19].

1877: Guerra d’Indipendenza della Romania, costretta ad entrarvi a causa della volontà russa di fare guerra all’Impero Ottomano. Il dramma fu che i romeni temevano molto di più gli „alleati” russi, che non i „nemici” turchi. Fare la guerra accanto a falsi amici, contro falsi nemici… ecco un dramma… Un po’ di chance fu che i russi sottovalutarono i turchi ed ebbero bisogno impellentemente dei romeni… Così accettarono il coinvolgimento dei romeni, altrimenti negato. L’esercito romeno, guidato da Carlo I, si fece onore, e questi si conquistò la stima dei romeni, che fino ad allora gli era mancata. Ciò non impedì che gli “alleati” russi occupassero tacitamente la Romania, alla fine delle operazioni, nel 1878. Si dovette solo alla presenza di un Hohenzollern sul trono, tramite gli interventi di Bismarck, la salvezza dell’indipendenza romena che, paradossalmente, fu per prima riconosciuta proprio dai russi in virtù degli accordi russo-romeni. Durante la guerra, molti garibaldini (come il giornalista Luigi Cazzavillan, inizialmente corrispondente di guerra, fondatore, nel 1884, del più grande quotidiano storico romeno, Universul – prima addomesticato, poi soppresso dal regime comunista nel 1953 – su modello del Corriere della Sera) vollero accorrere per aiutare sul fronte la Romania. Una legione garibaldina, sotto il comando del colonnello Sgarellino, vecchio compagno del Generale, ed avente come vice proprio Cazzavillan, era pronta in Serbia, dove aveva agito contro i turchi, nel 1866. Rammaricandosi di non poter intervenire di persona perché “vecchio, ammalato ed immobilizzato”, Garibaldi scriveva a Sgarellino: “I tuoi volontari dicano ai fratelli romeni che, anche se lontano, il pensiero e l’anima di Garibaldi sono con essi”. Ma una spedizione organizzata delle camice rosse non si fece più. La legge romena vietava gli arruolamenti di volontari ... [20]
Nello stesso 1877, la Sinistra Storica di Depretis, giunta al potere, vara la legge Coppino, per l’istruzione pubblica gratuita ed obbligatoria, però di soli tre anni. Ciò avveniva quattordici anni dopo la legge analoga di Cuza, che istituiva invece quattro anni di studi elementari.

Dicembre, 1879: in seguito alla Guerra d’Indipendenza, l’Italia riconosce, ufficialmente, prima fra le grandi potenze, la Romania, dopo che questa aveva risolto, almeno formalmente, mediante revisione costituzionale, l’abrogazione del famigerato art. 7 che impediva agli ebrei di ottenere la cittadinanza romena. Le altre Potenze avrebbero riconosciuto la Romania indipendente nel corso dell’anno successivo, 1880.

14 marzo 1881: La Romania si proclama Regno. Coincidenza di data, ad esatti vent’anni di distanza, dal momento del voto per il Regno, del Parlamento Italiano, nel 1861 (benché in Italia si festeggi la ratifica di tale voto, il 17 marzo)!

1882: In Italia, i collegi elettorali passano da quattro a tre. Una riforma simile sarà attuata anche in Romania, nel 1884. L’Italia aderisce alla Triplice Alleanza, trascinata dall’amica Germania, ma contro natura, dato il suo conflitto con l’Austria-Ungheria. La Romania, costretta dal crollo dell’alleato francese, ed impaurita dalla Russia, vi aderisce, però segretamente, poiché, anch’essa, si trovava nella Triplice contro natura. Italia e Romania si ritrovano, così, alleate, benché abbiano un nemico comune anche dentro la propria Alleanza: l’Austria-Ungheria.

1912: In Italia si introduce il voto universale maschile. In Romania, „Ionel” (Giovannino)‚ Bratiano, „il Giolitti romeno”, figlio del vecchio Ion, introdurrà la stessa riforma nel 1914, ma, per il sopravvento della Grande Guerra, non la attuerà che nel 1919 (quando, ironia della sorte, perderà le elezioni, benché avesse vinto la guerra!)

