Matei Vișniec, una ricezione pluriculturale dell’opera

A Matei Vișniec e alla letteratura romena della Generazione ’80 è dedicata la tesi di dottorato di Emilia David, di cui è già stato pubblicato in Romania il volume Consecinţele bilingvismului în teatrul lui Matei Vişniec (Tracus Arte 2015). L’autrice ci propone una presentazione del suo lavoro.

La ricerca approfondisce tre ampie tematiche che definiscono in modo complementare l’opera plurivalente di Matei Vișniec, uno degli scrittori più autorevoli della letteratura romena attuale. L’argomento principale consiste nell’inquadrare e interpretare in modo esaustivo il profilo letterario di questo scrittore bilingue – poeta, drammaturgo e romanziere –, all’interno del paradigma poetico della Generazione ’80, ambito in cui egli si è affermato dapprima come poeta, fino al 1987, cioè al momento dell’espatrio in Francia, dove ha continuato il proprio percorso letterario, essendovi apprezzato soprattutto in quanto drammaturgo, per diventare progressivamente uno degli autori di maggiore rilievo della sezione Off del Festival d’Avignone.
Pertanto, delineare il «ritratto» individuale del poeta Vișniec presuppone anzitutto un approccio esteso ad una prospettiva letteraria più vasta, che coincide con il panorama complessivo e con le scommesse della poesia della suddetta Generazione, lanciate nel cosiddetto «nono decennio» del Novecento, cui risale l’affermazione di questa «promozione» eccezionale di scrittori e che, a decorrere dalla metà della medesima decade, si è venuta a costituire in seno alla letteratura romena contemporanea come postmodernista.
L’analisi incentrata sulla produzione poetica integrale dell’autore è volta a vagliare le motivazioni e le modalità dell’intertestualità adottate dalla letteratura romena «ottantista»*, associando ai procedimenti intertestuali non soltanto le altre tipologie di ‘rapporti transtestuali’ e le «figure» della letteratura di secondo grado (metatestualità, ipertestualità, parodia, pastiche, ironia), ma altresì il concetto della performance.
Passando alle altre due tematiche di vasto respiro approfondite nella tesi, occorre precisare che l’opera drammaturgica di Matei Vișniec è stata analizzata sia sul versante traduttologico, sia su quello della diffusione in Francia, registrando, catalogando e commentando specialmente la partecipazione per più anni consecutivi delle sue pièces ad uno dei più prestigiosi festival del teatro mondiale, e, in seguito, la loro presenza su alcuni importanti palcoscenici italiani. La démarche integra riferimenti ad altri spazi culturali e ambiti che hanno manifestato un’apertura più evidente rispetto alla produzione teatrale dell’autore.
Le medesime direzioni di ricerca, quella traduttologica e quella legata alla ricezione del teatro di Matei Vișniec, costituiscono argomenti poco esaminati all’interno di studi critici pubblicati fino ad ora. Di conseguenza, il presente lavoro muove dalla constatazione che, sebbene la poesia dell’autore abbia già beneficiato di esegesi, interpretazioni e altre forme di valutazione critica – che, tuttavia, non hanno esaurito i significati di questo «segmento» dell’opera – le due tematiche restanti rimangono, in effetti, insufficientemente documentate non solo dal punto di vista teorico (per ciò che riguarda il bilinguismo della scrittura, non ancora studiato all’interno di un quadro complessivo di analisi), ma anche sotto l’aspetto dello studio comparativo con un modello integratore, definitorio della drammaturgia attuale, ed europeo in senso lato.
La rilevanza dell’esame critico riservato alla ricezione in Francia è aumentata dall’estensione dell’arco temporale in cui sono stati ospitati ad Avignone allestimenti tratti dalle pièces di Matei Vișniec, intervallo che ha superato la soglia dei venti anni di partecipazione ininterrotta (1993-2014).
