Lorenzo Mazzoni e Marco Belli: una provocazione sulla Romania di oggi

Mi sono chiesto, leggendo il manoscritto di Porno Bloc. Rotocalco morboso dalla Romania post post-comunista, quale sarebbe stata la reazione del pubblico, italiano e romeno, che avesse incontrato questo testo.
Facile immaginare, nei confronti dei due autori, accuse di comportamento sciacallesco per aver sfruttato i loro viaggi in Romania con un’operazione commercial-pubblicitaria lesiva dell’immagine del paese carpatico e dei suoi abitanti. O ancora accuse di un volgare safari fotografico. Di questi tempi lo stesso governo romeno investe denaro in campagne di restyling dell’immagine dei romeni in Europa. Un libro così potrebbe portare il pericolo di desumere un’immagine negativa della Romania e dei romeni? Si corre certamente questo rischio in seguito a una lettura superficiale, che confonde il racconto fantasioso con la realtà di un paese oppure lo utilizza per rinforzare dei pregiudizi.

Ma è proprio quello che, molto abilmente, i due autori propongono per la destrutturazione: il pregiudizio, le dottrine e le pratiche fondate sulla violenta e indiscriminata affermazione di motivi imperialistici e nazionalistici, sulla presunta loro adeguatezza a superare e armonizzare i conflitti economici, politici e sociali, sull’imposizione del principio gerarchico a tutti i livelli della vita nazionale. Che poi è quella stessa cosa che si chiama fascismo, regime, dittatura, totalitarismo. [...]
In Porno Bloc il connubio fotografia-racconto nasce da alcuni viaggi che gli autori hanno fatto in Romania. Sapendo che “domandare è un ottimo modo per sapere” hanno fatto domande alle persone, ai libri, ai luoghi, ai colori, al passato e al presente, all’immaginato o sperato futuro di quel paese e di coloro che lo abitano. Hanno capito più di quello che hanno visto e ci restituiscono qualcosa, una parte, senza la pretesa di raccontare tutto.
Lo scrittore ha saputo cogliere, nel passato e nel presente della Romania, gli aspetti che sono, da una parte, appannaggio del periodo dittatoriale di un pessimo e malriuscito esperimento comunista e dall’altra quanto di consumistico - e forse altrettanto devastante - si è implementato nel paese dopo gli eventi del dicembre 1989. Il fotografo ci offre piccole finestre-quadro in bianco e nero su quello che è rimasto del “glorioso” passato oppressivo e gli elementi di novità apportati dalla civiltà del consumo.