1914 - 1918: Prima Guerra Mondiale, detta, per l’Italia, anche „IV guerra d’Indipendenza”. La Romania guarda all’Italia, anch’essa, alleata contro natura, alla Triplice, durante la neutralità. Il 24 maggio 1915, l’Italia entra in guerra a fianco dell’Intesa, ma solo contro l’Austria. Ciò incoraggia la Romania a staccarsi anch’essa dalla Triplice. Il 15/27 agosto 1916 la Romania, finalmente, entra in guerra, assieme all’Intesa. L’Italia, prendendo spunto dal nuovo alleato, dichiara, lo stesso giorno, guerra anche alla Germania. Dopo alterne, terribili, vicende, le due Nazioni finiranno vittoriose ed attueranno il loro sogno di unità completa. L’Italia con Trento, Trieste, Gradisca, Gorizia, Zara ed Istria, la Romania con la Transilvania, la Bucovina ma anche, inaspettatamente, grazie al dramma della „defezione russa” per causa della Rivoluzione bolscevica, che ci fece sfiorare la catastrofe della sconfitta, con la Bessarabia! In Italia, fin dagli inizi del 1918, si era organizzata, in divise italiane, sotto bandiera italiana e romena, una Legione Romena, composta da prigionieri di guerra romeni dell’Esercito Austriaco e disertori che si consegnavano, per motivi patriottici, agli italiani. Dopo la guerra, la Romania diventa un Paese di 295.000 km quadrati, mentre l’Italia, uno di 310.000 circa, territori del tutto paragonabili. Un’ennesima coincidenza!…

Per concludere: lungo tutto l’Ottocento, l’Italia e la Romania sono stati due Paesi divisi, parzialmente occupate da imperi rapaci, quale quello asburgico per entrambi (più direttamente la componente austriaca per l’Italia e quella ungherese, specie dopo il 1867, per la Romania), al quale si aggiunge l’Impero russo, solo per quanto riguarda la Romania, che possedeva, dal 1812, la Bessarabia. Esse riescono, faticosamente, al prezzo di mille sacrifici, sfruttando anche circostanze esterne, ad espletare la propria unità nazionale, ma anche a conquistarsi l’indipendenza. Lotta per l’unità e lotta per l’indipendenza andavano di pari passo. La Romania è stata costretta a fare guerra contro un falso nemico, i turchi, a fianco di un falso alleato, che le voleva ogni male - i russi (1877). L’Italia, invece, è stata obbligata a fare quattro guerre (1848-49, 1859, 1866, 1915-18, e due campagne, i Mille, 1860, e la Breccia di Porta Pia, 1870), contro un autentico, temibile, avversario, l’Austria, il nemico ereditario, onde strappargli, pezzo per pezzo, i territori italiani che occupava, lungo l’arco dei cento anni che vanno dal 1821 al 1918. E ci è anche riuscita, con l’aiuto di alleati forti quali, Francia, prima e Prussia, poi. La Romania, debole e piccola, com’era, non poteva invece mai sperare di strappare,con la forza, la Transilvania o la Bucovina a Vienna, come aveva fatto l’Italia con la Lombardia (1859) od il Veneto (1866), ed ancor meno di staccare la Bessarabia dalla “grande” Russia.
Bisogna sempre tener presente che la Romania si è formata sentendo, di continuo, il soffio dell’Impero zarista sulla nuca, da quando questi raggiunge il confine moldavo sul Nistro, nel 1792, e fino al crollo dell’URSS, 199 anni più tardi, e la nascita della statalità ucraina, che ha messo centinaia di chilometri fra la Romania e la nuova frontiera russa, spostata, adesso, molto più a Est… Va detto anche che il Piemonte, fin dal 1720, aveva statuto di regno indipendente (Regno di Sardegna), ancorché debole, mentre Valacchia e Moldavia avevano solo uno status autonomo, sottomesso all’Impero Ottomano fino al 1829, rimasto, nominalmente ottomano, anche dopo il 1829, ma in realtà sottomesso al volere della Russia „protettrice” fino alla fine della Guerra di Crimea nel 1856, il che cambiava tutti i dati del problema. Raramente, però, eventi più simili e paralleli di quelli che hanno portato a compimento dell’Italia e della Romania.
