«Vagando cautamente dentro me stessa». Versi di Ofelia Prodan

Già misuratasi, nei volumi precedenti, con le poesie ludiche che narrano o mettono in scena in modo sottile le traslazioni tra reale e immaginario, il vissuto diretto e libresco, la veglia e la proiezione onirica degli stati d’animo, con prese di distanza finemente ironiche come spettatrice delle proprie invenzioni, Ofelia Prodan propone ora un insieme di poesie di una perturbante gravità – variazioni sul tema della morte e della trasfigurazione di una creatura affascinata da un Altrove dai confini permeabili e fragili. Le compone in qualche modo per gradi, a poco a poco, a partire dalla piccola suite di «cortometraggi» – in cui la decisione di sparire è presa senza falso patetismo, su uno sfondo realista-minimalista, registrato in tono neutro, che fa sì che l’atto dell’auto-soppressione dei personaggi acquisti una perturbante ambiguità: in contrasto radicale con l’apparente normalità del paesaggio e dello stato d’animo, una crepa intima, bruscamente scoperta, che provoca un’inaspettata rottura – fino ai poemi dalle tonalità onirico-visionarie. Ne risultano brevi elegie strettamente «censurate», cristallizzate nel loro nucleo radiante di angoscia appena minimizzata, tanto più eclatanti, quanto paiono pronunciate in una totale, perfettamente mimata, indifferenza.
La medesima anestesia «sui generis» come è la sofferenza provocata dalla «partenza» di amici cari, è suggerita ne «le ferite bianche» incise sul corpo del soggetto che pronuncia – tracce spiritualizzate più che segni del dolore nella carne – segnali melanconici per coloro che se ne sono andati e solo da loro leggibili. Una «morte inesauribile» può essere scoperta anche nel mondo interiore lasciato in arcana comunicazione con «il buio esterno» e con gli esseri spettrali già evocati. Strane esondazioni e stratificazioni di senso prendono forma dalle oscillazioni nei vasi comunicanti tra l’individuo e «le voci morte», sequenze rivelatrici che somigliano a una sorta di trasfigurazione, di austera spogliazione di corporalità, in un’atmosfera di luce intensa che conserva, tuttavia, qualcosa dell’inquietudine della morte: sono però, ancora una volta, gesti da chirurgo di chimere che disfa anatomie impietrite, che scioglie dai gravami del corpo «le ossa di luce» e che le sistema con lo zelo del museografo anatomico che prepara la valigia per «il grande viaggio»: siamo qui vicini alla soglia dell’humor nero surrealista… Tutto questo convoglio nel quale i vivi si mescolano ai morti, in una proiezione di proporzioni cosmiche, è reso con aria ieratica, stilizzata, un’aria da rituale della luce trasfiguratrice, ma vi è anche una precisione da «santi dannati», scossi da paure escatologiche.       
Una terza tappa della visione registra la discesa nel «mondo sotterraneo» opposto a quello «estraneo di sopra», guidato da un anziano – istanza parentale che prepara il viaggio iniziatico, la familiarizzazione con i misteri del mondo sottostante. Il discorso poetico resta anche qui puramente descrittivo, trascrizione di «visioni», in un primo momento, della comunione con l’universo chimerico, e in un secondo momento, della commemorazione del tormentato mondo di sopra, visioni che provocano lo squilibrio definitivo, il panico nella creatura insidiata: «è stato tutto un sogno/ le lingue dell’orologio ruotano vertiginosamente/ sento il mio corpo smagrito/ guardo la mia pelle raggrinzita/ i capelli lunghi e bianchi le unghie rovesciate/  con disperazione innalzo il mio cuore/ sopra la testa/ e il cuore mio è come di vetro/ s’ infrange con frastuono/ e i cocci s’infiggono nel mio corpo / con tutto il dolore del mondo di sotto».
I poemi dell’ultimo ciclo, Uomini da nessun luogo, propongono paradigmi della ricerca di sé in un mondo misterioso immerso nel medesimo vapore onirico: la ricerca di rivelazioni ultime, di verità difficili da stabilire, sulla solitudine e sulla fallita comunione, sulla scoperta di alcune verità incerte, e soprattutto sulla ripresa di alcuni itinerari che portano dall’ignoto all’ignoto: uomini di nessun luogo, apparsi come in sogno, si smarriscono verso un altro «da nessuna parte», misurandosi con bizzarri avvenimenti, più o meno edificanti: un uomo porta in spalla la sua donna nuda e cieca, inducendo in «un folle» l’anelito di santità; un morto passeggia, estraneo, attraverso il mondo dei vivi; un altro incrocia la propria strada di solitario con quella di un suo simile che, come lui, proviene da nessun luogo e si dirige verso nessun dove, giungendo alla conclusione  che «ognuno deve trovare da solo/ la propria via verso casa / verso nessun luogo»; un prete, in chiesa, si rivolge più al diavolo che al Signore, sente il bisogno di uscire alla luce e trascorrere liberamente «un giorno lungo un anno» in compagnia di quegli stessi uomini provenienti da nessun luogo… Visioni, certo relativistiche, che cercano di dire qualche cosa sulle precarietà dell’esistenza e sulle sue proiezioni ideali, sulla labilità del confine tra sogno e realtà, sull’incerta natura di alcune fondamentali aspirazioni umane. Ofelia Prodan dà prova della sua rimarchevole capacità di raffigurare visioni di notevole pregnanza, di edificare narrazioni dai significati sottintesi, montate e smontate con sottile e sapiente dosaggio di effetti-sorpresa, che sorreggono un lirismo discreto, ridotto in sordina da un’onda ironico-elegiaca.



