Tra metafora e voluttà: Ion Mureşan, vincitore 2014 del Premio di poesia «Mihai Eminescu»

Nato nel 1955 a Vultureşti (Cluj-Napoca), laureato alla Facoltà di Storia e Filosofia dell’Università Babes-Bolyai di Cluj (1981), quindi redattore dal 1988 della rivista letteraria clujeana «Tribuna». Ion Mureşan è capo redattore dal 2006 della rivista «Verso». Poeta, saggista, prosatore, ha pubblicato pochi libri di poesia: al suo debutto editoriale nel 1981 con Carte de iarnă (Libro d’inverno) seguì nel 1993 Poemul care nu poate fi înţeles (Il poema impossibile ad esser capito) e nel 1998 un volume di saggi, Cartea pierdută – o poetică a urmei (Il libro perduto – una poetica dell’orma). Dopo 17 anni di silenzio, il poeta si fa vivo nel 2010 con una raccolta Cartea alcool (Il libro alcol), Editura Charmides, Bistriţa.
Tradotto tra il 2001 e il 2007 in francese, tedesco e inglese (Le mouvement sans coeur de l’image, Paris; Zugang verboten, Vienna; Paharul/ Glass/Au fond du verre, Baia Mare), Ion Mureşan si è guadagnato la stima della critica (Al. Cistelecan, Alex Goldiş), nonché dei suoi traduttori D. Ţepeneag, Virgil Stanciu e di altri scrittori romeni (talvolta apologetica), grazie ai suoi primi due volumi di versi. Questo non toglie il successo strepitoso del Libro Alcol, che fu considerato il libro dell’anno 2010 o addirittura «l’avvenimento lirico del decennio». Gli fu assegnato tre volte il premio dell’Unione degli Scrittori della Romania (1981, 1994, 2011). Nel 2005 fu invitato in Francia nell’ambito del programma «Les belles étrangères». A gennaio 2014 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia «Mihai Eminescu», consegnatogli a Botoşani.

Sin dal debutto, Ion Mureşan fece della poesia un mezzo atto a disciplinare le esaltazioni facili, tenere sotto controllo la noia, la solitudine e la pazzia. Personaggio burlesco ed esotico, il poeta transilvano si tiene lontano dalle «elemosine nazionali di notorietà», e anche dalla celebrità narcisistica di un Mircea Cărtărescu, l’autore più coccolato della letteratura attuale, tanto in Romania quanto all’estero. Il poeta clujeano direbbeche sarebbe contento se i suoi lettori (odierni o futuri) apprezzassero al massimo un solo libro, ma si accontenterebbe anche di 50 o persino 10 versi delle sue liriche.
Ion Mureşan è un riflessivo che possiede la scienza dell’immagine nonché l’insolenza metaforica. Indole discreta, a volte solitaria, seppur infaticabile bon viveur, Ion Mureşan fa la parte del perpetuo ribelle, ironico, esplosivo, che vive profondamente la poesia, furiosamente e nel contempo con infinita voluttà. Trae le sue origini dal surrealismo onirico e oracolare di Gellu Naum e Virgil Mazilescu. Consapevole del proprio valore, è creatore di un universo immaginario e discorsivo consono alla propria visione poetica, cioè uno stato di grazia naturale ironica e pietosa, crepuscolare e vaneggiante, abbinata alla «biblioteca universale» nel senso goetheano-borgesiano.
Ne ottiene infatti un inconfondibile timbro colloquiale, un impatto epico-drammatico delle parole del quotidiano, della strada e al tempo stesso un taglio neo-espressionista che conferisce alla sua dizione, apparentemente disconnessa, un’invidiabile accessibilità e originalità (ultimamente, per esempio, viene molto citato per il suo poema cult dedicato agli alcolisti o agli angeletti da bicchiere).

Ion Mureşan scriveva in un suo saggio del 2000 che «la poesia è la più credibile prova dell’esistenza di Dio» e continuava con un suo messaggio artistico-filosofico: «Credo che nella poesia si muova qualcosa nella parola dito, qualcosa nella parola Sirius e in tutte le parole ci sia un’anima nascosta e pulsante». In un’intervista recente sosteneva che «la poesia collega due parole, due cose che non hanno niente in comune. Che legame potrebbe essere tra faro e ciliegio? Eppure la poesia riesce a fare quel viaggio tanto ricco tra faro e ciliegio, tra tetto, per esempio, e paglia oppure chicco di grano. Questo viaggio accade molto rapidamente. Quasi per via aerea. Risparmi tempo e vita. Un viaggio bellissimo tra realtà lontane».