La Valacchia, che si è trovata, in qualche modo, a capo del movimento di rigenerazione nazionale - Bucarest era la più grande città romena! - non era, invece, come il Piemonte, la provincia più ricca e progredita. Quella più ricca e progredita era, indubbiamente, col metro romeno, la Transilvania (tuttavia, una delle meno evolute dell’Impero Asburgico!), ma era soggetta all’Austria, e non aveva, quindi, spazi di movimento, come, paradossalmente, aveva l’autonoma, ma molto arretrata Valacchia… Ecco la spiegazione per cui tutti si volgevano verso Bucarest.
Ed è sempre a Bucarest che Gheorghe Lazăr, transilvano, matematico e filosofo, doppiamente dottore a Vienna, trasporta e riaccende in terra più libera della sua Transilvania, sottoposta, dopo il 1815, ai rigori di Metternich (ma quanto bisognosa di lumi era questa Bucarest, nello stato di imbarbarimento orientale in cui versava…), la fiaccola della coscienza nazionale romena, nata dai Lumi della Scuola Transilvana (che aveva dato il Supplex Libelus Walachorum, nel 1791, il primo documento di presa di coscienza dei romeni, redatto nell’atmosfera degli anni della Rivoluzione francese), sorta in ambiente greco-cattolico, ma diffusa anche oltre (lui stesso era ortodosso). Ha acceso questa fiaccola sotto forma di insegnamento, diremmo noi, oggi, di tipo liceale,in lingua romena, e non più in greco, presso una sola classe della vetusta Accademia “Domnească” (“Principesca”), che languiva, più che esisteva, fin dal 1694. Nasce così, o meglio si trasforma in questo modo la vecchia Accademia, nella Scuola di Sfântul Sava - San Sabba, (dal nome del monastero in cui funzionava, davanti all’odierna università), la prima “scuola superiore” moderna del mondo romeno, fucina di tutti i futuri rivoluzionari del 1848. Fu Lazăr a formare Heliade Rădulescu, il capo-scuola, almeno per l’età, 46 anni, dei rivoluzionari, futuro capo della corrente più moderata, ma giocoforza maestro di pensiero di praticamente tutti, ovvviamente, in mancanza d’altro, sulla “piazza intellettuale” di Bucarest… È Lazăr che aiutò anche Tudor Vladimirescu per la balistica, ma per questo fu scacciato dopo la sconfitta del 1821. È triste però notare che Lazăr ebbe, de facto, un unico discepolo e continuatore. Ciò può ben rendere l’idea di quanto esigua era la “società consapevole” romena, all’epoca. Si può identificare, quindi, un autentico filo rosso fra la nascita della Chiesa greco-cattolica in Transilvania, 1697, la succesiva Scuola Transilvana, cui diede nascita, il Supplex - pubblicato nel clima della Rivoluzione francese -, il passaggio di Lazăr in Valacchia con la fiaccola della coscienza nazionale, e le Rivoluzioni del 1821 e del 1848. Non a caso, Heliade, nel 1848, de facto capo del governo, volle la prima statua di Bucarest, per il suo maestro, Lazăr… Riconosceva in lui colui dal quale tutto aveva preso la prima mossa.