La pertinenza delle considerazioni e delle conclusioni che riguardano il filone tematico esposto nella parte finale della tesi poggia sullo spoglio di materiali bibliografici rari e non sempre di facile reperimento. Si tratta anzitutto di un fondo archivistico cospicuo, che rappresenta il corpus maggiormente utilizzato nella parte finale della presente ricerca, composto di articoli, pubblicati nella stampa nazionale e locale in Francia, locandine, programmi di sala, manifesti e foto degli spettacoli, assieme ai dossier delle compagnie teatrali che hanno rappresentato i testi drammaturgici di Vișniec al Festival nella Città dei Papi, ma anche a programmi annuali del Festival, a studi, dizionari del teatro e ad altre fonti di documentazione. Questa mole di documenti bibliografici è conservata alla Biblioteca del centro di studi teatrali «Maison Jean Vilar» di Avignone, che custodisce gli archivi del Festival, essendo allo stesso tempo sede distaccata della Bibliothèque Nationale de France.
Lo stesso genere di fonti archivistiche sono state reperite a La Chartreuse – Centre National des Écritures du Spectacle di Villeneuve-lès-Avignon – e alla Médiathèque Ceccano di Avignone, mentre altre informazioni indispensabili per il ritrovamento di taluni articoli a stampa sono state messe a disposizione dal «Service Documentation» del quotidiano locale La Provence che, lungo gli anni, ha dedicato numerose segnalazioni e recensioni alle messe in scena ispirate dalla drammaturgia di M. Vișniec. Per completare il versante francese della ricezione ho fatto ricorso ai servizi di prestito internazionale offerti dalla Biblioteca di Filosofia e dalla Biblioteca Interdipartimentale «Gioele Solari» dell’Università di Torino.
Per il versante italiano della tesi, l’analisi si è avvalsa della consultazione dei fondi posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Torino e da quelli di altre sedi appartenenti al medesimo polo universitario (specialmente la Biblioteca del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere «Giorgio Melchiori»). Quanto alla seconda parte della tesi, che verte sulla poesia della Generazione ’80, ho condotto delle ricerche presso la Biblioteca Centrale Universitaria e la Biblioteca della Facoltà di Lettere di Bucarest.
Le fonti bibliografiche conservate dal drammaturgo nell’archivio personale, messe a disposizione da Matei Vișniec stesso unitamente a numerose informazioni, si sono rivelate particolarmente utili all’organizzazione cronologica e al completamento del quadro relativo alla ricezione e alla diffusione del suo teatro.
Altrettanto rilevante dal punto di vista concettuale nell’elaborazione della tesi è il bilinguismo della scrittura di Vișniec, esaminato nelle occorrenze che sono apparse più interessanti alla lettura completa dell’opera, manifeste nei volumi di teatro, versi e prosa editi fino ad ora. L’approccio interpretativo si colloca sia nella logica della traduzione allografa (realizzata da traduttori veri e propri, altri rispetto alla persona dell’autore), ma esplora nel contempo e in special modo le motivazioni e i procedimenti della traduzione auctoriale dell’opera drammaturgica di uno scrittore bilingue e biculturale, che ha optato al momento dell’espatrio per alternare alla lingua materna un secondo idioma, la lingua della patria adottiva, in cui ha iniziato a comporre sistematicamente le sue pièces a partire dal 1992.  
Dunque,nella Prima Parte si approfondisce anzitutto l’ampia dimensione traduttologica della produzione letteraria dello stesso scrittore. Le considerazioni di ordine teorico e interpretativo sono volte a delineare un quadro di studio coerente di questa dimensione fondamentale dell’opera complessiva, focalizzando prevalentemente l’attenzione sulla produzione drammaturgica, ossia sul corpus che più si presta ad una interpretazione in chiave traduttologica, e, ulteriormente, sulla poesia e la narrativa.

La produzione letteraria di Matei Vișniec

Conseguentemente, è opportuno distinguere nell’insieme della produzione letteraria di Matei Vișniec tre direzioni principali di analisi, che corrispondono a una divisione dell’opera in altrettanti corpus di testi. La prima include la totalità della letteratura scritta in lingua romena, in Romania, dal 1977 fino al 1987, costituita da tre volumi di versi, La noapte va ninge [Stanotte nevicherà] (1980), Orașul cu un singur locuitor [La città con un solo abitante] (1982) e Înțeleptul la ora de ceai [Il saggio all’ora del tè] (1984), e da diverse pièces di teatro pubblicate appena nei primi anni Novanta assieme al romanzo Cafeneaua Pas-Parol [Il Caffè Pas-Parol] (1992), redatto però nel 1982.
