Mircea Eliade, «Gaudeamus»: una poetica dell’«esperienza vissuta»

Storico delle religioni, nell’accezione peculiare di morfologo ed ermeneuta del fatto religioso, Mircea Eliade (1907-1986) rivelò sin dagli anni di formazione liceale un precoce talento di scrittore coltivando con entusiasmo molti generi letterari dal racconto al romanzo, al diario intimo, all’annotazione di viaggio e di costume. Costanti nelle pagine confessive dei Diari e delle Memorie sono i riferimenti ai suoi due «universi spirituali», quello diurno (lo studioso delle religioni) e quello notturno (lo scrittore) quali componenti essenziali e comple­mentari della sua creatività [1]. A partire dall’esilio in Francia, nel 1945, l’«universo notturno» verrà a costituire uno spazio di libertà pervicacemente cercato strappando tempo alla in­tensa attività di ricerca e insegnamento per rifugiarsi nella scrittura letteraria nella madre lingua romena.

In un testo autobiografico, scritto nel 1953 per una rivista dell’esilio, Eliade ricostruisce i rapporti tra la sua opera filo­sofica e scientifica e la sua opera letteraria a partire dai primi «racconti fantastici», alcuni pubblicati, altri rimasti inediti, e dai primi scritti «realisti»: «I miei tentativi letterari furono sin dall’inizio, e senza interruzione, “fantastici” e “realisti”. Collocherei tra questi romanzi autobiografici: Il romanzo dell’adolescente miope e il suo seguito, Gaudeamus, con dei ricordi della mia vita di studente universitario. Quest’ulti­mo era anche il mio primo romanzo d’amore, perché allora quando lo scrivevo ero innamorato – come tutti gli studenti –, anzi mi pareva di essere innamorato di due studentesse allo stesso tempo» [2].

Nel primo volume delle memorie, iniziato nel 1960 [3], Elia­de ritorna sui due inediti e, a proposito del secondo, ne riassu­me con maggior dettaglio la tematica centrale: «Nel gennaio del 1928, decisi di scrivere il seguito de Il romanzo dell’ado­lescente miope. La “vita da studente” si avvicinava alla fine e volevo coglierla e conservarla interamente in un romanzo autobiografico che avevo intitolato Gaudeamus. Questa volta non avevo a disposizione un Diario, come al tempo del liceo. Non mi proponevo del resto di scrivere un romanzo documento, perché non si trattava di descrivere un fenomeno così poco conosciuto e così difficile da capire come l’adolescenza. In un certo senso la “giovinezza” mi sembrava una condizio­ne banale, che solo un grande amore poteva salvare dalla ba­nalità e unicamente a condizione di sacrificare questo senti­mento e di rinunciarvi. A quel tempo avevo un’idea del tutto personale di cosa dovesse essere una “grande passione”. Mi sembrava che un amore non fosse veramente degno di que­sto nome se non trovava il suo compimento nel matrimonio o se non si rinunciava ad esso nel momento in cui raggiungeva il suo punto massimo di incandescenza. […] Sentivo che do­vevo scrivere Gaudeamus allora, in quell’inverno del 1928 e che dovevo farlo senza perdere tempo, se volevo fissare delle immagini che cominciavano già a impallidire: gli inizi della “vita da studente”, le ripetizioni [della nostra corale] nella mia mansarda, i miei primi incontri con Tea. D’altra parte avevo il presentimento che avrei rinunciato alla “grande pas­sione” che allora stavo vivendo e cominciavo a prepararmi in vista di questa prova e a preparare allo stesso tempo anche R., facendole capire che la più bella parola d’amore che le potevo dire, era proprio questa: che mi sacrificavo a lei, sa­crificandola. Il mio romanzo aveva come soggetto proprio questo amore, iniziato nel rifiuto e nell’esaltazione, compiuto in una specie di irreale felicità, e infine soffocato senza colpa di nessuno e, per lo meno agli occhi di un normale lettore, senza motivo e senza giustificazione» [4].
Eliade ricorda di aver sottoposto il manoscritto a Meny Toneghin alle edizioni Cartea Româneascb (Il libro romeno): «Sorrise stancamente e mi rispose che “Cartea Româneascb” pubblicava solo autori considerati classici, come Mihail Sa­doveanu e qualche altro, oppure dei giovani romanzieri di successo, come Ionel Teodoreanu. Ma quest’ultimo era per il momento il solo giovane scrittore che avesse successo. […] Ritornai a casa con i miei manoscritti e da allora non cercai più un editore. Mi accontentai di far circolare Gaudeamus tra gli amici. Ne pubblicai anche un frammento in “Viawa Lite­rarb” (La vita letteraria). I due manoscritti furono poi sepolti in fondo a un cassetto assieme a tanti altri» [5].

