In memoriam Massimina Pesce. Un’artista amica della Romania

Lo scorso 10 giugno se ne è andata in silenzio e con dolore la poliedrica artista aquilana Massimima Pesce, stimata e apprezzata ceramista, scultrice e pittrice, e anche una vera amica della Romania. Massimina Pesce si è formata a Roma sotto la guida del grande scultore Leoncillo Leonardi, è stata sempre sostenuta dalla critica italiana e straniera più qualificata e ospitata in mostre personali e collettive in molti musei e istituzioni culturali italiane, europee ed extraeuropee. La ricordiamo attraverso le parole di Afrodita Cionchin e George Popescu, che hanno accompagnato una mostra itinerante collettiva di qualche anno fa, presentata in alcune città dell'Italia e della Romania.


Il prototipo delle sculture di Massimina Pesce – l’uccello nel volo – ricorda uno dei primi grandi creatori dell’arte moderna – Constantin Brancusi – la cui intera attività artistica si è incentrata su questo tema, in lavori in legno, marmo e bronzo, a partire dalla Maiastra fino al ciclo Uccelli nello spazio. Vale a dire che, nel folklore romeno, la «maiastra» è un mitico uccello benevolo dalle poteri magiche, i cui nobili attributi furono esemplarmente riflessi nelle forme semplificate di Brancusi.  
In Massimina Pesce, il motivo dell’uccello e del volo attraversa tutti i registri d’espressione, come se lei sperasse che ogni nuova forma nata dalle sue mani le dovesse svelare quel mistero non ancora decifrato – il miracolo del volo: la scultura della Tensione solare e della Tensione rossa, degli irrompenti Voli astrali e, latentemente, della serie del Piccolo Menhir e del più energico Menhir; i pannelli in ceramica intitolati Impronta di volo o Pietrificato volo; la pittura e la grafica dei cicli Volo, Impronta di volo, Il risveglio del volo, Pittoscultura e Voli. Dappertuttoil motivo dell’uccello e del volo si manifesta in forme essenzializzate che rivelano nei moderni lavori l’impronta di archetipi lontanissimi risalenti all’Archaeopteryx o alla favolosa fenice collegata in Egitto al culto del dio Sole e poi, nel cristianesimo, simbolo della resurrezione; alla mitologia dell’antica Grecia, a Dedalo e Icaro, in cui le ali e il volo rappresentano il tentativo umano di salvarsi dalla caducità della vita terrena.
Come suggeriscono alcuni titoli, in questa verticalità della condizione umana c’è una «tensione solare», rossa – il colore più intenso e ricorrente, simbolicamente il fuoco, la fiamma della vita – quella tensione interiore che mira a risolversi nell’atto stesso della creazione. E non potevano mancare nell’entusiasmo di questi voli l’azzurro della volta celeste e il bianco della purezza, della perfezione divina.  
Gli «uccelli» rivelano pertanto la concezione dell’artista sull’armonia delle forme. Essi implicano il volo, la grazia e l’aspirazione verso l’alto, lo slancio e la celerità dell’avanzamento. In senso più profondo, si potrebbe considerare che in questo ciclo di dipinti ci sarebbe la ricerca della forma ideale che possa rappresentare l’uccello e il suo volo verso l’infinito. E sembra che per Massimina Pesce la forma ideale è quella verticale arcuata, la quale racchiude in sé le più forti suggestioni: l’impeto della vita e l’ardore della redenzione. In questo modo, la pittrice cerca di afferrare per sé stessa e di esprimere per gli altri l’essenza del volo ovvero l’ascensione alla spiritualità e la trascendenza. 