Ion Mureşan viene considerato dai più giovani poeti di oggi, (anche se a malincuore) un modello del neo-espressionismo anni 2000 sulla scia Lautréamont-Rimbaud-Trakl. Versatile, volubile, imprevedibile, nella sua più recente raccolta assistiamo a una sorta di metafisica della taverna: non mancano i desideri intimi degli ubriaconi, i fantasmi pronti a sollevarsi al cielo e la misericordia di Dio, dipinti minuziosamente dal poeta in versi-litanie come quelli, per esempio, del testo Ritorno del figlio prodigo: «Tutto fu bevuto/ Nessuna nuova bevanda sotto il Sole durante la mia vita/ La sabbia dei deserti fu fatta bollire nella sabbia e bevuta/ Polvere d’argento fu fatta bollire nella pentola d’argento e fu bevuta/ La polvere d’oro della tazza d’oro fu bevuta/ Furono bevute le pietre dei bicchieri di pietra e ancora di quando in quando dai libri appariva qualcuno/ che vedeva qualcosa da bere dalla pietra asciutta:/ vedeva e beveva/ Poi furono bevuti pure i libri...»

Ion Mureşan crede che i poeti, per una società malata come la nostra, siano la medicina più appropriata. Pari all’organismo umano, la società quando è malata secerne anticorpi chiamati poeti che hanno il ruolo di debellare l’infezione, di guarire con i loro scritti.
Il poeta è colui che alza la visiera e lascia che l’uomo si veda allo specchio, e i pochi che lo leggono, leggono infatti loro stessi. Quella che chiamano inflazione odierna di poeti svela la gravità della malattia sociale da una parte, dall’altra la sua chance di risanamento.



Poema

Poveri loro, ahi poveri alcolisti,
Nessuno gliela dice una buona parola!
Ma soprattutto, soprattutto di mattino quando
barcollano radendo i muri
e talvolta vanno per terra e sembrano lettere
scritte da uno scolaro maldestro.

Solo Dio, nella Sua magnanimità, gli avvicina una bettola,
dato che per Lui è facile, come per un bambino
che spinge col dito una scatola di fiammiferi. E
appena giungono in fondo alla via e dietro l’angolo,
dove prima non c’era nulla, paf, come una lepre
gli balza davanti  la bettola e si ferma
Allora una luce verginale gli sfavilla negli occhi
e sudano fortemente di tanta gioia                                      

E fino a mezzogiorno la città è di porpora.
Fino a mezzogiorno tre volte si fa autunno, tre volte primavera,
tre volte se ne vanno e arrivano gli uccelli dai paesi caldi.
Mentre loro parlano a più non posso della vita. Della vita,
così, in generale, pure i giovani alcolisti s’esprimono
con una calorosa responsabilità

e se balbettano o si bloccano un po’
non si deve al fatto di esporre idee terribilmente profonde,
bensì perché ispirati dalla giovinezza
riescono a dire cose davvero commoventi.

Ma Dio, nella Sua magnanimità, non si ferma qua.
Subito fa col dito un buco nel muro del Paradiso
e invita gli alcolisti a guardarvi.
E anche se a causa del loro tremore non riescono a vedere
che un pezzetto d’erba,
comunque è come un miracolo.

Fino a quando uno si alza e rovina tutto. E dice:
«Fra poco, fra poco si farà sera,
onde ci riposeremo e troveremo molta pacatezza!»
Così l’uno dopo l’altro si levano in piedi,
si asciugano le labbra umide con il fazzoletto
e hanno vergogna, molta vergogna.



Poem  
            
Vai săracii, vai săracii alcoolici,
cum nu le spune lor nimeni o vorbă bună!
Dar mai ales, mai ales dimineaţa când merg clătinându-se pe lângă ziduri
şi uneori cad în genunchi şi-s ca nişte litere
scrise de un şcolar stângaci.