Mihai Mircea Butcovan



PORNO BLOC. Rotocalco morboso dalla Romania post post-comunista


Primo giorno

La donna se n’è andata via.
Mi ha lasciato le chiavi, il suo numero di cellulare scritto sul retro di un biglietto da visita di Jasmine’s Massage.
In frigorifero non c’è nulla da bere.
L’aria condizionata è accesa al massimo. Temperatura glaciale.
Il telecomando sembra non avere nessuna utilità. La temperatura continua a essere siderale.
Scaglio il telecomando contro il condizionatore.
Temperatura ancora glaciale.
Telecomando in mille pezzi sul pavimento, un parquet da due soldi.
Mi avvicino al condizionatore, strappo i fili elettrici. Si spegne con un suono secco, di ingranaggio rotto. L’ha voluta lui.
Mi infilo le chiavi in tasca ed esco.
Bucureşti, sviluppo caotico. Grigio e sporco. Strade intasate di traffico. Incompiuta urbanistica monumentale, giungla di cemento.
Bucureşti, magnificamente orrenda. Fetida e decomposta.
Bulevardul Regina Elisabeta. Alberi ammalati. Un pezzo di balcone caduto sulla strada. La gente passa, scuote la testa e va avanti.
Giardini Cişmigiu, lago, piccole barche a remi, cigni, salici piangenti, uomini che sonnecchiano, giocatori di scacchi, folli, ubriaconi, un barbone che rovista nell’immondizia, vecchie che parlano con ipotetiche amiche immaginarie.
Bevo una birra ghiacciata al Bistro Tormen. Fuori dalla vetrata sporca, umanità in movimento, la facciata fatiscente del cinema Capitol, piccoli e ignari disperati, cittadini sudati.
Pago la consumazione ed esco.
Fa caldo. Cammino, avanzo. All’incrocio con Calea Victoriei mi fermo a osservare i palazzi con le facciate ovali, le balconate liberty, le statue ai piani alti, le decorazioni retrò.
Caldo. Domenica d’estate a Bucureşti. Non potevo chiedere di meglio.
Bulevardul Naţiunile Unite, il fiume Dâmboviţa. Bloc monumentali. Epoca socialista a go-go. Facciate grigie ricoperte dai cartelli pubblicitari del nuovo millennio.
Mc Donald’s, Cosmopolis, Prigat, Ing, Ibiza Sol, Honbach, Praktiker. Gran lusso.
Macchine, smog, pedoni. Gente accaldata. Alle città non è consentito rimanere immobili. I minuti si rincorrono l’un l’altro.
Risalgo Bulevardul Regina Elisabeta. Su un palazzo, degli operai salutano la folla.
Torno al Bistro Tormen. Ordino una ciorbă con polpette di carne e due birre. La zuppa non la tocco. Le birre le bevo in cinque minuti.
In strada mi sento stranito. Questa gente mi guarda smarrita e severa. Accendo una sigaretta. Compro una bottiglia di vodka in un bugigattolo lercio. Un uomo sta esaminando i meloni che il bottegaio tiene in una cesta sulla strada. Mentre passo l’uomo mi sorride. Lo ignoro.
Mi fermo in un internet cafè. Non conosco nessuno a cui mandare e-mail. Mi faccio una partita a Penguin Racer, un videogioco dove bisogna muovere un pinguino su una pista ghiacciata irta di pericoli: orsi, foche, massi di ghiaccio. Sono l’asso dell’Antartide. Al sedicesimo livello, quando il pinguino frana miseramente contro un fottuto orso bianco e la partita finisce, mi accorgo che stavo giocando a una difficoltà adatta a bambini sotto i cinque anni.
Nell’internet caffè non c’è nessuno tranne me e il proprietario, un ragazzo rasato che parla da venti minuti al cellulare. Pettegolezzi calcistici, cazzate su una donna conosciuta in un locale. Non me ne frega niente. Lascio perdere il pinguino e mi guardo dei siti pornografici. Asiatiche, segretarie, dottoresse, mulatte, norvegesi tutte a gambe aperte.
Torno a casa.
In poltrona mi sorseggio la vodka.
Accettare. Non dire mai di no. Essere pagato. Fare bene il mio lavoro. Ma per che cosa? Per un po’ di soldi?
Per la sopravvivenza?
Ho buttato nel cesso l’etica e la dignità e, senza pensarci troppo, ho tirato lo sciacquone. Credo che anche il mio buon senso sia finito nelle fogne quel giorno. C’era il sole. La donna con cui stavo non accettava il lavoro che facevo. “Pensavo andassi a delle conferenze”, aveva detto fra le lacrime. “Vado a delle conferenze riservate”, avevo risposto.
Era vero.
Bevo un sorso di vodka. Chiudo gli occhi. Sono stanco. Devo smetterla di pormi domande.
Grida. Grida di donna. Forse uno stupro.
Mi avvicino alla finestra.
Ansimi.
Il cortile è deserto. Nella vecchia casa ad angolo un grassone al primo piano passa da una stanza all’altra del suo appartamento spoglio, spegnendo le luci al suo passaggio. Quando tutto è buio torno a concentrarmi sul grido, sull’ansimare.
Viene dal piano di sopra. Forse non hanno il condizionatore e fanno sesso con le finestre aperte.
Ascolto la donna godere.
Bevo vodka, mi abbasso i pantaloni e mi masturbo gustandomi il canto dell’orgasmo.


