Galileo Galilei a 450 anni dalla nascita. Un ritratto firmato da Magda Stavinschi

Quattrocentocinquant'anni dalla nascita del grande scienziato Galileo Galilei. È una data che non può passare inosservata, anche se di recente abbiamo celebrato quattrocento anni da quando un telescopio è stato orientato verso le stelle del firmamento per scoprire il loro mistero. Era la ragione per cui il 2009 venne dichiarato Anno Internazionale dell’Astronomia.
Ma chi è stato veramente Galilei? È nato a Pisa il 15 febbraio del 1564. È stato un astronomo e un fisico italiano del Seicento. È rimasto famoso per aver gettato le basi delle scienze meccaniche e per la tenacia con cui ha difeso la visione copernicana dell’universo.
Per menzionare solo le più importanti fra le sue realizzazioni elencherei il perfezionamento del telescopio astronomico (che non era una sua invenzione) e delle osservazioni astronomiche fra cui quelle che hanno confermato le fasi del pianeta Venere. Nel campo della matematica e della fisica il suo contributo è stato decisivo per il progresso della cinematica e della dinamica. Tutto sommato, Galilei è considerato il padre dell’osservazione astronomica e della fisica moderne.
Tentiamo di percorrere rapidamente la sua vita, benché su questo personaggio eccezionale della cultura universale ci siano decine di volumi, di lavori teatrali e di film.

Una formidabile capacità di osservazione

Galileo di Vincenzo Bonaiuti de' Galilei fu il primogenito dei sette figli di una famiglia di commercianti appartenenti alla piccola nobiltà. Suo padre era anche musico, cantante e autore di un Dialogo della musica antica e moderna. Galileo ha dimostrato sin da piccolo una straordinaria manualità e un’inconsueta capacità di osservazione. Quando aveva 10 anni, la famiglia andò ad abitare a Firenze dove, nel monastero di Santa Maria di Vallombrosa, riceverà una seria educazione religiosa. A 17 anni viene iscritto ai corsi di medicina dell’Università di Pisa che dopo non molto abbandonerà. Dai 19 anni studia la matematica con un amico di famiglia, Ostilio Ricci, che gli insegnerà una cosa poco comune per quei tempi: unire la teoria alla pratica. Perciò, osservando nel duomo di Pisa che il movimento di un lampadario che pendeva dalla cupola presentava oscillazioni isocrone, ha l’idea di usare il pendolo per la misura del tempo –  teoria che pubblicherà solo alla fine della vita – gettando così le basi di una nuova scienza: la meccanica. Entusiasta di Euclide e poco attratto dalla medicina, si dedica ora alla matematica. 
In cerca di una cattedra di matematica, conosce l’insigne matematico del Collegio Pontificio il gesuita Cristoforo Clavio che lo raccomanda al granduca di Toscana, Ferdinando I, che lo nomina docente di matematica presso l’Università di Pisa (con un salario misero). Qui farà i suoi esperimenti sulla caduta dei gravi e scriverà il suo primo lavoro di meccanica, De motu. Nel 1592 si sposterà a Padova, la prestigiosa università della Serenissima Repubblica di Venezia, dove rimarrà per 18 anni. Qui continuerà ad insegnare il sistema tolemaico, benché in privato avesse già adottato quello copernicano. A Padova proseguirà le sue ricerche in tutta libertà e approfitterà anche dell’importante industria locale del vetro, necessaria alla fabbricazione delle lenti.
L’anno 1604 sarà un anno eccezionale per Galilei, perché, fra altre scoperte e teorie, osserverà una stella «nuova», che costituiva un argomento sufficiente contro l’immutabilità dei cieli. Finalmente nel 1609 riceverà da Parigi una lettera che gli confermerà l’esistenza di un cannocchiale fabbricato in Olanda capace di vedere gli oggetti a distanza, incluse le stelle invisibili a occhio nudo. Armato solo della descrizione ricevuta, Galilei costruisce da solo il primo telescopio.
Non entrerò nei dettagli di questa fabbricazione né del suo ulteriore perfezionamento, ma segnalerò le scoperte agevolate da tale strumento, che confermeranno il sistema copernicano e apriranno la strada all’astronomia moderna: con il telescopio Galilei osserva l’esistenza delle montagne lunari, infirmando così la teoria della diversa materialità degli astri; scopre la natura della Via Lattea e conta le stelle della costellazione Orione; studia le macchie solari scoprendo il movimento di rotazione del Sole. Ma il 7 gennaio 1610 fa la scoperta capitale: intorno al pianeta Giove ruotano tre corpi celesti cui, poco dopo, aggiunge un quarto. La scoperta sarà pubblicata nel «Sidereus nuncius», che, fra l’altro, distrugge la credenza in un unico centro di rivoluzione degli astri. Poi, il 25 luglio 1610 osserva una specie di «orecchie» di Saturno che, nel 1655, l’astronomo olandese Christiaan Huygens identificherà come anelli planetari. Sempre nel 1610, in settembre, Galilei scopre anche le fasi di Venere, simili a quelle della Luna, prova irrefutabile del sistema copernicano.
Ed è così che comincia la lotta contro Galilei, il suo celebre processo, la leggendaria affermazione «E pur si muove». È stato giudicato dall’Inquisizione, dichiarato sospetto di eresia e forzato a ritrarre e a passare il resto della vita in domicilio coatto. Galilei è morto l’8 gennaio 1642, a 77 anni.

