Cioran e la genealogia del demiurgo. Note al «Cahier de Talamanca»

Nel Cahier de Talamanca (Mercure de France, Paris, 2000, ediz. it. Taccuino di Talamanca, Adelphi, Milano, 2011), si legge che, nell’estate del 1966, Cioran progetta un saggio sulla redenzione: «Non mi è ben chiaro quale piega debba prendere il mio saggio sulla redenzione. (Bisogna che legga Mainländer, rilegga E. von Hartmann e mi rituffi negli gnostici)» [1]. Cioran è indeciso: «Al mio ritorno dovrò decidere se scrivere il saggio sul cafard o quello sulla redenzione, due progetti tra i quali tentenno da alcuni mesi» [2]. E ancora : «Quale senso trovare all’idea di redenzione? Tentare di leggere il libro di Philipp Mainländer: Die Philosophie der Erlösung» [3].
Ci sembra opportuno riportare un altro frammento, dove Cioran associa il nome di Basilide all’idea di redenzione – che prenderà poi forma, nel 1969, ne Il funesto demiurgo: «Credo, insieme allo gnostico Basilide, che l’umanità debba rientrare nei suoi limiti naturali facendo ritorno a un’ignoranza universale, autentico segno di redenzione. Bisogna che l’uomo superi la conoscenza, rinunci all’avventura della conoscenza [...]» [4].

Non sembra azzardato osservare le corrispondenze fra il concetto di redenzione nello gnostico Basilide e nello schopenhaueriano Mainländer, ai fini di una fenomenologia dello gnostico in Cioran. Quello di Basilide è un nichilismo ante litteram: «[...] ogni essere, ogni cosa, l’universo preso nella totalità del suo divenire sono destinati a trovare il loro compimento definitivo nella notte della ‘Grande Ignoranza’, nella pace del ‘non essere’» [5].
La testimonianza sulla dottrina di Basilide, che Cioran cita, è quella di Ippolito, Confutazione VII, 27,1: «Allorché tutta la filialità sarà giunta e si troverà al di sopra del limite, cioè dello Spirito, allora la creazione troverà compassione. Infatti finora geme e si angustia e aspetta la rivelazione dei figli di Dio (Ep. Rom. 8, 19.22), affinché tutti gli uomini della filialità salgano qui in alto. Allorché ciò sarà avvenuto, Dio distenderà su tutto il mondo la grande ignoranza, affinché ogni creatura resti nella sua condizione naturale e nessuno desideri alcunché di ciò che è contro natura» [6]. L’idea di redenzione dello gnostico Basilide si traduce quindi in un ritorno al non essere che Cioran vede come possibile via di salvezza: «Redenzione: attraverso la conoscenza, attraverso il superamento della conoscenza» [7]. Dépaissement, «oltrepassamento» della conoscenza che si lega alla Erlösung, la «redenzione» della filosofia di Mainländer [8].
Sull’autore della Filosofia della redenzione – erede, insieme a Bahnsen e Hartmann del pensiero schopenhaueriano [9] –, scrive Volpi: «Architettò un sistema filosofico in cui concentrò il pessimismo dei suoi due maestri [Schopenhauer e Leopardi]: una ontologia negativa, una metafisica nera, basata sul principio secondo cui ‘il non essere è preferibile all’essere’» [10]. Mainländer pensa, come Schopenhauer, che non si conosce la cosa in sé bensì le sue apparenze, il mondo essendo così una rappresentazione. Ma, mentre in Schopenhauer la cosa in sé è volontà di vita, per Mainländer la cosa in sé è volontà di morte, anticipando così il concetto freudiano di Todestrieb, l’impulso di morte. Egli propone «[...] un’ardita congettura teologico-metafisica: essa nasce dal processo attraverso il quale la sostanza divina originaria – termine che egli riprende da cafard, altra scoperta fatta a Napoli – trapassa dalla sua unità trascendente alla pluralità immanente del mondo. E afferma: ‘Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo’, coniando per primo un’espressione che sarà resa famosa da Nietzsche» [11].

