Benjamin Fondane, il pensatore «non rassegnato». Un quaderno della rivista «Humanitas»

Nel 2012, la prestigiosa rivista italiana di cultura «Humanitas» (Morcelliana, Brescia) ha dedicato il numero 2 a un nome di primo piano della cultura europea, ancorché pressoché sconosciuto al grande pubblico italiano: Benjamin Fondane, nato in Romania e stabilitosi in Francia. Alice Gonzi, curatrice del sopra citato quaderno, ci offre un'ampia panoramica introduttiva delle prospettive di pensiero di questo protagonista delle origini del movimento esistenziale francese.

Esilio, erranza, estraneità

Benjamin Wechsler [1] o, con il nome che sceglierà per firmare le sue opere in francese, Benjamin Fondane, nacque a Iaşi (capitale della Moldavia romena) il 14 novembre 1898, in una importante famiglia ebrea. A 25 anni, nel dicembre del 1923, lasciò la Romania per stabilirsi a Parigi. Il 7 marzo 1944 venne arrestato dalla polizia francese; avrebbe potuto essere liberato, ma rifiutò tale ipotesi per non abbandonare Line, sua sorella; il 30 maggio venne pertanto deportato ad Auschwitz, dove sarebbe stato passato per la camera a gas il 3 ottobre del 1944.
Negli anni ’30, Fondane è stato uno degli esponenti di spicco, insieme al suo mentore Lev Šestov [2], del nascente pensiero esistenziale francese. A fronte del successivo inverosimile oblio in cui egli è caduto, considerando il valore della sua opera, in Francia e Romania [3], ma anche in Germania [4] e Gran Bretagna, si tenta di riportare alla luce tutta la ricchezza e la complessità delle sue riflessioni.
L’importanza dell’esilio, la sua relazione con la creazione, è essenziale in Fondane, il quale, per altro, vive a più livelli ed in più sfaccettature la condizione di estraneo: dentro di sé, come individuo legato ad una doppia tradizione culturale, quella ebraica e quella romena, come straniero a Parigi, come intellettuale che si pone in opposizione netta, decisa rispetto alla cultura ed al pensiero dominanti. Illimitato e irrisolto migrare. L’esperienza dell’erranza (l’esodo ebraico originalmente declinato alla luce dell’Ulisse omerico e, soprattutto, di quello dantesco), come urgenza interiore, si manifesta anche nella  decisione atterrita ma improcrastinabile di affrontare il dominio della tragedia di šestoviana memoria. Esperienza essenziale in questo pensatore la cui «dimora è fuori dal campo».


Emigranti, diamanti della terra, sale selvaggio
io sono della vostra razza,
io porto come voi la mia vita nella mia valigia
io mangio come voi il pane della mia angoscia
io non domando più quale sia il senso del mondo
io batto il mio pugno duro sul tavolo del mondo
io sono di quelli che non hanno niente
che vogliono tutto
-- io non potrei mai rassegnarmi
[5].

Essenziale quanto l’irrésignation (fulcro di tutta la sua produzione) da opporre, come grido dell’esistente, all’inevitabilità della Domenica della storia e alla nostra soffocante realtà: «Fin quando la realtà sarà quale essa è, l’individuo continuerà a testimoniare la propria irrassegnazione, con tutti i mezzi esistenti: con la poesia, il grido, la fede o il suicidio – dovesse questa irrassegnazione essere – o sembrare – assurdità o follia».
Vastissimo è il numero degli autori con cui Fondane intrattiene uno scambio intellettuale: Šestov, suo maestro, Artaud, Maritain, Wahl, Buber (relazione che riporta in primo piano il tema del giudaismo, mai scontato e semplicistico, di Fondane), Lévy-Bruhl, Bachelard, Lupasco, per citare solo qualche nome. Vastissimo il numero degli autori cui Fondane fa riferimento, tra i quali Rimbaud, Baudelaire, Kafka, Kierkegaard, Nietzsche, Husserl, Heidegger, Bergson e Freud. Vastissimi i suoi interessi: oltre a quelli di natura filosofica (con attenzione anche a tradizioni speculative non occidentali), il teatro, il cinema e, soprattutto, la poesia come portatrice attiva dell’irrassegnazione.

Le molteplici prospettive del pensiero di Fondane

Il quaderno di «Humanitas» intende presentare al pubblico un pensatore e un poeta che, al di là dell’oscurità che ne avvolge il nome e l’opera, merita di essere ascoltato (e, fortunatamente, in Italia qualcosa si sta muovendo: progetti di varia natura sono in cantiere). Proprio per la ricchezza di sfaccettature che Fondane presenta, tale lavoro potrà essere solo parziale, e funzionare quale pungolo perché Fondane possa essere (ri)scoperto, oltre una esigua cerchia di studiosi ed estimatori. Proponiamo una panoramica degli articoli pubblicati nel suddetto quaderno.