Ion Pop
Traduzione dal romeno di Valeria Nicu


Straniati e sospesi tra i mondi

(frammenti)

Ferite bianche

incido bellissime ferite sul mio corpo,
ferite bianche e calde come il pane appena sfornato.
sono passate tre settimane ormai
da quando se ne sono andati senza proferire parola. da allora,
sento le loro voci persino mentre dormo. ma ora, le ferite
si aprono come delle bocche e mi
parlano con le loro voci. mi dicono di aspettarli
che tanto la loro partenza è provvisoria. che l’unica cosa che ci separa
è solo uno spazio fragile come un foglio di carta.
penso di scrivergli qualcosa e in quel momento
le mie ferite bianche si adagiano
sul corpo come se fossero parole. spetta a loro
cogliere il messaggio che trasmettono. spetta a me
capire la loro voce e all’improvviso tutto il mio corpo
diventa una ferita profonda e bianca da capo
a piedi, quanto basta per conoscerci a vicenda.



răni albe

îmi crestez răni frumoase pe trup,

răni albe şi calde ca un miez de pâine.
sunt trei săptămâni de când ei au
plecat fără să spună un cuvânt. de atunci,
le aud vocile şi în somn. acum, rănile
se deschid ca nişte guri şi îmi
vorbesc cu vocile lor. îmi spun să îi aştept.
că nu au plecat de tot. că ne desparte
doar un spaţiu fragil precum o coală de hârtie.

mă gândesc să le scriu ceva şi atunci
rănile mele albe se aşază frumos
ca nişte cuvinte pe trupul meu. doar ei pot
înţelege mesajul lor. doar eu le pot
înţelege glasul şi deodată tot trupul meu
e o rană adâncă şi albă de sus
până jos, atât cât să ne recunoaştem între noi.



Una morte senza fine

è da un bel po’ che vago cautamente dentro
me stessa. qui posso sempre trovare
qualcosa di totalmente inaspettato e terrificante
come una morte senza fine. a volte
mi giro intorno, poi giro attorno agli altri fino
a sentire le nostre urla sorde. eccoli come guardano quello che
vedo anch’io, ma da un altro luogo.
un essere buono, un essere clemente sovrapporrà
i luoghi in cui ci troviamo ora
e tutto il male che ci sta rosicchiando le anime a poco a poco
si alzerà indolenzito
come un vecchio cieco che colpisce a casaccio
le nostre teste con un bastone di ferro.
in quel momento saprò che dentro di me
c’è tanto di quel posto da far entrare proprio tutti
per fargli vedere quello che vediamo anche noi
quando ritornano dall’oscurità che regna là fuori.