La seconda ha per oggetto svariati testi esclusivamente drammaturgici, scritti in un lasso di tempo più breve (1987-1992), tappa sintomatica per il momento di ricerca e rinnovamento della propria identità letteraria da parte dello scrittore, in un ambiente linguistico e culturale nuovo, che nella tesi è stato definito ‘fase del bilinguismo parziale o incipiente’, in quanto marcata dallo sforzo di acquisire gradualmente una doppia competenza, insieme linguistica e culturale, che soltanto in un momento successivo si manifesterà pienamente, in modo sistematico, nell’alternanza delle due lingue nell’opera letteraria.
Il secondo corpus, menzionato poc’anzi, indica in Matei Vişniec un autore di testi originali redatti in lingua romena, che si traduce da sé oppure si avvale del supporto di alcuni collaboratori. Sono pochi i casi in cui la trasposizione linguistica in francese è stata affidata integralmente a traduttori. La «direzione» dell’operazione traduttiva è unica (dal romeno in francese) e consiste, come già specificato in precedenza, nella traduzione di un testo letterario originale da una lingua di partenza in una lingua d’arrivo, processo in cui il ruolo decisionale sull’adozione delle diverse soluzioni compete all’autore.   
Il terzo filone dell’opera comprende pressoché sempre pièces scritte inizialmente in francese (dal 1992 fino ad oggi), che l’ottica traduttologica non può più analizzare in modo appropriato nei termini applicati alla fase descritta in precedenza, giacché l’ulteriore trasposizione di taluni drammi in romeno comporta modifiche sostanziali, non soltanto al livello del micro-testo (lessicale, di ordine simbolico-retorico oppure stilistico), ma su piani più estesi. La doppia identità dell’autore-traduttore fa sì che in contesti simmettrici Vişniec possa disporre di tutta la libertà per cui, al posto di una banale esplicitazione, egli arriva a proporre soluzioni autonome, scommettendo sulle equivalenze linguistiche che si adeguano in modo alternativo rispetto ai due universi culturali e antropologici presi come punti di riferimento privilegiati.
Nel caso di più testi drammaturgici inclusi in quest’ultimo corpus (ma non della totalità di essi), si intende per ‘bilinguismo maturo’ l’esistenza di due versioni originali per ciascuna pièce di teatro. La lettura critica mette in luce l’impossibilità di raggruppare e analizzare tutti i testi teatrali di Vișniec appartenenti dal punto di vista cronologico alla terza fase della sua scrittura in base al criterio dell’originale doppio, ma siffatto approccio si addice soltanto a quelle pièces la cui seconda redazione si allontana in modo più sensibile dalla versione-gemella, stesa per prima.
È stato indicato sin dall’Introduzione che i termini ‘bilinguismo parziale o incipiente’ e ‘pieno bilinguismo o bilinguismo maturo’, inquadrati da virgolette, sono stati utilizzati in senso piuttosto ristretto, al fine di disegnare due processi graduali di scrittura che, inoltre, rappresentano livelli di competenza linguistica diversi e – l’aspetto riveste fondamentale rilievo –, un modo differente dell’autore di situarsi rispetto alla propria opera, in concomitanza col suo passaggio graduale dallo statuto di autore-traduttore verso una lingua seconda percepita all’inizio come straniera (la fase 2), a quello di autore-bilingue, che crea deliberatamente l’opera come trasposizione inesauribile – ‘fare la spola’, nell’espressione usata dal drammaturgo – tra le due lingue, raggiungendo in entrambe pressoché il medesimo grado di appartenenza (la fase 3). Tale condizione ha consentito a Matei Vișniec di adottare man mano uno sguardo esperto, che proviene dall’interno delle culture e delle società romena e francese, che sono gli assi antropologici del suo cosmo. Per converso, in tutte le altre accezioni, il vocabolo è stato scritto senza virgolette.
Un’altra peculiarità della sua opera si riferisce al fatto che l’esperienza della traduzione nell’ultima fase si svolge in una doppia direzione linguistica: da un lato, si colloca il teatro, scritto in francese e autotradotto nella lingua materna, dall’altro, si trova la poesia posteriore al 1987, composta direttamente in romeno, ma trasposta in francese, per lo più nella formula della traduzione allografa, oppure effettuata con la partecipazione dell’autore, tale prassi rimanendo circoscritta ad un unico volume, À table avec Marx. Perciò è importante notare sin dal momento delle premesse che solo come drammaturgo scrive in tutte e due le lingue.