Il primo articolo, a cura di Monique Jutrin, presidente della Société d’Etudes Benjamin Fondane, ha due tratti caratteristici: una introduzione all’autore ed il tentativo di chiarire alcuni punti cardine della produzione poetica di Fondane, soprattutto nel poema L’Exode. Tali punti sono vòlti ad evidenziare l’esistenza di un nesso essenziale tra l’esperienza tragica e la poesia, relazione che si esplica nel fatto che la poesia è testimonianza: solo essa è in grado di testimoniare in merito a quella esperienza sovente indicibile che è la tragedia. Per questo motivo, secondo Fondane, la poesia non è un godimento estetico, ma un atto: essa ha una funzione esistenziale e metafisica, ed è coessenziale alla filosofia.

Il secondo articolo, di Mircea Martin, professore di Teoria letteraria all’Università di Bucarest, esamina l’opera poetica romena di B. Fundoianu, in particolare la prefazione che egli scrisse per Privelişti (Univers, 1930) quando era ormai a Parigi, ossia sette anni dopo aver lasciato la Romania. In questa prefazione paradossale, Fundoianu rinnega le stesse poesie romene che, tuttavia, pubblica. In realtà, il poeta Fundoianu, nel suo rinnegamento, fu vittima di un errore circa il significato implicito e più profondo di queste poesie: ad una attenta lettura esse sanno e dicono, oggi come allora più di quanto il loro autore non credesse.

Un incontro essenziale per il giovane Fondane, ormai a Parigi, è quello con il filosofo russo Lev Šestov, incontro e rapporto di cui il saggio di Geneviève Piron, autrice di Léon Chestov, philosophe du déracinement (Éditions L’Âge d’Homme, 2010), intende esplorare le diverse sfumature, all’interno del contesto culturale del loro tempo. Attraverso la lettura di testi e memorie spesso inediti, l’articolo esaminerà che cosa sia cambiato nei rispettivi percorsi intellettuali, quello del vecchio filosofo russo e quello del giovane poeta romeno, a seguito e grazie al loro incontro, svelando, al contempo, un dialogo a due che, però, ha contribuito a dare forma al pensiero esistenziale.

L’argomento principale del pensiero esistenzialista di Benjamin Fondane, il giudaismo che si esprime, secondo Nietzsche, al di là del bene e del male, diventa, dal 1919, prendendo nuovo slancio proprio dall’incontro con Lev Šestov, un’alternativa alla evidenza della ragione. Ma Fondane non tematizza, come Buber,  il dialogo tra l’uomo e Dio all’opera nella Bibbia nell’alveo della filosofia. Egli dà alla poesia la funzione di recuperare un essere nel mondo  specifico dell’ebraismo. Il complesso rapporto tra Fondane e le sue origini sono il cuore dell’articolo di Margert Teboul.

Il testo di Till R. Kuhnle, docente di Letteratura comparata, Università di Limoges e vice-presidente della Société d’Études Benjamin Fondane, è di natura più tematica; le questioni da cui parte sono due, fondamentali. Qual è il ruolo dell’arte nel mondo? Quale la loro relazione? L’arte appartiene alla civitas terrena o alla civitas Dei? Rispondendo a tali questioni emergerà la tesi centrale secondo cui la poetica di Benjamin Fondane, che non accetta di ridurre la filosofia alla poesia, né di obbligare la poesia all’interno della filosofia, sia definibile con il termine di esthétique de la solitude; solo la solitude può fondare quell’unica civitas, quella aesthetica, capace di assicurare la libertà al poeta e al filosofo concretamente uniti.

Ritornando agli incontri intellettuali, o meno, decisivi nella vita di Fondane, non si può mancare di ricordare quello con Nietzsche, rispetto al quale, come rispetto alla primissima ricezione francese di Nietzsche, la posizione di Benjamin Fondane è davvero interessante. Nelnostro saggio sosteniamo che, dopo aver accettato l’interpretazione essenzialmente estetica che di Nietzsche aveva elaborato Jules de Gaultier (primo ‘maestroʼ di Fondane, dai tempi della Romania), Fondane sembra allontanarsene per condividere il pensiero esistenziale di Šestov e la sua paradossale analisi di Nietzsche. Consapevole di quanto mantenersi in prossimità di Nietzsche sia cosa complessa, Fondane giunge a sviluppare un approccio originale al filosofo tedesco, anche tradendolo, unico modo, come dice G. Bataille in quegli anni, di restargli fedeli.