o moarte nesfârşită

de la o vreme umblu cu grijă înlăuntrul

meu. nu se ştie niciodată dacă voi
găsi ceva cu totul neaşteptat şi îngrozitor
aşa ca o moarte nesfârşită. câteodată
mă plimb în jurul meu, apoi în jurul lor până
aud cum urlăm fără glas. ei văd ceea ce
văd şi eu, dar dintr-un alt loc. cineva bun,
cineva îngăduitor o să suprapună
locurile în care ne aflăm în acest moment.
şi răul care ne roade puţin câte puţin
din suflete se va ridica obosit ca
un bătrân orb lovind cu bastonul lui de fier
în craniile noastre. atunci voi şti că
înlăuntrul meu este atâta loc încât toţi pot
intra să vadă ceea ce vedem şi noi
când ei se reîntorc din întunericul de afară.



Un nuovo mondo

stavamo lì coperti da grosse strisce di carne e battevamo i denti
per il gran freddo. parlavamo solo con i segni. ci dicevamo
che questo mondo è nuovo. che non conosce ancora la paura.
che noi siamo gli unici a temere che il freddo ci strapperà
le strisce di dosso rendendoci spiriti fluttuanti sul mondo,
se solo avessimo parlato. e mentre i nostri segni si moltiplicavano a dismisura
insieme al timore, la neve più bianca delle ossa dei primi morti
aveva coperto tutto. camminavamo e le nostre impronte affondavano
nella neve come le parole di coloro che chiamano la propria fine.
ci siamo fermati nel mezzo del mondo, abbiamo spalancato le nostre bocche
e abbiamo aspirato tutta la neve. e all’improvviso il freddo ci ha
indolenzito le ossa e tutta la carne si è staccata per farci
fluttuare lentamente sopra il nuovo mondo.



o lume nouă

eram înveliţi în fâşii groase de carne şi tremuram
de frig. vorbeam doar prin semne. ne spuneam că

lumea asta abia a apărut. că nu ştie încă ce este teama.
că doar noi ne temem să vorbim ca nu cumva
frigul să smulgă hălcile de carne de pe noi şi
noi să plutim peste lume ca duhurile. şi în timp
ce semnele noastre se înmulţeau odată cu frica,
o zăpadă mai albă decât oasele primilor morţi a
acoperit totul. mergeam şi urmele tălpilor se imprimau
în zăpadă ca vorbele celor ce-şi cheamă sfârşitul.
ne-am oprit în mijlocul lumii, am deschis gurile
şi am înghiţit toată zăpada. şi dintr-o dată, frigul ne-a

amorţit oasele şi toată carnea s-a desprins de pe noi
ca noi să ne putem ridica uşor peste lumea asta nouă.



Acqua nera

Adesso andremo a farci una bella nuotata nell’acqua nera.
Non vedi quanta pace c’è dentro? a volte mi dimentico il corpo fuori
e li sento ancora più vicini perché quest’acqua è nera dal gran dolore
che provano i morti. loro vengono e se ne vanno tutte
le sere. la luna si nasconde dietro le nuvole e loro si spogliano piano piano,
in un silenzio da brividi e lavano le loro sofferenze. poi se ne vanno
senza guardare indietro. si racconta che se lo facessero anche per un solo istante
rimarrebbero intrappolati qui. proprio come noi. proprio come i nostri corpi
che nuotano in solitudine nell’acqua nera mentre noi,
nonostante l’effettiva vicinanza,
non troviamo mai la pace.



apa neagră

acum o să înotăm în apa cea neagră. nu vezi câtă
linişte poate fi înăuntru? uneori îmi uit trupul

afară şi atunci îi simt mai aproape. iar apa asta e neagră
de la durerea morţilor. ei vin şi pleacă în fiecare

noapte. luna intră după nori şi atunci ei se dezbracă lent,
într-o tăcere înfiorătoare şi îşi spală durerile. apoi

pleacă fără să privească în urmă. se zice că cine întoarce
şi o secundă capul rămâne prizonier aici. aşa ca noi.
aşa ca trupurile noastre înotând singure în apa
cea neagră în timp ce noi, deşi aproape, nu ne găsim
niciodată liniştea.