Oltre a mettere in evidenza un quadro coerente di analisi dell’intera produzione letteraria di M. Vișniec, la ricerca presenta e commenta una serie di procedimenti traduttivi, sottolineando che l’elemento fondamentale attorno a cui si sono strutturate le derivazioni interpretative più importanti della démarche proposta è rappresentato dallo statuto dell’autore, che postula la coincidenza all’interno di un’istanza unica del creatore e del traduttore. Come prima conseguenza, l’atto di scrivere e quello di tradurre, che si concretano in due versioni linguistiche autoriali di uno stesso testo drammaturgico, si condizionano a vicenda. Viene messo in risalto, per l’appunto, lo spessore e i significati di siffatti condizionamenti. Da questo angolo di vista, l’autotraduzione è stata analizzata quale trasgressione del codice della traduzione allografa, che è la forma per così dire canonica del trasferimento linguistico e culturale tra due lingue.
Pertanto, sono state evidenziate le scommesse e le peculiarità della traduzione autoriale in una doppia accezione: quella di processo graduale, mettendo – cioè – l’accento sulla sequenzialità tra la tappa del ‘bilinguismo parziale’, seguita da quella del ‘pieno bilinguismo’, e quella – più generale – di trasposizione linguistica dell’autore come modalità della scrittura bilingue, osservando che una simile accezione classifica l’autotraduzione tra le specie distinte della teoria e della pratica della traduzione, in contrapposizione alla resa allografa più consueta.
Nella sua totalità, l’opera drammaturgica di Matei Vișniec si presenta come un intreccio di diverse prassi traduttive, talvolta conformi, talaltra differenti rispetto alla norma vigente della traduzione, intesa nel senso più canonico del concetto.
Per riflesso, nella fase del ‘bilinguismo incipiente’, il consolidarsi della formula compositiva, che obbliga a interventi incisivi sui testi, ha trovato illustrazione – durante la riscrittura in lingua francese di alcune piecès – nelle ‘soppressioni’ di repliche e didascalie, e pure nella ‘compressione’ e nella ‘sintetizzazione’ di altre sequenze. Al contrario, l’autotraduzione di Păianjenul în rană [Il ragno dentro la piaga] ha seguito motivazioni supportate sul piano formale dalla riscrittura per ‘aggiunzione’. Le esemplificazioni vertono sull’individuazione di cambiamenti rilevanti che si riflettono sui significati dell’opera, rilevabili prevalentemente a livello compositivo e simbolico-metaforico. D’altra parte, fin da questo stadio si è venuta a profilare l’ipotesi che tali spostamenti di accento (tematici e di diversi generi) obblighino alla lettura delle due versioni linguistiche di ciascun testo drammaturgico, qualora si desideri ottenere un’immagine completa delle valenze molteplici di una determinata opera.
Quanto alle corrispondenze e alle simmetrie che si stabiliscono sui piani fonico e ritmico e, infine, lessicale e stilistico, le operazioni traduttive mostrano che le differenze non si presentano più con attributi altrettanto netti tra testi scritti, ad esempio, in una stessa lingua (francese), però in fasi distinte e, come tali, inquadrabili nei corpus secondo e terzo. La situazione muta in maniera considerevole allorché il raffronto verte sulle particolarità stilistiche che distinguono il primo dal terzo corpus, cioè i testi redatti nella lingua materna, prima del 1987, da quelli successivi. Per quanto concerne la componente stilistica, occorre segnalare le numerose «marche» dell’oralità, stratificata e multiforme, che permea specialmente le versioni riscritte in romeno.
È stato, altresì, messo in luce che nell’ultima fase, quella più interessante e diversa dal punto di vista delle soluzioni adottate dall’autore-traduttore, più di quanto si verifica allo stadio del ‘bilinguismo parziale’, si possono elencare e commentare una serie di procedimenti per cui un’opera si costituisce attorno al proprio “perno”, come risultato di una trasposizione poetica.