Nell'articolo a cura di Alessandro Paris viene analizzata l’interpretazione fondaniana di altri due autori molto importanti per il nostro autore: Henri Bergson e Sigmund Freud, all’interno di un’opera fondamentale come la Conscience malhereuse. Malgrado le diversità apparenti nei due autori, Fondane riscontra i tratti di una comune «fede» nel sapere del Logos-necessità, che impedisce di cogliere la vera posta in gioco del malheur, ovvero la ricerca di salvezza per il singolo essere umano, financo attraverso la «follia» che arriva sino al «Dio biblico».

Au Seuil de l’Inde (scritto da Fondane nel 1941) diffonde una luce singolare sulle differenze tra le scuole filosofiche  indiane e la filosofia europea, non per sottolineare le loro differenze (cosa consueta in una prospettiva che oppone la mente «orientale» a quella occidentale), ma per affermare che entrambe sono elaborazioni idealistiche e, allo stesso modo, per rifiutarle entrambe. Dominique Guedj, vice-presidente della Société d’Études Benjamin Fondane, ci guida a scoprire che, attraverso la ricerca di una vera alterità dai nostri modi di pensare, Fondane approda a quella che è la vera antinomia e che si concretizza nell’opposizione tra un pensiero esistenziale, che vive, soffre e tenta di sfuggire a qualsiasi tentativo di sistemazione, invece, il Logos che tutto cataloga, tutto numera, tutto calcola: la radice del vecchio conflitto di Atene contro Gerusalemme.

Altro incontro fecondo, seppur tardo, fu, per Fondane, quello con S. Lupasco di cui ci dà conto Michael Finkenthal, docente di Fisica e astronomia alla Johns Hopkins University. Infatti, dopo la morte di Šestov, Fondane intraprese un’intensa ricerca di nuovi elementi che potessero riordinare la propria filosofia esistenziale. Stephane Lupasco, fisico e filosofo, aveva sviluppato una logica che includeva la contraddizione, il paradosso e, come tale, essa sembrava promettente a Fondane, il quale, tuttavia, si accorse infine che tale logica soddisfare soltanto il discorso razionale coinvolto in una filosofia dell’esistenza che deve, invece, trascenderlo.

Si è detto di come Fondane sia stata una figura poliedrica; tra i suoi interessi, e non secondari, quelli per il cinema. L’articolo di Paolo Radi si propone di sondare questo rapporto controverso in cui si evince una profonda ambivalenza verso quest’arte definita «borghese, capitalista, rapace e volgare», eppure indispensabile. Nel silenzio della poesia il cinema consente a Fondane di aprirsi una nuova possibilità d’espressione: dapprima, con una serie di articoli di critica cinematografica, poi, la sceneggiatura del film Rapt, enfin, il suo completo fallimento con la decisione di girare, nella lontana Argentina, un film assurdo come Tararira.

Il numero monografico di «Humanitas» si chiude con la prima traduzione in altra lingua della serie di testi giovanili (1923) scritti in romeno, dal titolo complessivo La rivelazione della morte. Questa serie di articoli documenta la scoperta, prima della conoscenza personale, da parte del giovane B. Fundoianu dell’opera del filosofo russo Lev Šestov. In essi, come rileva il curatore G. Baffo, Fondane anticipa suggestivamente i temi più rilevanti della sua riflessione successiva, cogliendo soprattutto la rivoluzionaria influenza filosofica dell’opera di Dostoevskij e Nietzsche sul pensiero del XX secolo.

Una poesia

Al termine di questa presentazione, proponiamo una poesia che Fondane scrisse nel 1942. Un testo altamente lacerate, sotto le spoglie di un'apparente linearità.