Numai Dumnezeu, în marea Lui bunătate, apropie de ei o cârciumă,
căci pentru El e uşor, ca pentru un copil
ce împinge cu degetul o cutie cu chibrituri. Şi
numai ce ajung la capătul străzii şi de după colţ,
de unde înainte nimic nu era, zup, ca un iepure
le sare cârciuma în faţă şi se opreşte pe loc.
Atunci o lumină feciorelnică le sclipeşte în ochi
şi transpiră cumplit de atâta fericire.

Şi până la amiază oraşu-i ca purpura.
Până la amiază de trei ori se face toamnă, de trei ori se face primăvară,
de trei ori pleacă şi vin păsările din ţările calde.
Iar ei vorbesc şi vorbesc, despre viaţă. Despre viaţă,
aşa, în general, chiar şi alcoolicii tineri se exprimă
cu o caldă responsabilitate

şi dacă se mai bâlbâie şi se mai poticnesc,
nu-i din cauză că ar expune idei teribil de profunde,
ci pentru că inspiraţi de tinereţe
ei reuşesc să spună lucruri cu adevărat emoţionante.

Dar Dumnezeu, în marea Lui bunătate, nu se opreşte aici.
Imediat face cu degetul o gaură în peretele Raiului
şi îi invită pe alcoolici să privească.
Şi chiar dacă din cauza tremuratului nu reuşesc să vadă
decât un petec de iarbă,
tot e ceva peste fire. Până când se scoală unul şi strică totul. Şi zice:
«În curând, în curând va veni seara,
atunci ne vom odihni şi vom afla împăcare multă!»
Atunci unul după altul se scoală de la mese,
îşi şterg buzele umede cu batista
şi le este foarte, foarte ruşine




Freddo

Ai confini della memoria fa tanto freddo che
se un cigno fosse fucilato
nella sua ferita un vecchio potrebbe dimorare.

Ai confini della memoria fa tanto freddo che
solo i vicini stanno fino alla cintura nella farina di legno
e cantano
solo i vicini – come delle fiamme verdognole.



Frig

La graniţele memoriei e atâta de frig încât
dacă o lebădă ar fi împuşcată
în rană un bătrân ar putea locui.

La graniţele memoriei e atât de frig încât
numai vecinii stau până-n brâu în făina de lemn şi cântă
numai vecinii – ca nişte flăcări verzui.




Il poema sulla poesia

Tutta la vita raccolsi stracci per farmi uno spauracchio.
Ricordo le giornate in cui nascosto sotto il letto perfezionavo
il mio lavoro
il mucchio di scarpe logore su cui appoggiavo talvolta la testa
e mi addormentavo,
e adesso  che è pronto
ogni notte spengo la luce e solamente
immaginandomelo lì,
mi metto a urlare spaventato



Poemul despre poezie

Toată viaţa am adunat cârpe să-mi fac o sperietoare.
Îmi amintesc zilele în care ascuns sub pat îmi desăvârşeam
lucrarea
grămada de pantofi vechi pe care îmi rezemam capul uneori
când adormeam
iar acum când e gata
noapte de noapte sting lumina şi numai
bănuind-o acolo
încep să urlu de spaimă.




Autoritratto da giovane

Devi rimanere, babbo, tra le cose utili
io me ne andrò con i pazzi sulle sponde del fiume a raccogliere
tossilaggine
io devo serbare la memoria fuori ordine
avviluppandola nella sabbia rossa.
Devi rimanere, babbo, tra le cose utili,
io abiterò il solaio della casa berrò il vino forte
io devo esprimere quel suono fantastico che tagliente nasce
quando il nome si urta contro la cosa che nomina.

Devi rimanere, babbo, tra le cose utili
io sarò un bravo ballerino nel sogno mentre mi si mostrano
fanali ombrosi.



Autoportret la tinereţe

Trebuie, tată, să rămâi între lucruri utile
eu voi pleca cu nebunii pe malurile râului la cules de
podbal
eu trebuie să păstrez memoria în afara ordinii
învelind-o in nisipul roşu.
Trebuie, tată, să rămâi intre lucruri utile
eu voi locui în podul casei voi bea vinul tare
eu trebuie sa exprim acel sunet fantastic ce tăios se naşte
când numele se izbeşte deasupra lucrului pe care îl denumeşte.