Gli aspetti salienti cui si è dato particolare spazio riguardano le differenze culturali e antropologiche, di struttura e di significato, che caratterizzano i due universi mentali, di civiltà e di sensibilità, tra cui l’autore gravita con competenze uguali, grazie alla sua condizione di scrittore bilingue. La conclusione che si delinea indica che nel caso di certi testi teatrali, debitamente commentati nella tesi, le due versioni linguistiche di ciascuno rinviano esplicitamente una all’altra in virtù della differenza e dell’autonomia che ognuna rivendica rispetto all’altra e al dialogo inter-culturale, nonché inter-testuale da cui nasce la totalità bilingue di ciascuna pièce. Il fenomeno, va sottolineato, non ha carattere sistematico, poiché non tutti i testi drammaturgici di Vișniec si comportano in modo identico.
Inoltre, emerge l’idea che il piano metaforico includa significati con valenze universali sulla condizione umana e del teatro, che assieme al livello delle assonanze e delle equivalenze foniche, dei fenomeni di ritmo, degli aspetti relativi alle variazioni di struttura e di composizione di un determinato testo, nonché degli effetti del bilinguismo riscontrabili al confine tra l’invenzione stilistica e lessicale, ponga le basi per una poetica dell’opera bilingue.
Gli esiti della ricerca confermano il rilievo delle differenze di prospettiva presenti, in effetti, a tutti i livelli linguistici ed espressivi tra le versioni romena e francese dei testi, che, in chiave traduttologica, acquistano valore in una proporzione ancora più rilevante, qualora fosse condivisibile l’ipotesi che la potenzialità globale di ciascuna pièce risulti dalla somma delle caratteristiche possedute dalle due versioni disponibili nelle due lingue.
Contestualmente, l’approccio traduttologico permette l’accesso al laboratorio e alla processualità bilingue del costituirsi dell’opera, e configura le fasi di ‘bilinguismo’ come prassi volontarie di riscrittura e di adattamento. Il punto nodale nella logica di tale approccio consiste nel fare notare che nelle occorrenze esaminate ciascun testo sviluppa una relazione differente con il suo doppio esistente nell’altra lingua. Tale dinamica lascia trasparire in concomitanza la diversa entità dei cambiamenti, quantificabile il più delle volte in stretta corrispondenza con i determinati periodi della propria scrittura.
A completare la prospettiva traduttologica, una sezione della tesi presenta il modo in cui l’autore si relaziona rispetto a due categorie di partner coinvolti nella trasposizione linguistica delle sue opere: traduttori-collaboratori e traduttori che hanno lavorato indipendentemente dall’intervento dell’istanza autoriale. In questa circostanza, i possibili distinguo sorgono tra lo statuto delle opere tradotte in collaborazione e le traduzioni allografe.
Una sezione apposita indica in modo orientativo fino a quale punto l’approccio traduttivo dello scrittore bilingue possa servire come modello ai traduttori in altre lingue (si tratta dell’opera di Matei Vișniec ma, l’orizzonte si potrà allargare anche alla produzione bilingue di scrittori diversi). La convinzione che le soluzioni dell’autore rappresentino punti di riferimento validi in tutte le fasi delle traduzioni future, in vista della risoluzione di eventuali ambiguità – le versioni in francese contribuendo sempre alla decodifica –, trova appigli nella discussione di certi errori presenti nella traduzione allografa in italiano (la terza lingua) di una pièce, che sono il risultato dell’utilizzazione ai fini traduttivi di una sola delle versioni auctoriali.
Le angolature da cui è stata analizzata la pratica dell’autotraduzione hanno reso possibile l’interpretazione del bilinguismo di Matei Vișniec anche per analogia con la ‘transtestualità’ genettiana. Certamente, anche in questa circostanza, l’idea si potrà estendere ad altri scrittori bilingui. Ad esempio, il «terreno» su cui si incontrano le prassi dell’intertestualità e quelle dell’autotraduzione è approssimativamente quello dell’‘intertestualità interna’ (Jean Ricardou), se si accetta di definire i rapporti tra le versioni linguistiche autoriali di un’opera come relazione di uno scritto letterario con se stesso. Come già accennato in questa tesi, la definizione di Ricardou si rivela imperfetta se si vuole adoperarla in tale modo, ma resta una tra le poche possibili. Un concetto forse più adeguato è quello dell’‘intra-intertestualità’ discusso da diversi teorici in riferimento all’opera bilingue di S. Beckett.
