La lambretta e l'immagine di sé degli italiani negli anni del «miracolo economico» (1958-1963)

I filmati aziendali o le pubblicità ci fanno scoprire molti elementi di un’epoca. Come le altre fonti storiche vanno lette, interpretate, comparate le une alle altre. In fondo si propongono di rappresentare al meglio i desideri di un pubblico. I filmati con cui la Innocenti promuoveva la sua lambretta sembrano girati ieri mentre i cinegiornali realizzati negli stessi mesi sembrano proprio quelli del ventennio fascista: questo fa sorgere qualche domanda su cosa fosse l'Italia del boom economico, oltre ogni rappresentazione da cartolina. Uno dei maggiori storici italiani contemporanei, Guido Crainz, autore di Storia del miracolo italiano, un libro fondamentale per la comprensione delle contraddizioni dell'Italia del periodo che va dal 1958 alla fine degli anni sessanta,  non a caso ricorre spesso a citazioni dai film che comunemente si chiamano Commedia all'italiana: spesso proprio chi racconta con le immagini quella realtà mostra di cogliere in modo più proficuo le sfumature e i personaggi che caratterizzano l'Italia di allora.

I risvolti del miracolo economico

Che cosa si intende per miracolo economico, e quali sono le sue caratteristiche? Tra il 1958 e il 1963 l'Italia ha conosciuto un periodo ininterrotto di crescita che viene ricordato appunto come Boom Economico, Miracolo Italiano. È un'espressione che si è incisa a tal punto nell'immaginario degli italiani, da poter diventare uno slogan politico ancora nel 1994; «un nuovo miracolo italiano»: Ricordate? Che cosa intendeva ricordare Silvio Berlusconi con quella espressione, agli italiani di trent'anni dopo?
I dati econometrici sono inequivocabili, la crescita del Prodotto interno Lordo si è attestata attorno al 5% annuo. Una performance di questo livello è semplicemente impensabile oggi, ma di certo non stupisce in un Paese alle prese con quella che di fatto è stata la sua prima industrializzazione, caratterizzata da una crescita sostanziosa della domanda interna, con significativi cambiamenti demografici e il transito di grandi masse popolari dall'economia agricola di sussistenza alla produzione industriale.
La stabilità monetaria, sancita pochi anni prima dal «Financial times» che ha attribuito alla lira il titolo di valuta più stabile del mondo, ha consentito anche di tenere sotto controllo l'inflazione e impedire che parte dell'avanzamento produttivo fosse eroso da un indiscriminato innalzamento dei prezzi.
Con il conforto di autorevoli storici ed economisti possiamo affermare che il cosiddetto «miracolo economico» è stato preparato da lunghi anni di compressione salariale, da una lenta ma costante crescita produttiva e da una assennata politica valutaria. La stessa entità della crescita non giustifica però la mitologia che si è andata creando negli anni successivi alla cosiddetta «congiuntura» del 1964, che per gli storici dell'economia pone fine al periodo felice.
In effetti, i grandi cambiamenti che accompagnano il miracolo economico sono connessi alla crescita dei redditi, ma il passaggio a nuovi consumi si accompagna in modo ancor più marcato al cambiamento culturale e degli stili di vita. Sono anni, quelli del boom, in cui gli Italiani prendono a rappresentarsi in modo nuovo, la popolazione accede a nuovi beni di consumo, ma soprattutto abbandona in modo repentino non solo la realtà materiale legata alla terra, ma anche il plurisecolare orizzonte di valori che era ad essa connesso.
Un giudizio su questo passaggio epocale è stato espresso in modo pesantemente polemico da Pierpaolo Pasolini, che parlava non a caso di mutazione antropologica degli italiani, ma anche chi si accostasse agli anni del miracolo economico con un approccio meno determinato dalle visioni politiche, morali ed estetiche dell'autore degli Scritti Corsari, non potrebbe non cogliervi contraddizioni e tensioni che sono alla base dell'Italia che viviamo oggi. Significativa in tal senso è la Nota aggiuntiva di Ugo la Malfa alla Relazione generale sulla situazione economica del Paese. La Malfa è ministro del bilancio nel governo di centro-sinistra del 1962-1963, presieduto da Amintore Fanfani.