Secondo giorno

Il giovane taxista che mi accompagna sbuffa.
A ogni semaforo, tra una boccata di sigaretta e l’altra, mi ripete che in quanto straniero dovrei pagare una tariffa doppia.
Gli dico che conosco Bucureşti da più tempo di lui.
Mi risponde che se la conosco così bene potevo andare a piedi.
Sorpassiamo l’uscita della stazione della metropolitana Eroii Revoluţiei. Un ragazzino lercio mangia una pannocchia. Anziani, donne e bambini seduti sulle panchine. Sguardi severi. Sguardi bassi. Incorniciati dai profili grigi dei bloc. I fili della luce creano un groviglio nel cielo. I clacson suonano. Il giovane taxista sbuffa e succhia avidamente la sigaretta.
Bucureşti, che il grande terremoto e i deliri urbanistici di Nick Ceaşca hanno vuotato e ricostruito. Il grande e gigantesco mostro sventrato nel suo cuore, capace di estendere i suoi tentacoli tutt’intorno. Non c’è pace per la campagna inglobata nei sobborghi. Questa città si sviluppa senza sosta. Fra qualche anno la periferia di Bucureşti sarà a Timişoara.
-Fermati.
Lo pago ed esco dal taxi. Fa una manovra isterica a U e ritorna verso il centro della città.
I bloc hanno un’aria tetra. Taglio fra due palazzi e mi infilo in una strada di terra battuta.
Tubature rotte scaricano acqua dappertutto. Ramoscelli bruciati, carta di giornale, merda, barattoli arrugginiti galleggiano nella melma.
Un bambino strilla. Altri bambini saltellano scalzi schivando le pozzanghere melmose, osservano gli escrementi che galleggiano nell’acqua sporca.
Un uomo fuma una sigaretta appoggiato a una Dacia arrugginita e senza ruote. L’uomo ha gli occhi malati di glaucoma, il volto rugoso e solcato da crepe. Quando mi avvicino si limita a un sorriso pieno di denti anneriti.
-Preferisci parlare romeno o italiano?- mi domanda, in italiano.
-In romeno.
Sorride mostrando denti marci.
-Mi chiamo Alexandru. Tu devi essere Boris.
-Sì - rispondo. Osservo il logo della sua maglietta, un piccolo puma nel girocollo. 
Si incammina verso l’entrata di un bloc e raggiunge un ometto con il naso ridicolo e i capelli crespi seduto su un gradino. Di fianco a lui, un secchio pieno di bottiglie di birra.
-Lui è Dinu- mi dice Alexandru, sedendosi di fianco al suo socio.
Non mi piacciono. Ma sono i miei nuovi datori di lavoro. Sono uguali a tanti altri. Fanno schifo, ma pagano. Pagano sempre.
Mi siedo nel gradino sotto di loro. Accendo una sigaretta.
-È vero quello che dicono?- mi domanda Alexandru.
-Dipende da cosa dicono.
Scoppia in una rumorosa risata e si volta verso il suo socio:
-Tu non lo sai, cazzo, che casino che ha fatto a Brașov!
-Non mi interessa- dice l’altro, continuando a guardarmi serio.
-È incredibile... se è vero quello che dicono, a Brașov la conferenza ti è davvero sfuggita di mano. Dove sei stato per smaltirla?
-Non mi va di parlare di quello che è successo alla conferenza di Brașov. E non ci tengo particolarmente a dirvi dove sono stato dopo... cambia qualcosa? Avanti, non perdiamo tempo, non mi piace stare qui. Cosa dovete dirmi?
-In questo quartiere una volta non si poteva parlare tanto liberamente. La Securitate di Ceaşca metteva i fili direttamente nei muri per ascoltare tutto. Probabilmente se spacchi il muro ne trovi ancora qualcuno.
-Risparmiami le patetiche storie del vostro triste passato oscuro. Ne ho pieni i coglioni di Ceaşca e della Securitate e di quanto eravate poveri e sfruttati. Piuttosto, posso avere da bere?
Dinu, senza togliermi gli occhi di dosso, si allunga verso il secchio. Prende una birra e me la passa.
-Ti piaccio?
Non reagisce.
Apro la bottiglia con l’accendino e mi graffio fra il pollice e l’indice.
-Allora, siete voi che organizzate la conferenza?
-Sì - risponde Alexandru.
-Dall’aspetto di questo posto non si direbbe siate messi molto bene a soldi.
-Non preoccuparti, la conferenza verrà pagata. Metà adesso e metà dopo il tuo intervento.
-Va bene. Dimmi di che si tratta.
-Tu sai che in questo Paese c’è gente che pensa che esista un destino divino per il popolo romeno, che i romeni abbiano una qualità supplementare che gli assicurerà un destino eletto.