Afrodita Carmen Cionchin





Da qualche parte alla periferia dell’Aquila, sotto la montagna, non lontano da Sulmona, di dove arrivano, da lontano, gli echi spenti delle declamazioni ovidiane, in un sontuoso atelier artistico, il visitatore poco avvertito come me, in un pomeriggio del dicembre 2003, difficilmente può declinare il suo stupore di fronte ad una scoperta incitante. Ovvero provocatoria: nel cortile lasciato nel suo stato ʻnaturaleʼ, una diecina di sculture monumentali, diverse per tecniche, maniere, gusti, orientamenti, sono prove di un’iniziativa assunta, per fortuna, anche da noi: contributi di scultori, italiani e stranieri, ivi invitati periodicamente, in campi di creazione. L’iniziativa appartiene all’anfitrione, Massimina Pesce, lei stessa un’artista prestigiosa, conosciuta e apprezzata nel suo Paese e su molti meridiani del mondo. Dentro, lo spazio, sconvolgente e generosamente distribuito da un senso architettonico indiscutibilmente artistico, è popolato da lavori-opere di una diversità (come forma materiale) non meno sorprendente: sculture di grandi dimensioni, sculture piccole, in pietra, in legno, in ceramica, in granito, distribuite dappertutto secondo un ordine inafferrabile. Ciò che il visitatore viene però ad afferrare, per quanto fosse impreparato, riguarda due cose rivelatrici: la dimensione di un immenso travaglio, frutto di un impegno – fisico e spirituale – oneroso e l’orizzonte tematico di questa mostra continua in lavoro che, in breve, si potrebbe connotare nel trinomio fossili – volo – tensione. Smarrito in questo museo d’occasione, mi chiedevo come sarebbe stato il famoso atelier di Brancusi di Passe Ronsin? E mi ricordai della visita che fece al geniale contadino romeno, a metà degli anni ’50 del secolo scorso, poco prima della sua morte, Eugenio Montale il quale, in un articolo per il «Corriere della Sera», lo assomigliava a un satiro shakesperiano avaro con le proprie opere come il personaggio con le sue donne. Ma che cosa venne ad alimentare tale relazione mentale? La scultura di per sé? Il volo come topos, in Brancusi e nella mia anfitrione, lei stessa una figura sculturale, vivace e siderale?
Il volo è qui idea, ma anche uccello. Oppure solo il ricordo dell’uccello: l’uccello-idea, l’uccello-Memoria; voli perduti, infranti, pietrificati, sclerosati, ʻmummificatiʼ, incrostati su tela o pietra, granito o legno, ma voli ancora. Con ali, degne tracce del volo icario dal quale, una volta cancellato il cenere dell’incendio auto-profanatore, l’avventura, come segno, è intatta. E siccome, accanto alla grazia, Massimina Pesce possiede una grande dosi d’intelligenza artistica, lei gestisce il mondo delle sue idee, il suo patrimonio inalienabile, portando nell’orizzonte dei lavori anche il topos del fossile: metafora della gradazione, nel tempo, dell’essere stesso – uccello o farfalla / uccello-farfalla – come segno referenziale del passaggio dell’uomo per l’universo che sembra aver perduto la sua aureola primordiale. E se le sue sculture, con la loro policromia affascinante e incitante, lasciano la profonda impressione di un’aspirazione ieratica verso un cielo destituito dalle sue funzioni oracolari, le pitture sono immerse anch’esse nel rosso ridondante doppiato dal bianco perlaceo, come se stessero ancora sulla sabbia sfinita dal mare; una simbologia quanto ricca tanto provocatoria: avvertente, mi pare, che il segno non è soltanto il fondamento di un linguaggio, ma anche punto di riferimento e partenza per un’ermeneutica universale. Non-figurativa; eppure, l’arte di Massimina Pesce si apre all’atto comunicativo con la stessa facilità, semplicità e gioia con la quale, etnogeneticamente, l’universo si offre alla nostra riserva di comprensione. Quanta ne abbiamo ancora, perduti come siamo, nel vento di una rovina consumistica che minaccia, accanto alle antiche virtù dell’Arte, l’Uomo stesso. E quando qualcuno, contemplando con sagacità la sabbia adriatica – oltre la cresta nuda e tremante dal bianco della neve dell’appenninico Gran Sasso – pensando a rifare, con fossili e larve, il volo d’Icario, dall’angolo di questo sontuoso atelier spunta la speranza che la fine potrebbe ancora essere sospesa. O, almeno, rimandata. Massimina Pesce è una scultrice con visioni e tecniche pitturali, un’artista esemplare che sembra tagliare, nella durezza della materia, direttamente con l’anima. Con i suoi lavori tanto diversi e singolari, con la figura di una sacerdotessa bizantina tormentata dalla sofferenza di penetrare, con gli strumenti delle sue doti intellettuali, oltre il vetro del mistero di un mondo dal quale è partita e nel quale vorrebbe ritornare, Massimina Pesce mi sembra un’artista in piena maturità, fiera delle origini che porta come se fossero delle stigmate francescane.


Progetti di farfalle che non arrivano...

Fossili: avvisi che prima di noi qualcuno
ha camminato da queste parti. In cerca della felicità.
Oppure forse della sofferenza. Chissà? E a partire da qui
in su, verso un cielo che comunque non si può vedere se non
con l’occhio interno, un inizio di volo: progetto
della mia mente scavando nel magma dell’immaginazione
di cui fui prigioniera. Padrona, forse?

Larve di un tempo della Memoria dimenticata; progetti
di farfalle che non arrivano più alla messa di quest’ora
segreta alla quale vi ho convocato per dirvi
che da tutto ciò che ci è dato a vivere niente sa di peccato,
che da tutto ciò che abbiamo vissuto con tanta fatica
resta solo la testimonianza di questo volo: sogno di un Icaro bruciante
sotto la pagoda di un cielo il quale soltanto perdendolo
lo può conquistare. Ed è forse poca cosa?

George Popescu
(n. 10, ottobre 2012, anno II)