La grande, enorme, vistosa, differenza - che ricordavamo nel nostro titolo - fra mondo romeno e mondo italiano, consisteva dunque proprio nel pauroso baratro di discrepanza fra livello di civiltà e di cultura. Ciò, almeno al livello tradizionale e della massa. Per fortuna, non parliamo delle striminzite, microscopiche élites... Uno come Lazăr cercava di sopperire, come meglio poteva, esattamente a questo. Ma quanta strada bisognava fare… La più raffinata, sofisticata e sedimentata civiltà europea, difficilmente poteva paragonarsi ad un mondo, come quello romeno, in cui anche un cattolicesimo di “serie B”, come quello uniate, si era rivelato provvidenziale per strappare, in qualche modo, quelle genti alla miseria endemica, al fango dell’ignoranza - e ciò era valido soltanto per una determinata parte della Transilvania… Che dire di un mondo nel quale la prima scuola moderna sorge appena nel 1816… In cui il primo pianoforte era entrato, appunto, a 40 anni dalla morte di Mozart… In cui, fino verso il 1830, neanche nelle case dei boiari si potevano trovare sedie e tavoli, non parliamo di libri o quadri (appena passavi in Valacchia, proveniente da Braşov, addio sedie, addio letti, addio tavoli! - testimonianze scioccanti, raccolte dai resoconti dei viaggiatori esteri, pubblicate dal mio ex studente, oggi, amico, lo storico e sociologo Bogdan Bucur, ed allor’quando, verso il 1840, i boiari incominciano a portare “dall’estero” principalmente transilvano, mobili in casa, continuavano a sedersi per terra, accanto ai mobili…)[21]. Era questo lo stato in cui versava il mondo moldo-valacco, balcanico ed extra-occidentale, per il semplice fatto di essere ortodosso..., il grosso problema, il problema di fondo cui si confrontava tutta la società romena. Sono traumi che lasciano segni per secoli e che spiegano ritardi storici, sacche di primitivismo e molti altri “mostri”, nati quando il progredire della sottile coltre di modernizzazione, ed un sano modello sociale, si sarebbero di nuovo arrestate all’avvento del comunismo, rovesciatore di valori.
Eppure, quel mondo di generazione spontanea, formatosi fra il 1830 ed il 1848, è riuscito a ricuperare, ad educarsi, e ad entrare nei salotti buoni europei, a parlare da pari a pari con esponenti di spicco, non qualsiasi, del mondo occidentale che contavano mille anni di cultura, alle spalle. Fra un Bălcescu, un Ghica od un Rosetti, prima generazione valacca educata occidentalmente, non c’era nessuna differenza intellettuale, materiale o di cultura politica, rispetto ai loro interlocutori europei, che potevano essere anche ministri degli esteri, come Bastide, l’amico di vecchia data di Ion Ghica, fin dal 1835 circa, Palmerstone, oppure con letterati e/o politici come Lamartine… Decisamente, fra quaranttottini ci si intendeva bene nel linguaggio della libertà, evidentemente, in francese... Fra la generazione di Dinicu Golescu [22], invece, che viaggia in Europa nel 1824, e sembra un marziano (ma un „marziano”, tuttavia pieno di buona volontà e curioso di conoscere questo mondo nuovo) e quella dei suoi figli, che dialogano fra uguali con i loro amici francesi, italiani od inglesi, c’è un abisso [23]. Nel giro di meno di vent’anni, le élites riescono a superare l’abisso, anche forse perché, a loro, i mezzi patrimoniali non mancavano…Oltre, ovviamente, alla componente massonica della questione, che non bisogna mai perdere di vista (non c’era uno che non lo fosse, a differenza dell’Italia, dov’era presente anche qualche rara corrente non massonica) e che già predispone all’eguaglianza e al livellamento, però all’insù... Questo è il vero miracolo! Solo che questa “acculturazione” non toccava che una cerchia, uno strato ristrettissimo della popolazione… Una società civile ridottissima, sottilissima, questo era il vero problema dei romeni. Il livello socio-economico e culturale... La penetrazione in profondità delle novità, perché, da queste parti, tutto era novità… Ecco il disavanzo ed il pauroso gap, la tremenda differenza rispetto all’Italia, ed al resto dell’Europa cattolica, ed ancor di più protestante, di cui parlavamo all’inizio. La più raffinata società occidentale ed una delle più indietreggiate d’Europa, da cui facilmente poteva scaturire una società a due velocità: la coltre evoluta e gli altri. Se in Italia si calcola che solo il 2% della popolazione abbia partecipato, in un modo o l’altro, al Risorgimento (v. le cifre, tratte dalla linguistica, di Tullio De Mauro), nel mondo romeno trattasi di un non rilevante statisticamente numero di persone… Se pensiamo che gli esuli banditi dal territorio dopo la sconfitta apparente della rivoluzione del 1848 erano in tutto 22 valacchi più 12 moldavi [24], ci possiamo facilmente rendere conto delle proporzioni: 200-300 persone in tutto [25]. Eppure questi 2-300 hanno smosso e fatto passare in Europa, sotto il loro ampio manto, una nazione intera, spaventosamente arretrata, povera ed ignorante, avendo come circostanza aggravante, come abbiamo visto, l’appartenenza al mondo ortodosso, che di per se è risaputo quale fattore storico di oscurantismo e sottosviluppo, senza alcuna comune misura con le aree cattoliche o riformate europee, anche le meno evolute.