-Semplice delirio verbale da televisione... quello che mi hai appena detto viene trasmesso regolarmente su tutti i canali. È accettato. Di chi è la conferenza a cui devo partecipare? Un giornalista? Qualche conduttore tv? E comunque dovresti ringraziare il tuo Nick, è lui che negli anni ’80 ha promosso la campagna di propaganda sciovinista e antisemita. Gli agenti della Securitate hanno sempre trovato il capro espiatorio “nell’altro”: tra gli ungheresi, gli ebrei oppure i rom.
-Non è il mio Nick... comunque, questi adorano quel fascista di Ion Antonescu, che ai tempi della Seconda Guerra Mondiale ordinò il massacro di circa trecentomila persone tra ebrei, rom, ucraini, polacchi. Hai visto che anche io so la mia parte di Storia?
-Antonescu è più popolare che mai da un bel pezzo. Non mi dici niente di nuovo. Insomma, la conferenza?
-Il Movimento per la Grande Romania.
-Il Movimento per la Grande Romania?
-È nuovo. Si presenta alle prossime elezioni. È molto forte all’università e nei sobborghi di Bucureşti. Il partito è sostenuto da ex ufficiali della Securitate. I loro obiettivi prevedono l’esecuzione degli avversari politici nel quadro di cerimonie pubbliche svolte negli stadi di calcio, la fondazione di campi di concentramento e ghetti per la minoranza rom, la purificazione etnica attraverso l’eliminazione degli ungheresi dalla Transilvania, le persecuzioni antisemite, l’eliminazione degli intellettuali di origine ebrea dalla cultura romena, l’introduzione di un regime di dittatura militare, la riabilitazione di Antonescu. Il Movimento per la Grande Romania è dichiaratamente razzista e professa la resistenza attiva contro ogni forma di modernità considerata sintomo del decadimento della Nazione romena. I personaggi chiave in questo raggruppamento sono il professor Ilie Suru, ex ideologo alla scuola per gli ufficiali della Securitate di Băneasa, convertito al fondamentalismo cristiano-ortodosso dopo il 1989, e Mihai Serban, un avvocato, ex leader carismatico durante la Rivoluzione. Recentemente i due sono stati invitati all’Internazionale neo-nazista di Münster.
-Mi interessano entrambi?
-No.
-Quale?
-Mihai Serban.
-Va bene.
-Dopodomani va dal Professore. Lui ti darà le istruzioni dettagliate. Va fatto tutto prima delle elezioni.
-Sono a ottobre.
-Tre mesi di tempo, ma si presume che tu il lavoro lo faccia abbastanza in fretta.
-Va bene.
-Altre domande?
-No.
-Ti trovi bene nell’appartamento che ti abbiamo dato?
-Sì.
-Perfetto- mi allunga un rotolo di lei legati con un elastico. Mi alzo, me ne vado. Il suo socio non mi ha mai tolto gli occhi di dosso.
La Legione dell’Arcangelo Michele. L’Arcangelo guerriero, difensore della Fede.
La Guardia di Ferro, braccio operativo della Legione.
Ion Antonescu e il suo governo iper-nazionalista e filo-nazista.
Corneliu Zelea Codreanu fondatore della misticheggiante Conoscenza del Legionario. La Chiesa Ortodossa Romena che professa la tutela dell’integrità della Nazione romena da qualsiasi contatto con altre razze.
La storia di questo Paese mette i brividi.
Finisco la birra e apro il giornale. Intorno a me i mille brusii delle anime che popolano il bar interno della Gara de Nord. Un buon posto per leggere il quotidiano.
Sul giornale, a pagina otto, c’è un’intervista a Ilie Suru, che ai tempi del Compagno Ceaşca addestrava i torturatori della Securitate e che oggi si presenta alle elezioni dopo essere andato a fare un pic-nic nazista in Germania.
“Siamo chiamati a una missione di novella evangelizzazione della Nazione romena sottoposta agli attacchi di una sempre più accentuata modernizzazione”. Questo lo slogan con cui Suru si presenta ai suoi elettori.
Mi piacerebbe avere a che fare con lui, ha una faccia antipatica e grassa, ma il mio uomo è Mihai Serban, l’oratore della rivolta. L’avvocato. Riguardo la fotografia del suo collega razzista. Do una rilettura veloce all’articolo del giornale.
C’è tempo. Ordino una birra.