Per quanto riguarda quest’ultima annotazione, i ricordi sono imprecisi; nel 1929 Eliade scrive da Calcutta allo scrit­tore Cezar Petrescu (1892-1961) proponendo la pubblica­zioni di cinque lavori già ultimati: il romanzo Isabel xi ape­le diavolului (Isabella e le acque del diavolo), un volume di racconti, una raccolta di articoli, Il romanzo dell’adolescente miope e «un romanzo universitario (titolo non definito)» [6]. Solo il primo romanzo verrà pubblicato, l’anno successivo, e segnerà il debutto del giovanissimo scrittore, che, nel 1933, con il romanzo autobiografico Maitreyi [7], otterrà consacrazio­ne ufficiale dalla critica e successo popolare.

Il romanzo dell’adolescente miope (ultimato in versione definitiva tra il 1924 e il 1925) rimarrà inedito fino al 1983-1988 [8] e Gaudeamus fino al 1986-1989 [9]. Il primo, documento appassionato di un adolescente, avido di letture e cono­scenze non imposte, in lotta con se stesso e con il mondo, con le proprie crisi e le proprie debolezze («carnefice del sentimentalismo»), caparbiamente alla ricerca di una perso­nalità forte e delineata, ha impressionato la critica romena soprattutto per la novità delle tecniche narrative e il precoce talento di scrittura [10]. Il secondo, più compiuto e maturo sul piano dell’intreccio narrativo, della descrizione di ambienti sociali, atmosfere e personaggi, prosegue la sperimentazione letteraria del primo nella direzione di una personale poetica dell’«autenticità» e dell’«esperienza vissuta», in opposizione alle convenzioni retoriche tradizionali e alla ricerca esaspera­ta del bello stile e dell’originalità.

Per Gaudeamus si possono proporre due modalità diverse di lettura. Lo studioso interessato alla biografia dell’autore del Trattato di storia delle religioni potrà trovarvi riscontri precisi di un periodo cruciale di formazione e del contesto storico rispettivo. Alla lettura del romanzo si potrebbero ac­costare le pagine di alcuni capitoli delle Memorie e gli inter­venti e le ricostruzioni storiografiche degli specialisti più qua­lificati [11]. Gli inizi della vita universitaria, i ritratti di docenti e compagni di corso, il circolo studentesco, la mansarda di strada Melodiei (luogo centrale nella «geografia spirituale» eliadiana del periodo romeno), la scoperta di nuovi orizzonti filosofici e religiosi, la collaborazione alle riviste, il viaggio in Italia sono sequenze narrative del romanzo e al contempo momenti significativi della vita dell’autore. Il liceale «adole­scente miope», attratto inizialmente dalla teosofia, incontra il «pragmatismo magico» di Giovanni Papini e l’antroposofia di Rudolf Steiner in una sua personale ricerca di spiritualità e di assoluto. Guide e modelli nella formazione di una di­sciplina della volontà sono anche personaggi letterari come Brand di Henrik Ibsen e Martin Eden di Jack London, ai quali rimarrà fedele negli anni universitari.
L’ingresso nella Facoltà di Lettere e Filosofia segna, tutta­via, una svolta. Il diciottenne Eliade, cresciuto in un contesto agnostico e attratto dalle vie esoteriche e occultistiche, trova nell’insegnamento «socratico» di Nae Ionescu (1890-1940; semplicemente il «professore di logica e metafisica» nel ro­manzo) aperture culturali nuove verso la tradizione cristia­na, ortodossa, cattolica e protestante. «Svolta» non significa per il giovane universitario «conversione», ma presenza ora attuale del pensiero cristiano nella ricerca di una sintesi o di una conciliazione con le scelte spirituali precedenti. Nel romanzo, tale ricerca è riflessa in modo drammatico nel dialogo con lo studente di filosofia convertito alla tradizio­ne cristiano-ortodossa, ma traspare anche nel dialogo con l’amico ebreo Marcu e lo studente di medicina nazionalista e antisemita. Sullo sfondo, le tensioni crescenti e le violenze dei movimenti studenteschi della destra radicale con il loro rifiuto della Costituzione del 1923 e le richieste pressanti del numerus clausus per l’ammissione degli studenti della mino­ranza ebraica nelle Università.