Tuttavia, nel 1918, il Risorgimento italiano ed il movimento di Rigenerazione nazionale romena, sono riusciti, entrambi, dopo giusto un secolo, finalmente, definitivamente, ad approdare al traguardo. Alla pace di Versailles, dopo tanti sacrifici, questo autentico „programma comune” non scritto, era diventato realtà! „Il meraviglioso atto compiutosi alle falde dei Carpazi”, di cui parlava Cavour, si era, infine, „realizzato anche ai piedi delle Alpi”, e viceversa. Altre nubi si sarebbero, in seguito, però, addensate, su entrambi Paesi, due decenni più tardi. Ma questa è un’altra storia.
Il Risorgimento e la Rigenerazione nazionale è quanto di meglio, di più alto e di più esaltante hanno fatto italiani e romeni lungo tutta la loro millenaria esistenza.

Adrian Niculescu
(n. 1, gennaio 2012, anno II)

NOTE

1. Al. Marcu, V. Alecsandri e l’Italia, Roma, A.R.E., 1929, p. 101 (v. anche l’edizione romena, V. Alecsandri şi România, Bucarest, 1927, p. 102) e Claudiu Isopescu, Saggi romeno-italo-ispanici, in Piccola Biblioteca Romena, a cura di Claudio Isopescu, Angelo Signorelli Editore, Roma, 1943, pp. 66-67.
2. E. Lovinescu, Istoria Civilizaţiei Române Moderne, a cura di Zigu Ornea, Editura Ştiinţifică, Bucarest, 1972, p. 109.
3. Sulla durezza del protettorato russo, o regime regolamentare, istituito dopo la Pace di Adrianopoli (1829), v. la accorte osservazioni di Karl Marx in K. Marx, Însemnări despre români (manuscrise inedite), pubblicate da A. Oţetea e S. Schwann, Editura Ecademiei Republicii Populare Române, Bucarest, 1964 (libro che fece epoca e suscitò scalpore, commissionato dal regime comunista Gheorghiu-Dej, nel momento del distacco della Romania da Mosca - attualmente semi-dimenticato), osservazioni riprese, in Italia, dall’oggi rarissimo volume Karl Marx, I Russi in Romania, quattro manoscritti inediti, a cura di Luciano Troisio, Editrice COO-POE, Padova, 1971.
4. E. Lovinescu, op. cit., pp.. 105 (con un errore circa il numero di deputati in Moldavia – 34 anziché 35!); 232 (numero corretto!).
5. Adrian Niculescu, Revoluţia de la 1848 - confirmare a modernizarii româneşti şi treptele parcurse (II), în revista Viaţa Românească, 8-9, Bucureşti, 2009, p.24.
6. Al Marcu, ivi, Claudiu Isopescu, ivi.
7. ivi: Difendendoli (i romeni al Congresso di Parigi n. n.), ho seguito la mia propria convinzione, in conformità con gli interessi della famiglia latina, e continuerò la stessa politica con tutte le mie forze” precisava Cavour nella parte non riprodotta dello stesso saluto rivolto ad Alecsandri, il 23 marzo 1859, ripreso, supra, da noi, come motto.
8. Rivolto ad Alecsandri, re Vittorio Emanuele II disse: „Porti i miei affettuosi complimenti al Principe Cuza e gli dica da parte mia che tutte le scuole civili e militari del mio Regno sono aperte pei romeni, i quali vi saranno accolti come fratelli”, Claudiu Isopescu, ivi, p. 72. Di più: da una nota dello stesso Isopescu, citando il Diario 1858-60 sull’azione politica di Cavour, del giornalista e politico Giuseppe Massari (pubblicato a Bologna, Editrice Cappelli, 1931), in data 10 febbraio 1859, si desume che il governo piemontese avesse addirittura dato istruzioni al famoso generale Durando di avversare un possibile intervento ottomano nei Principati, volto contro l’Unione di Cuza (ivi, pp 65-66, nota 2 - contenente anche altre notizie sulla simpatia con la quale Cavour seguisse la vicenda dell’avvenuta Unione moldo-valacca).
