Stile e invenzione: Florina Ilis, ritratto di una scrittrice romena contemporanea

Florina Ilis (1968) si è laureata in Lettere presso l’Università «Babeş-Bolyai» di Cluj, ateneo dove ha conseguito in seguito il dottorato. Debutta nel 2000 con il volume Haiku şi caligrame (Haiku e calligrammi), un’inedita combinazione tra poesia e calligrafia in collaborazione con Rodica Frenţiu. Nel 2001 pubblica il romanzo Coborârea de pe cruce (La deposizione dalla croce, seconda edizione nel 2006), mentre nel 2002 è la volta di Chemarea lui Matei (La vocazione di Matteo). Segue nel 2005 Cruciada copiilor (La crociata dei bambini, seconda edizione nel 2008), che conclude questa ideale trilogia. Quest’ultimo romanzo, uno dei libri romeni che più riconoscimenti letterari in assoluto ha ottenuto in questi anni, è stato insignito del Primo premio per la Prosa dell’Unione degli Scrittori di Romania, del Premio «Libro dell’anno 2005», offerto dalla rivista «România Literară» e dalla Fondazione «Anonimul», del Premio della rivista «Cuvântul» per la prosa e del Premio «Radio România Cultural». È stato tradotto in ebraico, francese (Miglior libro straniero 2010 per la rivista «Courrier International»), spagnolo, italiano (pubblicato dalla Isbn Edizioni nel 2010) e in ungherese ed è prevista anche la prossima uscita in traduzione inglese. Nel 2006 pubblica il suo quarto romanzo, Cinci nori coloraţi pe cerul de răsărit (Cinque nuvole colorate nel cielo d’Oriente, proposto in traduzione italiana da Atmosphere Libri, 2011) e un testo per il teatro, Lecţia de aritmetică (Lezione di aritmetica, ed. Echinox), mentre del 2005 è la pubblicazione dello studio Fenomenul science fiction în cultura postmodernă. Ficţiunea cyberpunk (Il fenomeno science fiction nella cultura post-moderna. La fiction cyberpunk), edito presso le Edizioni Argonaut.Nel 2007 è stata insignita del Premio per la Prosa «Ion Creangă» offerto dall’Accademia di Romania.

Recentemente è uscito il suo attesissimo quinto romanzo, Vieţile paralele (Vite parallele, Cartea Românească, 2012), uno straordinario viaggio sospeso tra finzione e realtà storica attorno alla vita del poeta romeno per antonomasia, Mihai Eminescu, «mito» nazionale e ultimo dei grandi poeti romantici europei. All’attività di narratrice, Florina Ilis affianca inoltre quella di responsabile del Dipartimento di Informazione presso la Biblioteca Centrale dell’Università di Cluj e quella, sempre nelo stesso ateneo, di docente presso la Facoltà di Lettere, Sezione di giapponese. Florina Ilis è membro dell’Unione degli Scrittori di Romania.



«La crociata dei bambini»


Con il titolo di questo romanzo, Florina Ilis si rifà a un episodio occorso nel medioevo, quando, secondo alcune fonti, un bambino francese, o, secondo altre, tedesco, cui era apparso Gesù, organizzò una crociata in Terra Santa composta solo da fanciulli. La storiografia non ha mai potuto pronunciarsi con certezza sulla veridicità o meno di tale evento, e l’episodio è ancora sospeso tra leggenda e realtà storica. Riutilizzato nel contesto del romanzo, e ambientato nella Romania attuale, la Ilis intende così contrapporre per fini narrativi il mondo dei bambini a quello degli adulti così come è colto nel suo romanzo.