Un Dio che si dà la morte passando dall’essere al nulla, de-creandosi, è qualcosa di molto simile al Dio ineffabile, inconoscibile degli gnostici. Mainländer parla infatti di un’azione della trascendenza, mediante la quale il «super-essere» che sta oltre l’essere e precede il mondo si dissolve nell’immanenza del mondo e quindi nel non essere. Manifestazione di una volontà di autoannullamento di Dio è ciò che si vede nel mondo. L’ignoranza auspicata da Basilide è qui presente in atto. Con la sua metafisica dell’entropia – che culmina nel gesto del suicidio, praticato per redimersi dall’esistenza –, il filosofo tedesco, da moderno canard, persuasor di morte, dà forma alla vertiginosa intenzione di «guardare negli occhi il Nulla assoluto». Di sicuro, oltrepassando la «conoscenza». Non a caso una sezione de Il funesto demiurgo – nato indubbiamente anche dalle letture dell’opera di Mainländer – s’intitola Incontri col suicidio. Così Cioran: «Bisogna essere avidi d’assoluto per prendere in considerazione il suicidio. Ma si può farlo anche quando si dubita di tutto. Ed è comprensibile: più si cerca l’assoluto più si sprofonda nel dubbio, per il disappunto di non poterlo raggiungere, dubbio che sarebbe poi l’inverso di una ricerca, la conclusione negativa di una grande impresa, di una grande passione. L’assoluto è inseguimento; il dubbio, una ritirata. Questa ritirata, inseguimento all’incontrario, urta, quando non sa fermarsi, contro estremità inaccessibili a ogni percorso razionale. All’inizio era soltanto un modo di procedere; eccolo vertigine, come tutto ciò che s’inoltra al di là di sé stesso. Avanzare o retrocedere verso dei limiti, scandagliare il fondo di qualcosa, è andare incontro, necessariamente, alla tentazione di autodistruggersi» [12].
Il dubbio dello scettico Cioran resiste tanto alla forma d’assoluto dell’ortodossia gnostica quanto a quella delle radicale redenzione mainländeriana: il sospeso obliquo oscilla nello stadio della tentazione. La redenzione di Cioran continua ad essere tutta all’interno della costellazione frammentaria della sua scrittura. La scrittura del «cafard».




Umberto Cardinale
(n. 1, gennaio 2015, anno V)




NOTE

1. E.M. Cioran, Taccuino di Talamanca. Ibiza (31 luglio-25 agosto 1966) [Cahier de Talamanca. Ibiza (31 juillet-25 août 1966), 2000], tr. it. di C. Fantechi, Adelphi, Milano, 2011, p. 39.
2. Ivi, p. 22.
3. Ivi, p. 31.
4. Ivi, pp. 16-17. «Basilide, lo gnostico, è uno dei rari intelletti ad aver capito, all’inizio della nostra èra, ciò che oggi è un luogo comune, cioè che se l’umanità vuole salvarsi, deve rientrare nei propri limiti naturali mediante il ritorno all’ignoranza, vero segno di redenzione. Questo luogo comune, affrettiamoci a dirlo, è ancora clandestino: ciascuno lo sussurra, guardandosi bene dal proclamarlo. Quando sarà diventato slogan, un passo avanti considerevole sarà stato compiuto». E.M. Cioran, Il funesto demiurgo, trad. di D. Grange Fiori, Milano, Adelphi, 1986, pp. 132-133.
5. H.C. Puech, Sulle tracce della Gnosi, Prefazione, trad. a cura di F. Zambon, Milano, Adelphi, 1985, p. 25.
6. In Testi gnostici in lingua greca e latina, a cura di M. Simonetti, Milano, Mondadori, 1999, p. 173.
7. E.M. Cioran, Taccuino di Talamanca, cit. p. 17.
8. Cfr. P. Mainländer, Schriften.4 Bde.Hrsg. von W.H.Müller-Seyfarth, Olms, Hildesheim, 1996-1999.
9. Cfr. l’ottimo saggio di G. Invernizzi, Il pessimismo tedesco dell’Ottocento. Schopenhauer, Hartmann, Bahnsen, Mainländer e i loro avversari, Firenze, La Nuova Italia, 1994.
10. F. Volpi, Mainländer. Una filosofia da suicidio, «La Repubblica», 7 aprile 2001, p. 46.
11. Ibidem.
12. E.M. Cioran, Il funesto demiurgo, cit., pp. 80-81.

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