Gli elementi autobiografici presenti in Gaudeamus pos­sono offrire pertanto l’occasione di approfondimenti di un contesto storico e culturale, quale quello romeno degli anni interbellici, per molti versi negletto o misconosciuto. Del ro­manzo inedito che qui presentiamo è tuttavia possibile una lettura diretta, indipendente dalle esplorazioni intertestuali. Una scrittura vivace e tesa, l’inserzione del monologo, del­la confessione diaristica e di scambi epistolari ci presenta­no un’immagine singolare di un ventenne alla conquista di se stesso attraverso una «via eroica» e una personalissima «ascesi etica»: la disciplina dello studio, il rifiuto all’abban­dono nostalgico, il ripudio delle facili soluzioni e dei medio­cri compromessi. La natura è sempre presente, con i suoi rumori, suoni, colori e profumi, non come scenario decorati­vo all’azione ma come stimolo e riflesso dell’agitarsi del pen­siero e del turbamento dei sensi e dei sentimenti. La passione amorosa per Nixka, prima negata poi trionfante, trova la sua sconfitta nella scelta della rinuncia. Nel contrasto tra volontà e tentazione della felicità amorosa vince la scommessa sul domani: «Il cielo è ora insanguinato e calmo. Il sole scende vicino a un bosco e a un ruscello. Sento correre il treno as­setato di orizzonti. Il campo con il frutto seminato mi turba. Non posso staccare gli occhi dall’orizzonte verso il quale il treno corre senza stancarsi. La mia anima è aspra, immensa e serena. Dietro a me, intuisco la presenza degli altri. Davanti a me, sento il fluttuare di destini…».

Roberto Scagno
(n. 6, giugno 2012, anno II)

NOTE
1. Per un’analisi critica puntuale ed equilibrata, cfr. Marco Cugno, Mircea Eliade: lo studioso e il narratore, «l’uomo diurno» e «l’uomo notturno», in Con­fronto con Mircea Eliade. Archetipi mitici e identità storica, a cura di L. Arcella, P. Pisi, R. Scagno, Jaca Book, Milano 1998, pp. 27-42.
2. M. Eliade, Fragment autobiografic, in «Caete de Dor», nr. 7, iulie 1953, pp. 1-13, trad. it. Frammento autobiografico, in appendice a M. Eliade, Le mes­si del solstizio. Memorie 2. 1937-1960, a cura di R. Scagno, Jaca Book, Milano 1996, pp. 218-219.
3. I primi otto capitoli, scritti tra il 1960 e il 1963, arrivano fino al momento della partenza per l’India nel novembre del 1928, e costituiscono il volume Amintiri (Ricordi), uscito in romeno a Madrid, nel 1966, presso una casa edi­trice romena dell’esilio. Cfr. M. Eliade, Amintiri i (Mansarda), Destino, Ma­drid 1966.
4. M. Eliade, Le promesse dell’equinozio. Memorie 1. 1907-1937, a cura di R. Scagno, Jaca Book, Milano 1995, pp. 150-151.
5. M. Eliade, ibid., p. 154.
6. Lettera a Cezar Petrescu, datata Calcutta 1929 in M. Eliade, Europa, Asia, America. Corespondenwa, vol. 2, L-P, Humanitas, Bucurexti 2004, pp. 463-464.
7. Maitreyi, Editura «Cultura Nawionalb», Bucurexti 1933 (trad. it. Maitreyi. Incontro bengalese, Jaca Book, Milano 1989).
8. Dieci capitoli sono apparsi nella rivista «Manuscriptum», nr. 1, 2, 3 (1983), e altri due nella stessa rivista (nr. 1, 1987), poi in forma integrale, con il titolo Romanul adolescentului miop, suppl. della rivista «Manuscriptum» (Muzeul Literaturii Române), Bucurexti 1988 (con postfazione di Mircea Handoca).
9. Gaudeamus, pubblicato in «Revista de istorie xi teorie literarb» (nr. 2-3, 1986), poi riedito insieme a Romanul adolescentului miop, sotto il comune titolo di copertina Romanul adolescentului miop, a cura di Mircea Handoca, Editura Minerva, Bucurexti 1989.
10. Per un’analisi del testo rinvio alla mia prefazione all’edizione italiana Il romanzo dell’adolescente miope, trad. dal romeno di Celestina Fanella, Jaca Book, Milano 1992, pp. 5-22. Cfr. Marin Mincu, Opţiunea pentru metaroma­nesc şi autenticitate, in «Caiete critice», nr. 1-2, 1988 (ma uscito nel 1990), pp. 161-162; Dumitru Micu, În căutarea autenticităţii, Editura Minerva, Bu­curexti 1994; Eugen Simion, Mircea Eliade romancier, Oxus, Paris 2004, pp. 27-32.
11. M. Eliade, Le promesse dell’equinozio, cit., i capitoli vi («Et maintenant, à nous deux…») e vii («La lezione di Kierkegaard»); Mac Linscott Ricketts, Mircea Eliade. The Romanian Roots, 1907-1945, East European Monographs Boulder / Columbia University Press, New York 1988, vol. i, part ii, «Gau­deamus igitur. The University Years (1925-1928)»; Florin Turcanu, Mircea Eliade. Le prisonnier de l’histoire, Éditions La Découverte, Paris 2003.