Trebuie, tată, sa rămâi între lucrurile utile
eu voi dansa frumos în vis arătându-mi-se
felinare umbroase.



Il poema che può essere capito

Sto scrivendo il poema che non può essere capito.
Esso è una pietra nera e luccicante
da cui all’improvviso iniziano a crescere i capelli ispidi
delle trenta tre belve.:
Esso è la palude verde che si allunga fino alla piazza della città,
dal suo canneto abbaia flebile, lusinghevole una volpe
solitaria.
Esso è la sposa di legno (o, meravigliosa sposa
di legno!) – il vestito livido,
la bocca delle erbe,
il piagnucolìo che ricopre come muschio bianco la finestra.
Esso è il dirupo celeste e la nube di sangue che ringhia
nel dirupo celeste.
Esso è lo stormo di cornacchie che ruota giocoso
attorno alla fronte,
la nera foschìa della mia fronte: la lingua nella bocca è fredda
come ghiaccio e quasi friabile,
come una medaglia concessa da Dio
ai profeti
Esso è il vino che muta in sabbia nella tua bocca.

O,  quei tempi che la nostra casa fioriva sulla sponda
di un linguaggio scivolante!
Che i vocaboli uscivano dai cavi parlanti,
come le lumache salivano i muri...
Poi, i blandi, i polverosi archivi dei manicomi
dove indagai i segnali escogitati dai pazzi,
dove compilai una loro grande storia.,

che scrissi usando proprio quei vizzi segnali
così da non poter nemmeno io leggerla
Per ciò la sciolsi nel poema che
non può essere capito.
Vedo la testa sferica come una palla d’oro
che s’allontana sopra gli alti scaffali.

Sento urtare le onde del mare contro  i muri
di un alto e giallo deposito
e quasi vecchio, quasi curvo
con l’aureola ravvolta sottobraccio,
aspetto in fila, dietro centinaia e centinaia di uomini,
per poter vedere anch’io, almeno in fin di vita,
il poema salvifico,
il poema che non può essere capito.



Poemul care nu poate fi înţeles

Eu lucrez la poemul care nu poate fi înţeles.
El este o piatră neagră şi lucioasă
din care brusc începe să crească părul aspru
a treizeci şi trei de sălbăticiuni;
El este mlaştina verde ce se întinde în piaţa oraşului,
din trestiile ei latră moale, linguşitor o vulpe
singuratică;
El este mireasa de lemn (o, minunată mireasă
de lemn!)  rochia vînătă,
gura de ierburi,
scâncetul acoperind ca un muşchi alb fereastra;
El este văgăuna din cer şi norul de sânge ce mârâie
în văgăuna din cer;
El este stolul de ciori ce se roteşte cu voioşie
în jurul frunţii,
bruma neagră a frunţii mele: limba în gură e rece
ca gheaţa şi aproape casantă,
ca o decoraţie acordată de Dumnezeu
profeţilor;
El este vinul care nisip se face în gura ta.

O, vremuri pe când casa noastră înflorea pe ţărmul
unui limbaj lunecos!
Pe când cuvintele ieşind din scorburi vorbitoare,
asemeni melcilor urcau pe ziduri...
Apoi, blândele, prăfoasele arhive ale ospiciilor
unde am cercetat semnele inventate de nebuni,
unde am întocmit o mare istorie a lor,

pe care scriind-o în chiar semnele acelea uscate
nici eu vreodată nu am putut-o citi.
De aceea am cuprins-o în poemul care
nu poate fi înţeles.
Văd capul rotund ca un balon de aur
îndepărtându-se peste înaltele rafturi.

Aud valurile mării lovindu-se de zidurile unui
înalt şi galben depozit
şi aproape bătrân, aproape gîrbov,
cu aureola împăturită sub braţ,
mă aşez la rând, după sute şi sute de oameni,
să pot vedea şi eu, măcar spre sfârşitul zilelor mele,
poemul tămăduitor,
poemul care nu poate fi înţeles.



A cura e traduzione di Geo Vasile
(n. 2, febbraio 2014, anno IV)