Terzo giorno

Anche in questo appartamento sono senza vie d’uscita. È l’eterna camera in cui sopravvivere. Non ho domicilio fisso da anni, solo prigioni ideali che mi ricostruisco in questa e in altre città, ogni sera, ogni alba.
La mia anima svuotata come una matrioška dentro una matrioška più grande.
Uno specchio, una porta, la finestra. Porta e finestra si aprono sul nulla di questa città.
Lo specchio si apre su di me.
Accerchiato, isolato. All’ultima tappa di una fuga lontano da me stesso che, come una molla a cui sono agganciato, mi riporta sempre a me stesso.
Metto il pasticcio di carne nel forno. Una sbobba confezionata che ho trovato al market sotto casa. Mi siedo sulla sedia e attendo contando i puntini sulle piastrelle. Centotrenta per piastrella. Dalmata da muro.
Il tempo passa implacabile. Odore di strino nell’aria. Guardo nel forno. Il pasticcio è scoppiato come una bomba, lasciando nel forno lunghe stalattiti di pastella e carne. Prendo quel che resta, lo mastico di cattivo umore, getto la teglia sul parquet, accendo una sigaretta e mi metto a fumarla guardando i bloc fuori dalla finestra.
La parte buona di me l’ho cancellata per distruggere un uomo che portava un mazzo di rose. Pensavo mi sarei elevato a una condizione di Super Uomo, invece, dopo che lo lasciai privo di sensi davanti al mio portone di casa, capii che qualcosa in me si era rotto.
E diventai cattivo.
Ammazzarlo di botte mi aveva dato gusto, più lo colpivo più mi eccitavo.
Lei mi lasciò, per colpa di quel mio insano attacco di gelosia e per via delle mie dubbie conferenze. Mi dedicai al mio lavoro e ai miei vizi.
E continuai ad andare alla deriva.
Bevo un sorso di vodka. Ballo. Intorno ho solo demoni. Figure malvagie. Vampiri. Pezzi di carne. Brașov, incubo noioso che mi perseguita senza sosta.
Mi scoppia la testa. Mi siedo in poltrona, mi massaggio le tempie. Andare dal Professore. Tutto passa da lui. Da sempre.
Le sentenze di morte sono chilometriche. Tutto questo è radioattivo.