La Malfa sottolinea il contrasto tra «l'impetuoso sviluppo» e il permanere – se non l'aggravarsi – di «situazioni settoriali, regionali e sociali di arretratezza e ritardo economico». Continuiamo con le sue parole: «molte situazioni di sottosviluppo, anche se sono state alquanto alleviate in termini assoluti, sono però diventate, per la nostra società, meno sopportabili». Dal documento, decisamente illuminante, mettiamo a fuoco – e sono di nuovo parole del ministro del Bilancio – «i limiti di un processo di sviluppo rapido, ma spontaneo, legato alle scelte che il mercato autonomamente effettua».
La stessa cultura popolare non manca di esprimere la polarizzazione che si andava strutturando nel nostro Paese. La documentazione audiovisiva ne è permeata in modo radicale: dalle contrapposizioni che riguardavano la politica, immortalate dalle grandi manifestazioni di piazza e da un’iconografia assai significativa, si passa quasi senza perdita di intensità a quelli nel mondo dello sport – tutti ricordano ancora la leggendaria rivalità tra Coppi e Bartali, e a quelle relative ai prodotti di consumo, campo in cui prodotti di eccellenza come vespa e lambretta incarnano modi diversi di vivere la stessa realtà materiale, ma anche le opposte polarità valoriali che caratterizzano l'Italia di quegli anni.
In effetti, all'inurbamento di enormi masse che fino a pochi anni prima erano di contadini fa riscontro il permanere di notevoli aree di arretratezza, la modernizzazione degli stili di vita dei giovani ha come contraltare la sopravvivenza di un’Italia conservatrice e retrograda, alle aperture che riguardano persino la Chiesa Cattolica, con il Concilio Vaticano Secondo, si contrappone una religiosità popolare spesso arcaica e carica di superstizione. Persino il conformismo e il provincialismo della classe dirigente democristiana viene scosso dalle fondamenta da esigenze di rinnovamento che portano alla nascita del primo centrosinistra, reso possibile dall'allentamento dei rigori della Guerra Fredda nell'epoca di Kruscev. C'è un'Italia che diventa rapidamente e felicemente consumista e c'è un’Italia di grandi masse operaie, la cui crescente conflittualità non viene certo spenta dai modesti aumenti salariali.
Nell'immaginario attuale, tuttavia, quel periodo rimane fissato in un’apparente univocità: la memoria collettiva assume i contorni di una mitologia di fondazione, in cui il progresso economico, l'accesso ad un numero crescente di prodotti di consumo, la motorizzazione di massa, gli incrementi produttivi e salariali, una generale spinta alla modernizzazione degli stili di vita riguardano il Paese e i suoi abitanti nel suo complesso. Come abbiamo sommariamente visto, questa rappresentazione è solo successiva e relega le contraddizioni e i conflitti che la gente ha effettivamente vissuto in quegli anni, a espressioni meramente folkloriche dell'italianità.   
Nella mia personale esperienza come documentarista storico, sono partito proprio dalla rappresentazione convenzionale del Miracolo Economico come fenomeno univoco, per ricostruire tramite le fonti audiovisive, lo stato delle contrapposizioni. Ho lavorato su un materiale estremamente diversificato, dai cinegiornali prodotti dall'Istituto Luce ai filmati aziendali e pubblicitari dell'Innocenti. Il quadro così costruito ci restituisce il periodo del boom in chiaroscuro, pieno di luci, ma anche di ombre, ben lontano in ogni caso dai colori pastello che l'iconografia costruita successivamente ci ha abituato a vedere.

