Letteratura migrante: Irina Ţurcanu e il suo «Alia su un sentiero diverso»

Essere immigrante in un nuovo mondo presume sempre un distacco violento e doloroso dal mondo in cui sei stato creato, cui segue un periodo pieno di angoscia in lotta con la propria identità deformata, obbligata contro la sua natura ad adattarsi anche a luoghi a essa ostili.

Ritornata in Italia, dopo una settimana passata in Romania, a Iaşi, la mia città del cuore e della mente, ho trovato nella mia camera, sulla scrivania, un pacco. Il messaggio, la sua calligrafia indicavano in qualche modo qualcosa del modo di essere di colui o di colei che lo aveva concepito. La scrittura, molto curata, un po’ come quella di un «bravo alunno», leggermente piegata a destra con tendenza ascendente, mostrava una persona femminile istruita e ordinata, generosa  e con una spiccata sensibilità, molto speciale. Dentro il pacco c’erano tre libri: due appartenevano alla stessa scrittrice, il terzo invece era curato da lei. Scelgo a caso un libro, Alia su un sentiero diverso e lo sguardo si sofferma sulle righe scritte dall’autrice. Erano indirizzate a me:«Per Ana Maria, una storia sulle radici e sul desiderio di trovare nuove terre per nasconderli. Irina Ţurcanu». È questo uno dei motivi che mi hanno spinto a scrivere una recensione sul primo romanzo di Irina Ţurcanu.   

Il libro, pubblicato a Torino nel 2008 dalle Edizioni Seneca, è il romanzo d’esordio dell’autrice, all’epoca appena diciottenne. Strutturato in quindici capitoli, è ascrivibile al filone della «narrativa contemporanea», che affronta una delle tematiche attuali più dibattute: l’immigrazione. Il romanzo racconta la storia d’amore tra due giovani appartenenti a due diversi modelli culturali. Alia, una ragazza arrivata dalla Romania, si innamora di Don (Dionisio), un bel ragazzo italiano. Intorno a questo nucleo, motivo detonante per la narrazione, la scrittrice inserisce nella struttura del testo un contesto culturale nuovo, quello romeno, con lo stile di vita, le tradizioni, i costumi, i riti delle famiglie romene immigrate in Italia.

Il tema centrale, al di là della narrazione e dell’evoluzione dei personaggi, è lo sradicamento e la ricerca di una terra fertile dove poter rimpiantare le proprie radici. Il titolo del libro – Alia su un sentiero diverso – diventa metafora dell’esperienza della perdita dell’orizzonte, di estraniamento ma anche di ricerca e di ritrovamento di un altro luogo per declinare la propria identità.

Il romanzo è preceduto da una pagina di «Note dell’editore»  in cui il lettore è informato sulla veridicità di alcuni fatti presentati e sulla natura fittizia di altri. La seconda pagina è riservata ai ringraziamenti della scrittrice per l’importante contributo apportato durante la stesura del romanzo da parte di Alessia Magnani. La terza pagina contiene la dedica della scrittrice rivolta a una persona di nome Vanessa.

A mo’ di prefazione, la scrittrice inserisce una Premessa, citando J. Lacan: «La bugia è il velo che cela la verità». La verità, a sua volta, è una piccola parte di un tutto, come insegnava J. Lacan. «Mentire quindi è rivelare tacendo una piccola parte di un tutto». [1] Le parole incluse nella citazione codificano, molto sottilmente, come d’altro canto anche la metafora del titolo, la reale sostanza del romanzo, che non è l’amore (questo rappresenta solo lo spunto narrativo) ma la perdita, il ritrovamento della terra fertile in cui l’eroina vorrebbe «nascondere le sue radici».

Per il suo tema, il romanzo si inscrive nella Letteratura di immigrazione italiana, e si affianca alle prove in prosa degli altri scrittori romeni italofoni (scrittori immigrati). È un tema di grande attualità, incentrato sulla società romena dopo la Rivoluzione del 1989, che, come se fosse stata colpita da una «malattia contagiosa», emigra massicciamente verso occidente alla scoperta di terre più accoglienti.