Quarto giorno

Bulevardul Armata Poporului. Bucureşti ovest. Condomini e cimici. Condomini che nascondono cimici dell’epoca di Ceaşca. Pochi eletti ascoltavano tutti. I condomini comunisti subivano il dubbio che il loro stesso respiro fosse sovversivo.
Cammino in questa distesa di alti scogli di cemento. Scogli architettonici che mi nascondono il mare vegetale di Bucureşti. Un mare verde che si apre improvviso quando imbocco Drumul Timonierului, “Il sentiero del timoniere”, costeggiato da alberi maestosi, giardinetti. Gli uomini parlano davanti alle entrate dei palazzi, le donne, con la borsa della spesa e i fazzoletti sulla testa, si dirigono verso il mercato. Oltrepasso una casupola in legno usata come rivendita di alcolici e sigarette. Gli uccellini cinguettano sugli alberi. Un’improbabile Trabant è parcheggiata davanti all’ultimo bloc della strada, la macchina è usata come abitazione da barboni e cani randagi. Passo sotto un portico di vite ed entro. Calcinacci, muri incrostati. Il ventre diroccato di dieci piani di fatiscenza.
-Il Professore è al chiosco- mi dice una donna seminascosta vicino a una vetrata. Deve essere sua madre. Ha gli stessi occhi rassegnati e diffidenti. Avrà ottant’anni. Non l’avevo mai vista in tutto questo tempo.
Ritorno sui miei passi. Taglio il mercato coperto che occupa l’intera superficie di Piaţa Veteranilor. Meloni, angurie, pomodori, uva, albicocche, melanzane. L’odore di frutta e verdura mi dà la nausea.
In un chiosco stipato che dà sul bulevard gruppi di uomini si ingozzano di mici sugosi, divorano i salsicciotti uno dietro l’altro. Bevono birra. Entro. Il Professore è seduto a un tavolo vicino alla porta, solo. Sta fumando e guarda fuori dalla vetrata. Sembrerebbe molto interessato al traffico.
I suoi occhi hanno l’espressione della bestia o del ritardato mentale.
Attendere. Aspettare.
-Tua madre mi ha detto che eri qui.
-Boris, figliolo, mia madre è morta dodici anni fa.
-Una vecchia che ti somiglia mi ha detto che eri al chiosco, non è tua madre, quindi?
-Forse la signora Eliana o la signora Mihnea... non so, tutti al mio bloc sanno che se non sono in casa sono qui. Comunque non ha importanza- il Professore distoglie lo sguardo dal traffico e mi osserva annoiato.
-Ti trovo bene- dice, spegnendo la sigaretta e accendendosene immediatamente un’altra.
Mi siedo. Il barista, senza dire una parola, mi porta un bicchiere. Mi verso una generosa dose dalla bottiglia di vodka del Professore.
Marin Rebre, ex docente di Storia all’Università di Bucureşti. Radiato dall’insegnamento per presunte molestie sessuali a danno di diverse studentesse dei suoi corsi. È per lui che ho iniziato a partecipare alle conferenze. È stato il mio primo datore di lavoro quando mi sono trasferito in Romania. Dieci, dodici anni fa. Marin Rebre, il Professore. Tutti gli interventi che ho fatto nelle diverse conferenze a cui ho partecipato sono stati progettati, preparati da lui.
Ci stiamo reciprocamente sui coglioni, ormai, ma abbiamo bisogno l’uno dell’altro o così mi piace pensare. Getta un’occhiata disgustata alla mia maglietta sporca di pasticcio e di vomito. Armeggia nel taschino della camicia, tira fuori un foglietto spiegazzato e lo butta sul tavolo, sollevando la polvere.
-Mihai Serban- dice semplicemente.
Apro il foglietto. Indirizzi, orari, una fotografia. Le solite cose.
-Non c’è molto da sapere- dice il Professore con la sua voce cavernosa. -Serban si è laureato in legge negli anni ’80 e fino alla rivoluzione ha lavorato per la Securitate come consulente giuridico. Dopo la caduta di Ceaşca si è avvicinato sempre più a correnti di destra. Come avvocato difende la peggiore feccia...
Ultrasuoni dal cielo. Aerei. Odore di zolfo o forse di carburante. Un autobus si ferma in mezzo all’incrocio. L’autista scende, si infila un paio di guanti lerci che devono essere serviti milioni di volte per riparare guasti analoghi, va dalla parte posteriore dell’autobus e si mette a lavorare dietro il motore. Sull’autobus nessuno sembra preoccupato o innervosito. C’è chi continua a parlare, chi a leggere il giornale, chi a guardare fuori dal finestrino o il vuoto tra i propri piedi.
L’autista, con la massima calma, finisce di sistemare il danno al motore, si leva i guanti e, camminando placidamente, torna sull’autobus.
-Mi stai ascoltando?- mi chiede il Professore.
-No, guardo l’autobus.
Bevo d’un fiato la vodka. Nella fretta ne verso la metà sul tavolino.
-Non riesco a togliermi il sapore di sangue dalla bocca.
-Bevine un’altra. Sei diventato un vampiro a stare in Transilvania?
-La Transilvania è una noia mortale.
-Sai come funziona. Se ti diciamo “vai in Bucovina” tu vai in Bucovina, se ti diciamo “vai a Sofia” tu vai a Sofia, se ti diciamo “vai a Brașov”, nella tranquilla e niente affatto noiosa Transilvania, tu ci vai.
-Mai che mi diciate vai a Rio de Janeiro o alle Maldive.
-Boris, figliolo, tu non sei il tipo da posto esotico. Concentrati su Mihai Serban. C’è qualcosa che non ti è chiaro di quelle istruzioni?
Decido di non rispondergli.
Attendere. Aspettare.
-Come ti sono sembrati Alexandru e Dinu?
-Né migliori, né peggiori di tanti altri... un po’ sporchi.
-Ti danno la possibilità di fare un’ottima conferenza.
-Forse dovrei rallentare. Negli ultimi sei mesi ne ho fatte quattro.
-Dopo Brașov hai avuto un mese sabbatico.
-Sì, certo... a Făgăraș, fra le industrie chimiche e il cemento.
-Boris, figliolo, tu vedi solamente gli aspetti negativi delle cose.
-Chi è questa volta che mi darà l’apparecchiatura per la conferenza? Direttamente tu?
-Radu lo Slavo. Lo chiamano così perché ha combattuto volontario nella ex Jugoslavia con una milizia paramilitare. Lo incontrerai fra quattro giorni alle cinque del pomeriggio al chiosco dei mici in Strada Lipscani.
-Va bene.
-Boris?- mi guarda con quella sua faccia sciatta e annoiata. Sembra che il mio aspetto lo infastidisca.
-Dimmi.
-Alexandru e Dinu pagano bene, lo hai visto. La conferenza organizzala in fretta.
-È così importante questo Serban?
-Per qualcuno sì.- ritorna a contemplare la vetrata sporca.
Mi alzo. Me ne vado senza salutarlo.