Préface en prose

È a voi che parlo, uomini degli antipodi,
parlo da uomo a uomo,
con il poco che in me rimane dell’uomo,
con il poco di voce che mi rimane in gola,
il mio sangue è sulle strade, possa esso, possa esso
non gridare vendetta!
L’hallali è dato, le bestie sono braccate,
lasciate che vi parli con queste stesse parole
che condividemmo –
resta poco di intelligibile!
Un giorno verrà, è sicuro, in cui la sete sarà placata,
noi saremo al di là del ricordo, la morte
avrà ultimato i lavori dell’odio.
Io sarò un ciuffo di ortica sotto i vostri piedi,
- ebbene, allora sappiate che avevo un viso
come voi. Una bocca che pregava, come voi.
Quando la polvere, o anche un sogno, entrava
nell’occhio, questo occhio piangeva un po’di sale. E quando
una spina cattiva graffiava la mia pelle,
colava un sangue rosso come il vostro!
Certo, proprio come voi ero crudele, avevo
Sete di tenerezza, di potenza,
d’oro, di piacere e di dolore.
Proprio come voi ero cattivo e angosciato
solido nella pace, euforico nella vittoria,
e titubante, stravolto, nell’ora dello scacco!
Sì, sono stato un uomo come gli altri uomini,
nutrito di pane, di sogno, di disperazione. Eh sì,
ho amato, ho pianto, ho odiato, ho sofferto,
ho comprato dei fiori e non ho sempre
pagato la mia rata. La domenica andavo in campagna
a pescare, sotto lo sguardo di Dio, dei pesci irreali,
facevo il bagno nel fiume
che cantava fra i giunchi e mangiavo delle patatine fritte
la sera. Dopo, dopo rientravo a coricarmi
stanco, il cuore lasso e pieno di solitudine,
pieno di pietà per me,
pieno di pietà per l’uomo,
cercando, cercando invano in un grembo di donna
questa pace impossibile che abbiamo perso
un attimo fa, in un grande frutteto in cui cresceva,
al centro, l’albero della vita...
[...]
Eppure, no!
Non ero un uomo come voi.
Non siete nati sulle strade,
nessuno ha gettato nella fogna i vostri piccoli
come gatti ancora senz’occhi,
non avete errato di città in città
braccati dalle polizie,
non avete conosciuto le catastrofi all’alba,
i carri bestiame
e il singhiozzo amaro dell’umiliazione,
accusati di un delitto che non avete compiuto,
di un assassinio di cui manca ancora il cadavere,
cambiando nome e volto,
per non portar con sé un nome schernito,
un volto che aveva servito a tutti
da sputacchiera!
Verrà un giorno, senza dubbio, in cui il poema letto
Si troverà davanti ai vostri occhi. Esso non domanda
Niente! Dimenticatelo, dimenticatelo! Non è
Che un grido, che non si può mettere in un poema
Perfetto, avevo forse il tempo di finirlo?
Ma quando calpesterete quel ciuffo di ortiche
Che fui io, in un altro secolo,
in una storia che per voi sarà desueta,
ricordatevi solo che ero innocente
e che, come voi, mortali di quel giorno,
avevo avuto, anch’io, un volto segnato
dalla collera, dalla pietà e dalla gioia,
un volto d’uomo, semplicemente!


Alice Gonzi
(n. 2, febbraio 2013, anno III)


NOTE

1. Per una introduzione alla vita ed all’opera di Benjamin Fondane, per una lista completa della sua vasta produzione, filosofica, poetica, teatrale, cinematografica e saggistica in generale, si rimanda alla Société d’études Benjamin Fondane con l’annuale pubblicazione dei «Cahiers Benjamin Fondane» e l’instancabile attività di irradiamento della figura di Fondane portata avanti dal 1997. http://www.benjaminfondane.com/
Per studi di carattere più specifico si rimanda a: M. Martin, Introducere in opere lui B. Fundoianu, Bucureşti, Minerva, 1984; M. Jutrin, Benjamin Fondane ou le périple d’Ulysse, Paris, Nizet, 1989; AA.VV., Rencontres autour de Benjamin Fondane, poète et philosophe, Actes du colloque de Royaumont, Paris, Parole et Silence, 2003; R. Fotiade (a cura di), Conceptions of the Absurd from Surrealism to Chestov’s and Fondane’s existential Thought, Oxford, Legenda, 2001; O. Salazar–Ferrer, Benjamin Fondane, Paris, Oxus, 2004.
In italiano, A. Van Sevenant, Il filosofo dei poeti: l’estetica di Benjamin Fondane, Milano, Mimesis, 1994; G. Farina, Benjamin Fondane e le gouffre, Roma, Artemide, 2003; A. Gonzi, Zarathustra a Parigi. La ricezione di Nietzsche nella cultura francese del primo Novecento, Roma, Aracne, 2012.
2. Sul quale si può utilmente vedere il numero di «Humanitas» 3 (2009), a cura di Alessandro Paris.
3. È di recentissima pubblicazione la traduzione italiana (a cura di Marco Cugno), del libro di Norman Manea, Al di là della montagna, Il Saggiatore, 2012; si tratta di un dialogo immaginario tra Benjamin Fondane et Paul Celan (ispirato da Conversazione nella montagna di Celan). Il volume contiene anche un’antologia di testi e articoli sui due autori, un colloquio tra Norman Manea e Ilana Schmueli (2009), una prefazione alla corrispondenza Celan-Schmueli, e una poesia di Manea: Parlando alla pietra  (2003).
4. Un numero della rivista tedesca «Lendemains», sotto la direzione di Till R Kuhnle, dedicato a Fondane è stato pubblicato nel settembre 2012.

5. B. Fondane, Le mal des fantômes, Éditions Verdier, Lagrasse 2006, p. 35 (salvo diversa indicazione, le traduzioni sono da intendersi di mano dell'autore).