All’inizio del romanzo assistiamo all’incontro tra Alia e Don (Dionisio) in una panetteria, proprio nel giorno del suo compleanno, che offre il pretesto alla scrittrice di presentare l’intera famiglia della protagonista. Più avanti, Alia va con la sua amica, Claudia, in una discoteca dove incontra di nuovo Don, per il quale incomincia a sentire una certa attrazione. L’amore diventa reciproco e i due giovani continuano a vedersi in varie altre occasioni. In una di queste, Alia scopre l’esistenza di una «possibile rivale», Corina, sulla quale vuole sapere qualcosa di più. Uscita da poco da una infelice storia d’amore, con il cuore a pezzi, la giovane teme di dar libero sfogo ai propri sentimenti amorosi. Ciò ha come conseguenza che Don parte per la Germania, lasciando Alia in preda all’angoscia nata dalla paura di perdere l’amore di cui è conscia solo in quel momento.

La morte del nonno, Vladimir, la riconduce in Romania, dove l’eroina assisterà ai funerali, con tutti i riti e gli usi tradizionali specifici del popolo romeno di fede cristiano-ortodossa. Il ritorno nel paese d’origine offre al personaggio l’occasione di ritrovare il suo passato, l’infanzia, l’adolescenza, la «casa» come luogo familiare e di conforto, e soprattutto il luogo «dove sono sepolti i nostri morti». [2]

Rientrata in Italia, Alia decide di partire con Don, che la cercava, riannodando così la storia d’amore. Arrivata con lui in Germania, si iscrive all’Università. Però la vita accanto al giovane ragazzo si rivela monotona, senza gioia, e la loro relazione diventa quasi invisibile. Il sentimento di un doppio sradicamento, una profonda tristezza, tutto trasforma la fanciulla in una persona «sperduta» che cerca un posto a cui aggrapparsi per poter sopravvivere. «Mi sento spaesata e senza un luogo preciso, è come se non esistesse uno spazio predestinato a me»[3]

Una chiamata anonima scatena un sentimento di sfiducia nel cuore di Alia, che, spiando Don, scopre che la tradisce con Corina, dalla quale lui aspetta anche un bambino. Ai limiti della disperazione, tormentata da una profonda tristezza, Alia ritorna in Italia, che si trascina nel dolore e nel suo effetto anestetizzante. Don ritorna anche lui per chiederle perdono, però il male è già stato fatto. È troppo tardi.

Alia si sente prigioniera della propria sofferenza e desidera, come «una farfalla dalle ali fragili», di «liberarsi», e tenta il suicidio, gettandosi dal tetto del suo palazzo. Sotto l’eccitamento della vicinanza della morte, scorge sua madre che arriva da una stradina mentre si avvicina a casa. D’un tratto ha di fronte l'immagine di sua madre sconvolta nell’assistere alla morte della figlia e decide di continuare a vivere, ritornando in camera. Alla radio sente la notizia di un incidente stradale in cui sono morti due giovani. Sarà proprio sua madre a darle la notizia della morte di Don e Corina. Per Alia il mondo è come se smettesse di esistere.

Il mondo romeno è visto da una prospettiva interiore. La scrittrice propone dall’interno il suo personaggio. Alia analizza gli altri, gli eventi che la circondano e si sottopone sempre e con massima lucidità a un’attenta introspezione, usando sia l’ironia sia il distacco intenzionale dal mondo, quando vuole assumere il ruolo di spettatore. L’autrice è come un «bambino curioso per il suo giocattolo», che analizza e manipola con agilità come un burattinaio. L’artista-burattinaio assume il ruolo del demiurgo che cambia il corso naturale degli eventi (troppa dolcezza fa male), trasformandoli in incidenti del destino. L’ordine degli eventi nel romanzo è atipico: tutto inizia in modo positivo, «quasi sciropposo» (anche se non lo è nemmeno lontanamente) e poi finisce tragicamente, senza la possibilità di evadere dall’universo che stringe i personaggi come in una morsa. È come se fossero attirati e poi puniti perché hanno osato essere felici. Si può sentire il ruolo demiurgico di chi punisce i personaggi quando commettono errori, tradiscono o mentono, ma anche quando diventano «vittime collaterali» del destino. Al di là di tutto ciò si nasconde però lo stesso cuore da «burattinaio», con una sensibilità particolare, che trema come uno stelo d’erba sotto il vento e le piogge autunnali per paura che qualcuno possa scoprire la sua vulnerabilità e provocare traumi irreparabili. Perciò il «burattinaio» costruisce il suo piccolo universo con i pupazzi che protegge, insegnandogli fino alla fine la strada giusta e forse solo allora i suoi personaggi potranno incominciare a essere di nuovo felici di continuare il loro cammino.