Quinto giorno

Metropolitana monumentale da regime socialista schizofrenico.
Una ragazza fa meditazione, dritta, gli occhi chiusi, la bocca sorridente, una fascia verde in testa, bracciali ramati ai polsi, un vestitino verde, una borsa di iuta, smalto rosso a mani e piedi, zeppe verdi. La postura e i lineamenti del corpo le danno un portamento nobile, delicato e distinto. Lo smalto rosso fuoco, un po’ di perversione standard. Ha la pelle chiara, chiarissima, la bocca rosea e carnosa, i capelli lunghi, riccioli e castani. Il corpo leggero e magro, braccia sottili, caviglie sottili, mani lunghe e grandi, da operaio, che stonano in modo grottesco con lo smalto che si è data. Cosce tornite, il vestitino verde a fatica le copre le natiche. Tiene gli occhi chiusi e sorride, continuando a meditare e sussurrare qualcosa di impercettibile, sovrastata dallo sferragliare del treno.
Quando si alza ed esce, la seguo.
Stazione di Timpuri Noi.
La ragazza si districa da un dedalo di braccia e gambe. C’è puzza di kebab rancido, di ciambella bruciata.
La ragazza sale per le scale mobili. Ha una cavigliera sottile d’argento alla caviglia destra, quando riprende a camminare guardo la catenella ciondolare.
Non c’è molta gente per strada. Non se ne accorgerebbe nessuno. Mi sistemo meglio il sesso nelle mutande. Accelero il passo. La catenella ciondola sulla caviglia sottile. Se entra in un bloc ho buone probabilità di riuscirci. Il sesso impigliato nelle mutande mi pulsa. La ragazza procede, un passo dopo l’altro, con il vestitino verde pisello che a fatica copre le natiche.
Svolta per l’entrata di un bloc. Non c’è anima viva. È quasi fatta. Basta che raggiunga l’androne. La catenella ciondola. Il suono mi massaggia con rabbia i timpani. Dalla porta del bloc esce un tipo, un giovane muscoloso rasato figlio di puttana dall’aria cattiva. La ragazza lo raggiunge. Il tipo mi guarda storto mentre mi avvicino.
-Viva il Movimento per la Grande Romania- borbotto, passando.
-Vaffanculo, fascista di merda- mi dice il rasato.
Proseguo, senza voltarmi. Sul bulevard mi riparo all’ombra degli alti profili dei bloc. Osservo i piedi delle donne per vedere se portano catenelle d’argento.
Trovo un bar. Un luogo senza nome. Mi chiudo nel bagno e mi masturbo. Poi mi bevo due vodke, esco in strada e riprendo a camminare.
Posso bighellonare. Il Professore ha detto che devo vedere Radu lo Slavo fra tre giorni. Alle cinque. In Strada Lipscani. Al chiosco dei mici. Incredibilmente la mia mente sterile registra tutto.
Se non vedo Radu mi manca l’apparecchiatura per la conferenza.
Attendere, aspettare. Bighellonare.
Cammino fino all’incrocio con Strada Covaci. Osservo distrattamente le misere bancarelle di anticaglia socialista. Compro una spilla raffigurante un austero Nick Ceaşca e una bandiera nazionale pre-rivoluzione. La appallottolo e me la infilo nella tasca dei pantaloni. Mi appunto la spilla sulla camicia e risalgo verso l’università. Taglio per Pasajul Macca, i tavolini esterni di bar e bistrò sono pieni zeppi di ragazzi e ragazze. Sbuco in Calea Victoriei ed entro all’Hotel Capsa, la vecchia gloria della ricezione mitteleuropea, che in passato ha ospitato zar, imperatori, filosofi, intellettuali, funzionari della Securitate, dittatori. Con il suo lifting di lusso da Europa Centrale, lo stile vagamente vittoriano, la puzza di milioni di sigari. Metri e metri di pannelli in legno, moquette molto spessa, lampadari di cristallo, divanetti amaranto, una vetrata che dà sulla strada e sul centro militare, clima gelido da aria condizionata impazzita, personale che indossa tristi giacche color porpora.