Definito dalla scrittrice stessa come un romanzo-cascata, il libro presenta una struttura molto densa, a incastro, come un puzzle. La storia ha inizio un mattino d’estate nella stazione ferroviaria di Cluj, dove due gruppi di persone – uno di adulti, l’altro di allievi di vario grado provenienti da altrettante scuole, tra cui la Scuola Generale n°10 – aspettano i rispettivi treni: i primi il rapido per Bucarest, i secondi il loro treno speciale che li deve portare al mare, alla colonia di Năvodari, assieme ai loro professori. Subito, fin dalle prime battute, si è catapultati nell’azione e nell’intrico di tutta una selva di personaggi, adulti e bambini presenti nei due treni – ma ne intervengono poi molti altri nella trama, non presenti nel treno –, ciascuno con un proprio nome, di cui l’autrice svela, poco a poco, i tratti distintivi della loro psicologia. All’inizio nulla sembra accomunare tutta questa folla apparentemente disomogenea di adulti e ragazzi; tuttavia sta giusto in questo elemento il meccanismo narrativo, che imprime al romanzo una sua forza dinamica avvincente, dirompente: tutti questi personaggi, nel fluire degli eventi, s’intersecheranno infatti fra loro, in un modo o nell’altro, direttamente o indirettamente, appunto come in un gioco a incastro, in cui nomi, situazioni, storie si legano, rincorrendosi di continuo, riemergendo e inabissandosi come in un flusso carsico. I loro destini finiranno così quasi tutti poi per incontrarsi pur partendo da situazioni e realtà assai diverse.
Il momento cruciale del romanzo si ha quando, mettendo a punto una strategia meticolosissima, i ragazzi della scuola decidono di sequestrare il treno – in un gioco ingenuo o velatamente di ripicca nei confronti dei professori, e degli adulti in generale, che abusivamente, ai loro occhi, stabiliscono regole e condotte – gioco che in seguito avrà fatalmente drammatici sviluppi, anche con spargimento di sangue –, coadiuvati da una delle figure centrali del romanzo, un ragazzo zingaro, Calman, orfano (cresciuto dalla «zia», la fattucchiera Angelica), che vive ai margini della società (la sua casa sono le fogne di Bucarest), vittima, come la sorellina Margareta – che apparirà a un certo punto nella storia – di abuso e sfruttamento sessuale, e che si intrufola di nascosto nel treno dei bambini; questi ultimi, ignari di chi fosse e di come si trovasse tra loro, lo accettano però con entusiasmo per il suo evidente carisma, come proprio stratega. I professori, senza sospettare nulla, saranno le prime vittime del sequestro dei loro stessi allievi: nel momento in cui scatta il piano, i ragazzi li bloccheranno dentro i loro scompartimenti, mentre ai due macchinisti, raggiunti dai ragazzi nella locomotrice dopo aver tirato il freno d’emergenza, e tenuti a bada da Calman con un coltello, viene ordinato, una volta rimesso in moto il treno, di puntare dritti a Bucarest. 
La notizia del sequestro trapela e la stampa nazionale se ne impossessa, trasformandola in un sensazionale evento mediatico, ripresa anche a livello mondiale, che mette in subbuglio la Romania, con un governo titubante, incerto sul da farsi, che invia l’esercito e truppe speciale contro dei supposti terroristi. In un primo momento si crede infatti che il treno sia stato assaltato da un gruppo di terroristi; poi, incredibilmente, si scopre che sono effettivamente dei ragazzi ad aver architettato il tutto. Sull’onda del clamore suscitato dall’evento e dalla sua esposizione mediatica, una folla di ragazzi, «vittime» anche loro del mondo degli adulti – ragazzi di quella galassia invisibile che vive ai margini della società, senza mezzi, sfruttati, senza una famiglia, costretti all’accattonaggio per sostenersi –, converge da tutto il paese verso il treno, ora fermo in mezzo al bosco, nei pressi di una località, Posada (non a caso sede di un’altra storica battaglia romena), decisi a unirsi ai bambini sequestratori per dare loro forza e sostegno nelle loro rivendicazioni, riconoscendo in essi una voce che mai prima d’ora li aveva rappresentati. In un crescendo appassionante ed emotivo, il romanzo termina, dopo un ultimo momento di drammatica concitazione, con la resa dei bambini, e con essi la fine, in un certo senso, della loro innocenza, in cui si assiste, nelle ultime pagine, anche al funerale di Romulus, uno dei bambini sequestratori feriti a morte, e quello di Irina, una ragazza morta di AIDS, protagonista «esterna» di uno dei tanti episodi a incastro del romanzo. Ritornati così nell’alveo delle proprie famiglie, per chi almeno ne aveva una, saranno ricevuti dal primo ministro perché ascolti le «rivendicazioni», a nome di tutti i ragazzi (case per i bambini che vivono in strada, legalizzazione delle adozioni internazionali, programmi di integrazione  sociale), all’origine di tale clamoroso gesto, e questi, in un discorso da perfetto politicante, li riconduce crudamente nel mondo degli adulti, un mondo che non può e non vuole comprendere i desideri e i bisogni dei bambini.  