Per la tematica affrontata, per la presenza di significati e simboli nel testo, questo romanzo ricorda il libro di Radu Pavel Gheo, Adio, adio, patria mea cu î din i şi cu â din a [4] (in cui la festa di Natale in America presenta un processo di risignificazione): «In assenza dello strato di significati cristiani, il Natale ha subito un processo di risignificazione, diventando – come avevo già detto – Il Mese dei Regali» [5]; «Così si sente il Natale da queste parti. Poi, quando non nevica, come si fa a non avere nostalgia della propria casa?» [6]); ricorda anche il libro di Irina Pavlovici (emigrante in Francia), Con l’amore, per un popolo di cuculi” [7] (per il sentimento di nostalgia: «Che ci sia il bosco verde! Tutti ne abbiamo nostalgia! Siamo un popolo di cuculi, questo siamo. Tre milioni di cuculi, che vagano per il mondo, deponendo uova dove capita!») [8].

Il presente libro ha tutte le caratteristiche di un romanzo ben scritto, nonostante la giovane età della scrittrice; è l'espressione del più vivo dei sentimenti che solo un adolescente può avere; posto a un crocevia fra due mondi, deciso a ri-comporre il proprio spazio con le proprie forze, l’adolescente dovrà andare avanti avendo come modello culturale quello dei suoi genitori o, in caso contrario, lo spazio ampio e vuoto che troverà davanti a lui e che dovrà riempire.

L’alternanza temporale degli eventi, le interpolazioni presenti nel testo con la tecnica del flash-back hanno lo scopo di frammentare gli eventi e di riordinarli secondo la memoria involontaria (è sufficiente posare gli occhi su una foto per far riemergere i ricordi). Sono presenti nel romanzo anche brani di poesie romene, richiami a testi della letteratura romena e non solo, brani di letteratura popolare (del folklore romeno), di versi specifici dei riti matrimoniali o funerari, delle tradizioni legate all’inizio della primavera, al Natale o alla Pasqua, e questi elementi presi insieme danno un’immagine quanto mai fedele dello spazio autoctono romeno, della vita spirituale e culturale del popolo romeno.

Per i lettori romeni il libro è una vera fonte, un punto di riferimento al quale rapportarsi laddove ci si trovi davanti a una realtà circoscritta entro una società contemporanea che si confronta con il fenomeno dell’immigrazione. Per i lettori italiani, al di là dell’argomento narrativo, è un materiale informativo, una fonte a cui poter attingere per conoscere determinati aspetti legati alle tradizioni e alle usanze romene.

Sarebbe interessante leggere una recensione pensata dal punto di vista della tecnica narrativa e della tipologia dei personaggi presenti nel testo. Mi è molto piaciuta l’idea di associare la partenza del Paese di origine all’abbandono definitivo e irreversibile di questa vita. Il testo ha molta tenerezza e una tristezza sconvolgente: «Dimmi, cara, cosa hai pensato/ quando te ne sei andata su questo sentiero/ questo sentiero è sentiero battuto/ ma anche molto ingannevole/ chi se ne va in un altro paese / se ne va e ritorna/ chi se ne va aldilà/ se ne va e non torna più». [9].

Mi sarebbe piaciuto vedere più sostanza nei quadri descrittivi della Romania, ma è comprensibile il fatto che tra l’adolescente e il suo paese di origine si è interposta l’ombra del tempo che ha cancellato in parte i dati affettivi. Comunque, importante è il modo in cui l’adolescente percepisce il mondo, come riesce a «cucire» le immagini dal passato e non come è in realtà il mondo.

«La neve soffice ed il freddo caldo delle anime povere e felici di una terra dimenticata è ciò che ho dovuto lasciare per entrare in un nuovo mondo, dove la neve cade raramente ed il freddo penetra fino all'anima tormentandola. In poco tempo la gioia natalizia fu sostituita con una cena cordiale, i canti con il pianto, i sogni con la nostalgia ed il futuro con il passato. Nel nuovo mondo, alla mia porta non bussano più i bambini, con il naso rosso, per cantare le canzoni natalizie. Ora alla mia porta bussa il silenzio, o peggio i parenti conformati alle regole italiane in modo più autentico».  [10] «Questo è, per me, il nuovo mondo nel quale devo integrarmi per vivere. Sono nata in Romania ed il mio cuore resterà sempre romeno. Resterò per sempre legata a quelle tradizioni, a quella gioia di vivere, a quelle piccolezze che mi facevano essere felice» [11]. 



Ana Maria Tomaziu Patraşcu
Traduzione dal romeno di Vivianne Gherghel
(n. 11, novembre 2014, anno IV)