Una breve storia del cinema romeno

Il successo dell’invenzione dei Fratelli Lumière giunse con rapidità anche nella lontana Bucarest. Solo la tragica dittatura comunista, imposta dall’URSS, ha tenuto la Romania lontana dalla nostra attenzione occidentale, ma non fu sempre così. Dai primi tempi dell’Unità, che coincide con quella italiana nel 1861, i romeni, finalmente liberi dall’oppressione ottomana, cominciarono ad abbeverarsi avidamente all’Occidente, che, per evidenti motivi culturali, guardava di preferenza alla Francia e a Parigi e all’Italia. Ben presto Bucarest, la città dei Crai de Curtea-veche (flâneurs bucarestini), abbandona caftani e narghilè, non è più la città alle porte dell’Oriente «dove tutto può accadere», ma diventa la «Piccola» Parigi. Si respira Francia dappertutto e perciò anche il cinema, dopo soli cinque mesi (27 maggio 1896) dalla proiezione francese (28 dicembre 1895), viene offerto al pubblico romeno. Per fare un confronto con l’Italia, le prime pellicole arrivano a Roma e a Milano nel marzo del 1896. Queste notizie aprono il delizioso libro O scurtă istorie a filmului românesc (Una Breve storia del cinema romeno) del dott. Marian Ţuţui, redattore capo presso l’Archivio Nazionale del Cinema di Bucarest (Arhiva Naţională de Filme), che ci presenta la storia del cinema romeno in 71 pagine con traduzione a fronte in inglese. 
Ţuţui è prima di tutto uno storico, che cerca le sue notizie sul campo. Lo dimostrano le sue documentatissime opere quali Fraţii Manakia sau Balcanii mişcători (Arhiva Naţională de Filme, Bucureşti, 2004) o ancora Fraţii Manakia şi imaginea Balcanilor (NOI Media Print, Bucureşti, 2009) oppure Orient Express. Filmul românesc şi filmul balcanic (NOI Media Print, Bucureşti, 2008) e la seconda edizione del 2011. Le traduzioni in inglese dello stesso autore rendono le opere accessibili ad un pubblico più vasto ed acquistano il pregio di far conoscere una cinematografia per tanti versi immeritatamente sconosciuta o nota solo ai più appassionati cultori della settima arte. Per decenni il pubblico italiano è stato tenuto lontano dalla Romania, mentre altre produzioni, considerate poi «dissidenti», ci venivano elargite con dovizia. Penso ai numerosi film polacchi, cecoslovacchi, ungheresi, che trattavano temi poco graditi al potere, ma del tutto paragonabili a certe opere di Liviu Ciulei come Pădurea spânzuraţilor (La foresta degli impiccati) del 1965, premio per la regia a Cannes, o di Lucian Pintilie come Reconstituirea (Indagine preliminare) del 1969.
Solo la Rivoluzione del 1989 ha smosso un po’ le acque, ma anche qui per merito dei premi internazionali: nelle sale italiane sono arrivati: Terminus Paradis di Lucian Pintilie, premio della giuria nel 1998 a Venezia, 4luni, 3 sâptămâni şi 2 zile di Cristian Mungiu, Palma d’Oro a Cannes nel 2007 e poco altro: I racconti dell’età dell’oro di Mungiu e altri registi del 2009, Francesca (2009), di Bobby Păunescu, con la bellissima Monica Bârlădeanu, che molte persone andarono a vedere per sentire gli «insulti» alla Mussolini o al sindaco leghista di Verona, con relativi scroscianti applausi in sala.
Eppure il cinema romeno ha continuato a meritare premi, non citati nel libro perché usciti dopo il 2011. Ancora Mungiu con După dealuri (Oltre le colline), premiato a Cannes per la sceneggiatura e per l’interpretazione delle due attrici protagoniste e Poziţia copilului (La posizione del figlio) di Peter Călin Netzer, Orso d’Oro a Berlino nel 2013, che, c’è da scommetterci, mai verrà proposto nelle sale italiane. Ciò che dà fastidio è l’indifferenza dei giornali o delle riviste specializzate quando, presentando la programmazione dei festival internazionali, trascurano i film romeni e poi si stupiscono o non sanno cosa dire quando vengono premiati.    

Ţuţui documenta nella sua preziosa opera passo a passo i progressi della cinematografia romena: nel 1897 viene prodotto il primo documentario, nel 1898 il primo film medico-scientifico al mondo (Disturbi della mobilità nell’emiplegia organica), i fratelli Ienache e Milţiade Manakia, aromeni, sono i primi autori autonomi dei Balcani (celebre il loro documentario Obiceiuri casnice la aromâncele din Pind  [Usanze casalinghe delle aromene del Pindo])  del 1907. Nel 1911 si gira il primo film artistico. Come in ogni dittatura, anche i comunisti privilegiarono il cinema come strumento di propaganda, perciò furono costruiti vari studi cinematografici di stato, dove si realizzarono sontuosi film storici. Oggi la Romania, grazie all’ottima preparazione dei suoi tecnici, è diventata la location preferitadimolte produzioni internazionali. E per il lettore italiano c’è anche la sorpresa di scoprire che attraverso la politica fascista e l’esaltazione della romanità, Mussolini, oltre a regalare svariate copie bronzee della Lupa Capitolina da esporre nelle piazze di Romania e anche un calco della Colonna Traiana, così fedele che viene utilizzato come termine di paragone per ogni intervento di restauro dell’originale romano, favorì la costituzione di una «Cinecittà» romena CINEROMIT, che operò tra il 1941 e il 1946. Dopo il 1938 la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia diventò l’ufficio di propaganda dei vari regimi fascisti europei e la Romania si trovò, anche per meriti artistici, ad essere una delle protagoniste di spicco, naturalmente dopo l’Italia e la Germania. Nel 1939 il documentario di Paul Călinescu Ţara Moţilor (Il Paese dei Mozi) vinse il primo premio per il documentario. Sempre altri due premi per il documentario nel 1941 (România în lupta contra bolşevismului – La Romania in lotta contro il bolscevismo di Paul Călinescu) e nel 1942 (Noi – Noi di Ion Cantacuzino noto anche con altri titoli quali: Noi Romeni – Terra di Roma oppure Evoluţia şi misiunea poporului român: din cartea vieţii neamului românesc – Evoluzione e missione del popolo romeno: dal libro della vita del popolo romeno).

Il progetto CINEROMIT produsse un film e mezzo: Odessa in fiamme – Cătuşe roşii di Carmine Gallone del 1942, fortunosamente ritrovato a Milano pochi anni fa, nella sola versione italiana, proprio da Ţuţui, e il non-finito Squadriglia Bianca di Ion Sava del 1942, interpretato da Lucia Sturdza-Bulandra e Claudio Gora, andato perduto, sembra irrimediabilmente. Negli anni Sessanta e Settanta ci furono poi alcune coproduzioni, con partecipazione di attori italiani quali Baltagul – La mazza del 1969, con la partecipazione di Folco Lulli e di Margarita Lozano e Columna – La Colonna del 1968, interpretato da Antonella Lualdi e Franco Interlenghi, mai arrivati in Italia...




Achille Tramarin
(n. 7-8, luglio-agosto 2013, anno III)