Linguaggio e stile sono curati nei dettagli, calibrati, con frequente uso di dialoghi interiori, mentre quelli diretti non sono disposti «a scala», né delimitati da virgolette, ma sono inseriti direttamente nella catena sintattica: il tutto è stilisticamente ineccepibile e sintatticamente ardimentoso, con spruzzate di registri linguistici più bassi o dal carattere popolare, per caratterizzare, per esempio, i personaggi negativi o diastraticamente connotati (zingari o mondo della marginalità, della criminalità e della prostituzione), ma sempre trattati con contenutezza, non fine a se stessi. Ciò che convince nell’autrice è la sua indubbia capacità di catturare l’attenzione del lettore, fin dalle prime pagine, con un sapiente dosaggio degli elementi narrativi e del loro effetto sorpresa e di sospensione dei fatti, della loro ripresa e ri-innesto nella trama.
In fine, merita sottolineare un tratto distintivo che spicca nel romanzo: si tratta dell’uso particolare della punteggiatura. Ne La crociata dei bambini infatti l’autrice ha scelto, come nei suoi due precedenti romanzi, di non usare mai il punto: le frasi scorrono quindi, una dopo l‘altra, intercalate solo dalla virgola, o eventualmente da punti esclamativi e interrogativi. Questa tecnica originale ha un impatto sull’ordine sintattico che a volte stordisce benignamente il lettore, il quale, risucchiato dalla forza narrativa della scrittura di Florina Ilis, può avere la sensazione di trovarsi qua e là in un labirinto e dove quindi potrà districarsi afferrandosi, come Arianna, a un filo per trovare la via d’uscita.



«Cinque nuvole colorate nel cielo d’Oriente»

Cinque nuvole colorate nel cielo d’Oriente è il titolo, un po’ enigmatico e un po’ poetico, del penultimo romanzo di Florina Ilis, che in realtà è facilmente decodificabile una volta entrati nel suo sofisticato congegno narrativo.
Sono cinque i protagonisti del romanzo, o per meglio dire, quattro in carne e ossa più un piccolo robot, Qrin. Sono colorati perché cangianti e sorprendenti come quelle sfumature di colore che ci sforziamo di catturare o definire in un’unica tonalità e tutti e cinque si stagliano idealmente come un arcobaleno sopra il cielo del Giappone: l’intreccio narrativo si dipana infatti in Giappone, a Tokyo e dintorni.
I protagonisti sono due coppie di giovani: la prima formata dalla coppia giapponese, Kiyomi e Ken, sposati, e la seconda da due giovani romeni, Darie e Lili (quest’ultima giunta in Giappone per trovare lavoro in una delle tante agenzie di accompagnatrici o escort: sarà Ken a presentarla a Darie). Questi compongono così il quartetto protagonista al centro della trama, un quartetto che intesse un anomalo, sorprendente menage amoroso, poiché i primi sono rispettivamente gli amanti dei secondi. Qrin è il robot, quasi umano, che «vive» nell’appartamento di Darie, adottato da questi, in un certo senso. Era infatti un prototipo ideato da lui nell’impresa di cibernetica di Ken, in cui lavora, considerato però, a torto, come mal riuscito, e quindi destinato a essere rottamato. Darie, invece, di nascosto lo salverà, portandolo nel suo appartamento. Qrin, in tutto il romanzo, sarà il fedele guardiano di casa e alleato «esterno» di Darie, una sorta di deus ex machina, che s’immolerà per lui (coscientemente?), come si potrà leggere nelle ultime pagine del romanzo. 