Vespa o lambretta?

Dunque, vespa o lambretta? Oggi che la Piaggio è ancora un’azienda fiorente e di lambrette se ne vedono in giro molto poche, la domanda sembra pretestuosa. E, invece, è uno dei dualismi che tanto hanno appassionato gli Italiani a cavallo tra anni cinquanta e sessanta. Per definire in modo certamente troppo schematico – ma sicuramente chiaro e significativo – le fratture nell'immaginario collettivo, possiamo associare alla vespa l'immagine di un'Italia spensierata e finalmente benestante, che ha definitivamente abbandonato tutto ciò che la legava al passato povero e cupo dei primi anni del dopoguerra. L'Italia fatta essenzialmente di un numericamente crescente settore terziario, fatto di impiegati e commercianti, che attraverso i nuovi consumi acquisiscono una nuova identità e una nuova consapevolezza di sé. Il loro modello di emancipazione, è basato sull'avanzamento individuale. La lambretta, invece, prodotto che fin dal nome denuncia una propria ascendenza milanese e industriale, incarna l'Italia che ha costruito il miracolo economico, ma che ne ha beneficiato solo in parte, quella delle grandi masse operaie del Nord, legate a modelli di promozione più collettivi e di classe. Ma c'è di più. È come se il prodotto «Lambretta» abbia avuto una sua peculiare «sensibilità sociale»: l'andamento produttivo della Innocenti riflette, infatti, tra il 1948 e il 1971, le variazioni economiche, ma anche psicologiche del nostro Paese.
I modelli A B C, realizzati a partire dal 1948 fino al 1954, incarnano in modo geniale le esigenze di un Paese povero, che ha bisogno di un mezzo pratico, robusto e poco costoso. Ma questa non è la lambretta del boom economico. La lambretta «Li» che nelle sue tre versioni cristallizza l'immagine classica del prodotto, racconta il miracolo economico, interpreta le esigenze di un ceto nuovo non soltanto italiano, di rappresentarsi e rispecchiarsi in un oggetto elegante, popolare, e slegato da ogni precedente stile di vita. È proprio questo modello, nella sua terza versione, che diventa popolare in tutto il mondo, specialmente nei paesi di cultura anglosassone, come espressione del design italiano.
Vediamo meglio i valori che la Lambretta interpreta, come quasi sempre accade, con uno sguardo più da lontano: la lambretta assai più della vespa, è legata all'esplosione della cultura mod nel regno Unito. Mod non è altro che una contrazione per dire modern: i mod della prima generazione sono giovani, che in questa epoca si identificano per la prima volta come uno stato sociale, e rifiutano in blocco la tradizione. Spesso sono figli di operai, che hanno avuto accesso per la prima volta a studi superiori e ad un relativo benessere. Si sono emancipati dalle ristrettezze economiche dei loro genitori, si sono liberati anche della orgogliosa e dura cultura operaia, ma il loro stato sociale non ha precedenti: rifiutano i canoni estetici dell'alta borghesia e della aristocrazia, creano una nuova moda, un nuovo mondo in cui hanno un posto prima impensabile i dischi, la musica popolare, la televisione.   
In Italia questi aspetti sono ugualmente presenti in modo significativo, solo non vengono cristallizzati in una iconografia specifica, e così, a distanza di anni li vediamo solo interpretando gli eventi e le mode. 

