«La lingua romena nel mondo». Cronaca del convegno di Lisbona

Ho avuto recentemente l’opportunità di prender parte a un evento culturale importante, avente per obiettivo sottolineare il posto della cultura e della lingua romena nel concerto delle culture del mondo. Si tratta della quinta edizione della conferenza dedicata allo studio della lingua romena nell’Università di Lisbona e del convegno «La lingua romena nel mondo. Le traduzioni che ci guidano: il romeno all’interno del plurilinguismo», svolti fra il 12 e il 17 maggio nelle aule dell’Università di Lisbona, e organizzato dall’Istituto della Lingua Romena di Bucarest e dal Lettorato di Romeno dell’Università ospite, in collaborazione con l’Istituto Culturale Romeno di Lisbona e dall’Ambasciata della Romania in Portogallo. L’evento è stato importante per la sua estensione, per le personalità coinvolte nel progetto e per la sostanza degli interventi e dei dibattiti. Tenterò di argomentare queste mie affermazioni.  

L’estensione si riferisce al numero dei partecipanti, all’organizzazione e alla durata: perché essendo la sesta riunione annuale dei lettori di romeno nelle università straniere, all’evento hanno preso parte i numerosi docenti che insegnano la nostra lingua nelle università di tutto il mondo, cui si sono aggiunte non poche personalità che operano in Romania o in Portogallo nel campo dell’insegnamento, della letteratura e della traduzione. Il convegno ha compreso due grandi sessioni: nei primi due giorni, la sessione dedicata – dopo i saluti dei massimi rappresentanti delle istituzioni partecipanti al progetto – alle conferenze plenarie tenute dagli invitati, romeni e portoghesi. La seconda sessione, coordinata dal direttore dell’Istituto della Lingua Romena, la dott.ssa Corina Cherteş, presenza essenziale nel progetto, è stata consacrata alle relazioni dei docenti romeni partecipanti al convegno, relazioni seguite da dibattiti e raggruppate in tre workshops di tre giornate ciascuno. Nell’intervallo fra le due sessioni, gli organizzatori hanno offerto a tutti i partecipanti una gita in alcune delle più belle località intorno a Lisbona, rinomate per il paesaggio, per i ricordi storici e per la ricchezza artistica ma anche perché sono state testimoni di  contatti speciali con il nostro paese (a Estoril abbiamo visto l’ultima dimora del re di Romania Carlo II, e a Cascais la casa dove Mircea Eliade ha passato gli anni di tormenti e nostalgie evocati nel suo Diario portoghese). In più, nelle prime serate tutti abbiamo partecipato all’inaugurazione di due mostre d’arte romena di autentico valore in due spazi di grande prestigio della capitale portoghese, che mi propongo di presentare in un altro articolo. Cosa voglio dire con questo rendiconto? Che l’evento è stato intelligentemente articolato, così che i momenti di relax non sono stati concepiti come semplici intrattenimenti ma hanno avuto un legame organico con l’orientamento e la tematica del convegno. Un merito incontestabile nella realizzazione di quest’ingranaggio spetta alla prof.ssa Ruxandra Ciolăneanu, lettrice di romeno presso l’Università di Lisbona, e all’Istituto Culturale Romeno della capitale portoghese, al suo direttore, dott. Daniel Nicolescu, e alla sua eccellente équipe, il vicedirettore arch. Gelu Savonea, alla dott.ssa Marinela Banioti ecc. Considero doveroso menzionare i loro nomi perché, al di là del loro contributo all’organizzazione dell’evento, la gentilezza e la cordialità di ciascuno di loro è stato il legante di tutto il suo percorso.

Un evento importante, dicevo, anche per le personalità coinvolte: ho già ricordato alcune, ma bisogna dire che la portata istituzionale del convegno è risultata dalla partecipazione e dalle allocuzioni di personalità come il Ministro dell’Educazione Nazionale e della Ricerca romeno, Adrian Curaj, dal Ministro della Scienza, Tecnologia e Insegnamento Superiore del Portogallo, Manuel Heitor, l’ambasciatore della Romania in Portogallo, Vasile Popovici, Ana Paula Laborinho, presidente dell'Istituto Camões, il Presidente dell’Istituto Culturale Romeno, Radu Boroianu, la dott.ssa Mirela Carmen Grecu, Direttrice nel Ministero degli Affari Esteri della Romania, i magnifici rettori delle università di Bucarest e di Lisbona ecc. E voglio aggiungere una cosa, secondo me, altamente significativa: quasi tutte queste notabilità non si sono limitate a un saluto inaugurale per poi scomparire – come di solito succede – bensì hanno accompagnato i partecipanti durante il convegno, aprendosi a un dialogo cordiale, raccogliendo suggerimenti, iniziative, critiche. E una tale cosa può alimentare in tutti noi la speranza che l’evento di cui sto parlando avrà un seguito anche dopo la sua conclusione, verso un possibile riorientamento e una riconsiderazione delle priorità istituzionali. 