Il caso Galilei: il rapporto fra scienza e fede


Ma si può dire che il suo processo si è concluso soltanto nel 1992, il 31 ottobre, quando il papa Giovanni Paolo II ha espresso il rimpianto per il modo in cui è stato trattato il caso Galilei. In ciò che segue citerò alcuni frammenti del famoso discorso tenuto dal papa alla Pontificia Accademia delle Scienze, perché esso illumina una questione essenziale e secolare legata al caso Galilei, cioè il rapporto fra la scienza e la religione. Si tratta di una doppia questione che sta al cuore del dibattito su Galilei. «La prima è di ordine epistemologico e concerne l’ermeneutica biblica. A tal proposito, sono da rilevare due punti. Anzitutto, come la maggior parte dei suoi avversari, Galileo non fa distinzione tra quello che è l’approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sulla natura, di ordine filosofico, che esso generalmente richiama. È per questo che egli rifiutò il suggerimento che gli era stato dato di presentare come un’ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso non fosse confermato da prove irrefutabili. Era quella, peraltro, un’esigenza del metodo sperimentale di cui egli fu il geniale iniziatore.
Inoltre, la rappresentazione geocentrica del mondo era comunemente accettata nella cultura del tempo come pienamente concorde con l’insegnamento della Bibbia, nella quale alcune espressioni, prese alla lettera, sembravano costituire delle affermazioni di geocentrismo. Il problema che si posero dunque i teologi dell’epoca era quello della compatibilità dell’eliocentrismo e della Scrittura.
Così la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbligava i teologi a interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura.  
A partire dal secolo dei Lumi fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l’immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva, il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, oppure dell’oscurantismo “dommatico” opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all’idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana, dall’altro. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato.
Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. A quest’ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una opposizione. I due settori non sono del tutto estranei l’uno all’altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà».
Tale affermazione, conferma di quella fatta da Galilei stesso nella celebre lettera a Maria Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana – accessibile ora anche ai lettori romeni grazie al volume Galileo Galilei, Lettere copernicane, apparso nella collana bilingue «Biblioteca Italiana» della casa editrice Humanitas – giustifica perché, in prossimità dell’Anno Internazionale dell’Astronomia, in Vaticano è stata eretta una statua di Galilei e perché, nelle celebrazioni dedicate al quadricentenario della prime osservazioni fatte con il telescopio, il papa Benedetto XVI ha lodato il contributo portato all’astronomia da Galilei.



Magda Stavinschi
Traduzione di Smaranda Bratu Elian
(n. 12, decembre 2014, anno IV)



* Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, sabato, 31 ottobre 1992.