La luce nera

le cose che mi guidano. il dolore sordo che vibra dentro
il corpo. le lacrime mischiate alla saliva. io abito qui e
nessuno può dirmi vattene. il sole irradia una luce nera,
questo sole qui colpisce le pareti della mia camera con i suoi dardi.
qui le malattie ti fanno bene quando s’insinuano nel corpo,
un lenzuolo smisurato e vivo come l’acqua mi copre.
non mi riconosco più e inizio a colpire furiosamente il mio corpo.
nella mia testa si posa un silenzio morboso che dura fino a quando il sole
non mi trafigge. il dolore scompare. se ne va come una persona
che mi ha tenuto abbracciata fino allo sfinimento per poi vagare triste,
perché non può più tornare nella propria casa.



lumina neagră

lucrurile care mă îndrumă. durerea surdă din interiorul
trupului. lacrimile amestecate cu salivă. eu locuiesc aici şi
nimeni nu-mi poate spune pleacă. soarele are acum o lumină
neagră, soarele ăsta izbeşte pereţii camerei cu razele lui
grele. aici bolile sunt bune. când ele se infiltrează în
trup, un cearşaf imens şi viu ca o apă mă acoperă. nu mă mai
recunosc şi mă lovesc cu toată furia peste trup. în craniul meu

se face o linişte bolnavă ce durează până când soarele
îmi străpunge trupul. durerea nu mai e nimic. ea pleacă
din mine ca un om care m-a ţinut în braţe până la epuizare şi
acum merge abătut pe toate drumurile, căci nimeni
nu-l mai primeşte în casa lui.


Traduzione di Răzvan Purdel
(n. 5, maggio 2014, anno IV)




Ofelia Prodan è attualmente una delle poetesse più apprezzate in Romania. Ha esordito nel 2007 e ha vinto numerosi premi letterari, tra cui: il Premio «Ion Vinea» sempre nello stesso anno, il Premio per il Debutto dell'Associazione degli Scrittori di Bucarest, il Premio della rivista «Luceafărul», entrambi nel 2008 (tutte e tre i premi sono stati ricevuti per il volume Elefantul din patul meu (L'elefante del mio letto), Vinea, 2007, candidato per il Premio Nazionale di Poesia Mihai Eminescu – Opera Prima), ancora nello stesso anno il Premio Nazionale «Octavian Goga», il Premio Speciale al Festival Nazionale di Poesia «George Coşbuc» nel 2009, per il volume Ruleta cu nebun (La roulette del matto), Vinea, 2008, il Premio Nazionale «Ion Minulescu» nel 2013, per il volume Călăuza (La guida), Cartea Românească, 2012. In Italia ha vinto il Premio Internazionale di Poesia e Prosa «Napoli Cultural Classic», VIII edizione, 2013, classificandosi al primo posto nella sezione Poesia in lingua straniera. I suoi componimenti sono stati tradotti in italiano, spagnolo, portoghese, inglese, francese, ungherese, e di recente anche in olandese. Ofelia Prodan è inserita accanto a poeti di prestigio come Nina Cassian, Nichita Stănescu, Ana Blandiana, Nora Iuga, Ion Mureşan, Mircea Cărtărescu, nel volume di Jan H. Mysjkin, Voor de prijs van mijn mond, Poëziecentrum, Belgio, 2013, un'antologia che comprende i dodici poeti romeni più significativi degli ultimi sessant'anni. I suoi versi sono stati letti pubblicamente a Madrid, Berlino, Sassari, Brescia e Milano. Dal 2011, è presidente della sezione Poesia nella giuria del Concorso nazionale «Incubatorul de condeie» (L’incubatrice degli scrittori). È membro dell'Unione degli Scrittori Romeni e del PEN Club di Romania.