Mi bevo tre birre e diverse vodke immerso negli echi del passato e scrivo su un taccuino, riguardo gli appunti, la foto.
È sera o notte e barcollando trovo un locale sulla strada di casa.
Il bancone è occupato da quattro ragazzini stronzi e muscolosi con la testa rasata. Il barista, un palestrato vestito di nero, gli sta servendo una bottiglia di vodka con i bicchieri.
Stanno guardando un video di Mirela, una delle star del pop romeno. Mirela è sdraiata su un letto, indossa una camicetta gialla aderente e guarda languida nello schermo.
-Gran puttana!- grida uno dei tizi rasati.
Gran puttana, penso fra me e ordino una vodka liscia.
-Eravamo circa un centinaio, avevamo i crocifissi e cartelli con scritto “L’omosessualità è peccato”, siamo stati anche educati, cazzo, e quei froci ci rispondevano col suono dei fischietti e cantando con quelle loro sciocche vocine da checche “Basta con l’omofobia!”. Quando abbiamo iniziato a gettare le uova, i sassi e le bottiglie, la polizia è intervenuta per proteggere la sfilata di quegli stronzi. Hanno lanciato i gas lacrimogeni e hanno arrestato dieci camerati... ti rendi conto? La polizia è dalla parte di quei froci!
-Faranno diventare il nostro Paese come Sodoma e Gomorra.
-Florin Câmpineanul, il leader di Accept, il gruppo di quei froci. È lui che dobbiamo colpire. Lo aspettiamo sotto casa e lo ammazziamo di botte.
-Io gli ficcherei anche un bastone su per il culo.
-Lo impaliamo, quel sodomita.
-Florin Câmpineanul, sei morto.
-State zitti, finocchi ebrei- dico. Ho voglia di picchiarmi.
I quattro stronzi si voltano.
-E tu, che cazzo vuoi?
-Ragazzino, io ti sventro con una sola mano- mi alzo e mi dirigo verso l’uscita.
-Ehi, tu!- ringhia una voce alle mie spalle. Le strade sono buie e umide. Mi volto. I quattro stronzi sono davanti all’entrata del locale.
Tiro fuori dalla tasca dei pantaloni la mia bandiera appallottolata. Mostro ai quattro stronzi la bandiera romena con il sole, il grano, la stella, la centrale elettrica, gli abeti e le montagne.
-Vi ricordate di Nick Ceaşca? Fateci trarre trattori dai cannoni. Dalle luci, dalle sorgenti atomiche e dai missili nucleari, aratri per lavorare i campi!- gli sventolo sotto il naso la bandiera.
-Comunista di merda!
-Frocio ungherese del cazzo!- grido, colpendo uno dei quattro stronzi allo stomaco con un calcio.
Gli altri tre iniziano a tempestarmi di pugni. Credo sia una bastonata alle ginocchia quella che mi fa cadere a terra. Qualcuno mi salta addosso. Ringhiano, colpiscono, sputano. Mi rialzano in piedi e mi appoggiano a un muro. A turno mi danno ginocchiate all’inguine.
Non vedo più niente. Cado. Li sento correre via. Poi, il silenzio.




Marco Belli & Lorenzo Mazzoni
Porno bloc. Rotocalco morboso dalla Romania post post-comunista
Postfazione di Mihai Mircea Butcovan
Linea BN Edizioni 2009

(n. 1, dicembre 2011, anno I)