Il romanzo inizia apparentemente come un giallo: la scomparsa e il ritrovamento del cadavere di una donna. Accanto al corpo viene rinvenuto un biglietto su cui è scritto un numero di telefono, un indizio che conduce la polizia direttamente all’appartamento in cui abita Darie. Questi, essendo il principale sospettato, viene quindi convocato dall’ispettore Haneda perché riconosca il cadavere della donna, che secondo lui è quello di Lili. Darie teme che possa essere sì quello di Lili, perché non la vede e non ha sue notizie da tempo ormai. Tuttavia alla fine si convince che non può trattarsi di lei.
Da questo episodio comincia però tutt’altra storia, o per meglio dire, comincia il romanzo vero e proprio che si dipana in quattro capitoli (il quarto, quello di Lili è concepito in forma di lettera), ciascuno per ogni protagonista – più il quinto, breve, ma sensazionale, come epilogo, in cui «parla» il robot Qrin – che funzionano come delle scatole cinesi: sono quattro storie che si avviluppano e che s’intersecano, svelando, attraverso il racconto, narrato sempre in prima persona, di ciascun protagonista, i complessi rapporti psicologici e interpersonali dei quattro personaggi. Ciò quindi che può sembrare all’inizio un romanzo sospeso tra una storia «noir» e il giallo si tramuta sotto gli occhi del lettore in un ardito e teso gioco psicologico costellato da piccoli ma straordinari ed efficaci colpi narrativi. Procedendo, infatti, da un capitolo all’altro, nel momento in cui si pensa di aver colto il filo logico e conduttore della narrazione, ecco che in quello seguente tutto ricomincia da capo, tutto viene rinarrato sotto un’altra luce dal nuovo personaggio di turno, ma con altri elementi e nuovi episodi che mettono a nudo i lati nascosti e sorprendenti di ciascuno, rilevati al lettore, ma ignoti agli altri protagonisti. Scopriamo così che Kiyomi è doppiamente infelice e combattuta intimamente: da un lato a causa del matrimonio con Ken sull’orlo della rottura perché non riescono ad avere figli, ad avere un erede, soprattutto, per l’impresa della famiglia, un erede che la coppia, a un certo punto, architetta di far avere da Lili; e dall’altro a causa della sua incapacità di adattarsi, pur volendo farne parte, alle rigide regole della società giapponese, lei che è figlia di una inglese e di un giapponese, educata all’occidentale in Inghilterra.
Nel capitolo che ha come protagonista Ken veniamo invece messi di fronte al suo tormentoso complesso edipico: sposando Kiyomi, lui in realtà vuole recuperare l’amore perverso, quasi incestuoso, che ha avuto con la propria madre quando era adolescente. Così, se da un lato Kiyomi, amando Darie, è come se volesse recuperare il suo lato occidentale, dall’altro Lili, che si trascina dietro pure lei un episodio traumatico della sua vita (una relazione extraconiugale avuta con un professore ai tempi del liceo), nel suo rapporto amoroso con Ken, s’immedesima nella stessa Kiyomi, quasi fosse lei in realtà sua moglie, pur non negando di essere attratta fisicamente da Darie. In tal senso, i quattro personaggi potrebbero realmente sostituirsi gli altri agli altri, in un gioco a incastro delle parti che ci appare perciò sfuggevole ma allo stesso tempo inebriante e fascinoso per il loro continuo cambio di prospettiva.
In tale ottica, il romanzo quindi non propone un finale vero e proprio, ma uno che può variare a seconda di come lo intuisce o se lo immagina il lettore; meglio sarebbe dire che l’autrice suggerisce un finale, senza quindi che sia necessariamente quello definitivo, quello che pone il classico punto conclusivo.

Le Cinque nuvole dispiegano sotto i nostri occhi un’altra tematica cara all’autrice e ricorrente nei suoi romanzi (come quella del rapporto uomo-donna, adulto-bambino, della crisi d’identità ecc.): il modo dell’informatica, della cibernetica, del virtuale. Florina Ilis ancora una volta perlustra il legame che l’uomo instaura con essi, e da cui è permeato, di come fa uso e di come si pone nei loro confronti. Non a caso di lei si è scritto che nei suoi romanzi ha elaborato una «estetica della realtà virtuale».
Come dato peculiare tutto giapponese di questo romanzo (che, in effetti, è stato definito «il romanzo giapponese» della Ilis), si segnalano i versi in lingua originale tratti da una celebre raccolta di poesie di autori di epoca medievale (la Hyakunin Isshu) che aprono e chiudono ciascun capitolo: non sono degli inserti fini a se stessi, bensì trovano una loro logica e sottile collocazione all’interno della trama del libro. Cinque nuvole si configura quindi anche come una piccola introduzione alla cultura e alla società giapponesi, combinando in modo originale il suo antico lascito con la realtà moderna che il lettore ha modo di scoprire nel romanzo.    

Per finire, tracciando un parallelo con la Crociata, se la tecnica narrativa «a incastro» che nella Crociata coinvolge decine di personaggi, in Cinque nuvole viene circoscritta a solo quattro voci, ma l’effetto che la Ilis ne ricava è ugualmente efficace e, proprio per questo motivo, più emotivamente compatto e pregno.
La scrittura di Florina Ilis, tanto in questi due romanzi come in quelli precedenti, scorre fluida e cristallina, come fluide e cristalline sono le pennellate di poesia che stende armoniosamente qua e là tra le righe, il tutto sorretto da una eleganza e da una destrezza che potrebbero conferire a Florina Ilis il qualificativo di «virtuosa della lingua» della narrativa romena. Capacità inventiva e fantasia sorreggono inoltre questa scrittura di tale elevata tenuta stilistica tanto da fare di Florina Ilis una delle autrici più apprezzate e discusse nel panorama attuale della prosa romena.


Mauro Barindi
(n. 1, gennaio 2013, anno III)