Personalità di spicco erano anche i conferenzieri della prima sessione, lo scrittore portoghese Rui Zink, il letterato Liviu Papadima, l’insigne traduttore e traduttologo Bogdan Ghiu ecc. Ciascuno ha trattato temi di grande interesse, ma io vorrei ricordare qui solo alcuni, diversi per argomento e approccio, ma uguali per l’importanza dei problemi in gioco: il Magnifico Rettore dell’Università di Bucarest, prof. Mircea Dumitru, ha analizzato l’impasse risentita dal mondo accademico delle migliori università del mondo dovuta alla svalutazione delle discipline umanistiche e alle sue conseguenze, a lungo termine pericolose, per la formazione della personalità delle future generazioni; la dott.ssa Ana Borca, Direttrice dei programmi  di lingua romena presso l’Istituto Culturale Romeno, ha presentato con rara oggettività e concretezza i meriti e le mancanze della diffusione della cultura romena nel mondo tramite lo studio della nostra lingua e la formazione dei traduttori stranieri; il prof. Daniel Perdigão, ha fatto, in un elegantissimo romeno, una rassegna esauriente e ben strutturata dell’immagine del Portogallo nella letteratura romena, così come la si rispecchia nelle traduzioni, nei contatti personali e nei sogni degli autori romeni.

In ciò che riguarda la sostanza degli interventi bisogna andare oltre le conferenze plenarie per approdare alle relazioni dei docenti romeni, nella seconda sessione dell’evento, ribadendo la qualità scientifica di ognuna di esse nonché la diversità dei temi e delle metodologie. Mi riferirò brevemente a questa diversità perché non sembri disordine. No, questi interventi e i consecutivi dibattiti, dedicati tutti alla problematica della traduzione e della traduttologia, hanno prospettato cinque grandi tematiche, cui si potrebbe aggiungere una sesta riguardante la situazione specifica della lingua romena nella Repubblica di Moldova. Le tematiche sono state: la letteratura romena novecentesca tradotta in altre lingue (con analisi di traduzioni da autori quali Cărtărescu, Sadoveanu, Doina Ruşti ecc.); momenti e ipostasi nella storia della traduzione (le prime traduzioni in lingua romena, la traduzione dei testi sacri, Dosoftei, ma anche Aron Pumnu ecc.); traduzioni di libri stranieri in romeno (da Kalevala fino alle letterature del secolo XXI); teoria della traduzione in senso lato (traduzione e teoria della letteratura, interdiscorsività, la traduzione nel processo didattico ecc.); e ultima, ma riccamente rappresentata, l’analisi di vari aspetti morfo-sintattici e semantici specifici (dalla traduzione delle unità fraseologiche del croato alla traduzione dei verbi con prefissi del bulgaro o a sbagli specifici alle traduzioni tecnico-scientifiche ecc.). Un’altra cosa notevole e che potrebbe servire da modello a ulteriori convegni del genere è il fatto che ogni partecipante ha ricevuto sin dall’inizio una brochure con i riassunti (in versione bilingue, romena- inglese) di tutte le relazioni, ciò che dimostra non solo il professionalismo degli organizzatori ma anche il loro desiderio di preparare e di incentivare i consecutivi dibattiti. 

Concludo questa presentazione, apertamente elogiativa, con un breve accenno alla tematica. Lo scopo dichiarato del convegno era «di creare uno spazio di riflessione sui valori culturali, letterari e linguistici importati ed esportati dalla lingua romena», di identificare i punti forti del dialogo fra la cultura romena e le culture del mondo e di individuare la posizione occupata dalla cultura e dalla lingua romena nella società contemporanea globalizzata. Senza riprendere qui i temi della mia conferenza, tengo tuttavia a ripetere che la globalizzazione, che ci piaccia o no, è un fenomeno reale e in pieno svolgimento e che la traduzione, tanto quella «classica», fatta da un traduttore specializzato, quanto quella recente e angosciante, fatta dal computer, è una sua componente essenziale. Se noi, romeni di oggi, vogliamo far sentire la nostra voce nel concerto della globalizzazione e se ciascuno di noi vuole essere attore nel mondo reale odierno (ma che dire di quello virtuale!), allora tutti noi ci confronteremo, volens nolens,  con il problema della traduzione. E se tanto lo facciamo è meglio farlo con consapevolezza e competenza. È ciò che, secondo me, ci può insegnare l’esperienza di Lisbona.


Smaranda Bratu Elian
(n. 6, giugno 2016, anno VI)