9. ivi, p. 71.
10. Ştefan Delureanu, Romeni con Garibaldi nella Campagna dei Mille, atti del Seminario internazionale „Garibaldi e la Sicilia nel 1860" (Palermo, 6-8 aprile 1983), Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo, Archivio Storico Siciliano, serie IV, volume IX, 1983, pp. 161-192., lista dei volontari garibaldini romeni, pp. 184-186; v. anche, idem, Garibaldi între mit şi istorie, Editrice Paideia, Bucarest, 2007 - liste dei romeni presenti nell’Esercito Meridionale di Garibaldi, a pp. 213-215.
11. Claudiu Isopescu, ivi, p. 68, e nota 4 (Gazzetta Ufficiale del Regno, 18 sett. 1860; sulla presunta nomina di C. A Rosetti, è citato il Mondo Illustrato, 20 ott. 1860, p. 241).
12. ivi, p. 69. A p. 163, si dice che la lettera di Cuza, recapitata da Vasile Alecsandri, fu addirittura la prima autografa, ricevuta da Vittorio Emanuele II da un sovrano straniero…
13. Al. Marcu, Cospiratori şi conspiraţii în Epoca Renaşterii politice a României (1848-1877), Bucarest, 1930, p. 323.
14. ivi, pp. 322-323.
15. ivi, pp. 316-317. riprodotta anche in Ştefan Delureanu, Garibaldi între mit şi istorie…, pp. 184-185. Il 4 giugno 1866, da Caprera, Garibaldi scriveva al „suo caro Rosetti, ministro in Moldo-Valacchia”, raccomandandogli il generale Istvan Turr, „mio fratello d’armi”, ex capo divisione dell’Esercito Meridionale, nel 1860-61, “che è in viaggio verso di voi” (Delureanu, ivi, p. 185).
16. Domenico Caccamo, L’Italia, la questione del Veneto ed i Principati Danubiani (1861-1866), in Storia e Politica, XIX, fasc. III, Edizioni Giuffré, settembre, 1980.
17. Claudiu Isopescu, ivi, pp. 75-76. v. anche Ştefan Delureanu, Garibaldi intre mit şi istorie ..., p. 209 (curiosamente, senza menzione della data).
18. Claudiu Isopescu, ivi, p. 77; lista completa dei membri, p. 78-81.
19. ivi, p. 69.
20. Al Marcu, Cospiratori şi conspiraţii..., p. 352. Per la relazione che ne fa Cazzavillan dell’evento e la lettera di incoraggiamento di Garibaldi a Sgarellino, v. anche Delureanu, Garibaldi între mit şi istorie..., pp. 207-208.
21. Bogdan Bucur, Devălmăşia valahă, Editura Paralela 45, Bucarest, 2008, pp. 206-207.
22. La migliore introduzione alla personalità di Dinicu Golescu lo si deve al compianto, recentemente scomparso, lo scorso 7 giugno 2011, Mircea Iorgulescu, nella sua ricchissima post-fazione, dal titolo emblematico: Dinicu Golescu o la normalità quale eccezione, alla principale – e, praticamente, unica - opera del Golescu, Insemnare a călătoriii (sic!) mele (1824, 1825, 1826), edizione a cura di Mircea Iorgulescu, Editura Minerva, 1977(libro che segna l’autentico ground zero, dal quale, con ritardo di secoli, è stata avviata la modernizzazione, cioé l’occidentalizzazione, della società romena!).
23. Ion Breazu, Michelet şi Românii, Cluj, 1935 (ottimo, forse il migliore, volume per quanto concerne il capitolo-chiave dei rapporti fra quarantottini romeni e francesi), p. 34.
24. Buletinul Ofiţial al Prinţipatului Ţării Româneşti, Nr. 42, 25 septembrie 1848 (per la prima lista dei proscritti della Valacchia, che incomincia da Ion Heliade Rădulescu).
25. Adrian Niculescu, Epoca paşoptistă - prima intrare a românilor în Europa, Studia Universitatis Babeş-Bolyai, Historia, 1-2, anno XLII, Cluj-Napoca, 1997, p. 146.