Le ragioni di un declino

Nel 1964 la stretta monetaria imposta dall'allora governatore della Banca d'Italia Guido Carli sancisce quella che i giornali dell'epoca chiamarono ʻcongiunturaʼ. La Innocenti produce modelli poco costosi come i modelli 50 e 100 della serie… Al di là delle considerazioni di carattere tecnico e di marketing, la Innocenti in questo caso sembra non aver capito il mutato orizzonte sociale, di cui però ci fornisce alcuni elementi per contrasto: queste lambrette sono sin dal primo impatto visivo decisamente più povere, e questo contrasta fortemente con la rappresentazione di sé dei giovani di questa epoca. In effetti, in questo periodo la «Li», più raffinata e costosa, continua ad essere un modello di successo, dimostrando che quell'estetica elaborata proprio per dare forma ai desideri e alle aspirazione dei giovani è ancora vincente. Ma non lo resterà a lungo.  
In effetti, proprio dalla metà degli anni sessanta comincia il declino della Innocenti: dopo decenni di felici intuizioni, chi progetta gli scooter non riesce ad incontrare più i gusti del pubblico. Si sta passando ad un'altra Italia.
La stessa idea di scooter come mezzo per i giovani, fin qui vincente, richiederebbe un salto di comprensione ulteriore da parte di chi progetta la lambretta: i giovani stanno cambiando e mettono in discussione quell'idea stessa ottimista e ingenua di Italia che lo scooter aveva fin lì rappresentato. Per cui, quando si inseguono i giovani, è il caso di alcune campagne pubblicitarie della Innocenti tra il 1968 e il 1970, lo si fa con uno stile che pare già forzato e vecchio nel momento in cui viene proposto.
Sul finire degli anni sessanta il contrasto tra le due Italie del boom diventa conflitto. Ci sono coloro che hanno utilizzato la crescita, i suoi utili e i mutamenti di immaginario, per rafforzare i propri privilegi e per consolidare una classe dirigente che fa mancare al Paese la sua capacità di indirizzo. E ci sono operai e giovani che hanno – grazie allo stesso miracolo economico – una maggiore consapevolezza dei propri diritti e della necessità di alcuni cambiamenti. Il conflitto sfocia nell'autunno caldo del 1969, ma è preparato da una crescita costante della mobilitazione negli anni precedenti.
Come a dire che non si può – su un medio periodo – costruire la crescita di un Paese, senza tenere conto delle esigenze e della richiesta di diritti che la crescita stessa innesca. La modernizzazione non può significare solo nuovi consumi, ma anche inevitabilmente, una nuova mentalità, una nuova consapevolezza, nuovi diritti.
Nel deflagrare del conflitto, un prodotto che si è costruito fin nel proprio design, fin nell'immaginario che ha proposto, come sintesi di un'Italia operosa e coesa, perde non solo il proprio appeal, ma la propria stessa ragione di essere. In questo senso la Lambretta è il mezzo del Miracolo Italiano ancora più della Vespa. E alla fine del Miracolo non sopravvive.
La Innocenti, fra l'altro, sia detto incidentalmente, è una fabbrica a forte conflittualità, in cui lavora proprio quell'élite operaia del nord che si è formata da poco e che nel momento stesso in cui inizia ad intravedere spazi di rivendicazione, si rende anche conto che l'ascesa del settore industriale si sta arrestando. Ben presto inizierà a declinare, determinando quella deindustrializzazione di cui hanno scritto illustri economisti come Fuà e Berta, o il sociologo del lavoro Luciano Gallino, con La fine dell'Italia industriale, a cui per chiarezza divulgativa mi corre obbligo di rimandare.
Nel giugno 1971 la Innocenti vende le linee di montaggio ad una azienda indiana: la lambretta diventa il veicolo della prima motorizzazione del grande paese asiatico.
L'operazione di agganciare i giovani riuscirà alla vespa, con la celebre campagna «Chi vespa mangia le mele», che certifica un immaginario collettivo – a cominciare dagli espliciti riferimenti sessuali – emerso prepotentemente dalla contestazione e inimmaginabile per i moderati creativi delle campagne «lambretta» degli stessi anni. Resta l'idea che un design essenziale e un prezzo contenuto può creare un buon prodotto, ma non un mito. Il mito si crea interpretando i sogni di un'epoca.


Enrico Settimi
(n. 1, gennaio 2014, anno IV)