Di conseguenza, i nessi con l’interpretazione in chiave intertestuale sono nella versione autotradotta, ad esempio, la ‘metaforizzazione’, le mises en abyme, le prolessi e le analessi con funzione metaforico-simbolica, le estensioni di senso e di visione, le potenzializzazioni che conducono all’arricchimento dei significati globali dei testi.
Tra i vari fenomeni descritti dal teorico, il concetto della ‘transtestualità’ di Genette asserisce che la genesi di un testo è riassumibile in un rapporto di auto-ipertestualità, ciò che si concreta nell’enfatizzare il potenziale interpretativo insito negli avantesti di un’opera. Tale prospettiva resta da approfondire in contributi ulteriori, poiché nella tesi ci si è limitati a formularla come semplice ipotesi di lavoro. In tal senso, l’autotraduzione può fungere da procedimento rivelatore della genesi e dell’evoluzione dello stile e in uguale misura dell’opera intera di uno scrittore bilingue. In conclusione, la logica dell’autotraduzione partecipa anche da questo versante ad una logica del palinsesto.
Le considerazioni precedenti convergono verso la conclusione che l’analisi traduttologica ha messo in evidenza un «menu» di procedimenti ed operazioni atte a iscrivere le versioni linguistiche di uno stesso testo letterario dentro alla problematica genettiana delle opere a «immanenza plurale», ovverosia, delle opere che si manifestano sotto la specie di una pluralità di versioni, e, come tali, non debbano essere considerate identiche, né tantomeno sostituibili una per l’altra. Nel caso specifico della traduzione autoriale, quel che conferisce pluralità è per l’appunto l’intenzionalità dello scrittore di «duplicare» la propria opera affinché essa possa rispondere a una ricezione doppia (multipla).
Dunque, la traduzione autoriale (o l’autotraduzione) si manifesta come una particolare variante della traduzione, che mette in crisi la definizione e la pratica consueta del genere, dando luogo nella letteratura di Matei Vișniec a una poetica del testo bilingue con caratteristiche ben definite o, in una formulazione diversa, a un approccio affascinato dalla logica della trasposizione poetica, che si costituisce in maniera coerente grazie allo statuto speciale dell’autore, ossia quello di essere allo stesso tempo anche il traduttore della propria opera.
La più rilevante tra le conseguenze del ‘bilinguismo’ di Matei Vișniec si traduce nella sua capacità di sviluppare ed estendere a tutti i livelli della produzione drammaturgica gli effetti della potenzializzazione dei significati.
Pertanto, il carattere bilingue della letteratura scritta fino ad ora dall’autore è una funzione dell’opera, di certo non un aspetto secondario, opzionale, che possa essere eventualmente trascurato dalla critica letteraria oppure preso in considerazione solo episodicamente da qualcuno. L’analisi comparativa delle versioni linguistiche della stessa pièce rivela in determinati testi che la lettura bilingue riveste un ruolo costitutivo nella comprensione globale dell’opera stessa. L’obiettivo dell’autore romeno-francese, che si desume da questa tesi, risiede nell’intenzione di costruirsi uno stile diverso nella lingua di adozione, alternativo e complementare allo stile drammaturgico acquisito nella lingua materna.  
Una delle conclusioni principali della ricerca vorrebbe accreditare l’idea che l’esistenza del fertile dialogo tra le prime versioni linguistiche e quelle successive, rende più che necessaria la conoscenza delle redazioni-parallele, sia da parte degli esegeti dell’opera, sia del lettore/regista interessato a rappresentare le pièces, démarche che facilita la ricostruzione in modo più appropriato dell’organicità, della coesione e della pluralità della letteratura drammaturgica di Matei Vişniec. La conclusione si può applicare eventualmente a ogni autore bilingue che si autotraduca.

Vișniec e la Generazione ’80

Al fine di recuperare un’altra dimensione essenziale dell’identità dello scrittore, gli assi tematici della ricerca mirano a integrare il profilo poetico di Matei Vișniec nel «ritratto di gruppo» della Generazione ’80, ossia ad accostarlo ai modelli letterari dell’«optzecism» e del  postmodernismo romeno. Il «quadro» generazionale si compone a seguito di un’analisi che «fotografa» trasversalmente tutta la produzione poetica del «nono decennio» sua e dei suoi colleghi, rivisitata attraverso la griglia di alcune peculiarità tra le più avvincenti di questa letteratura e, anzitutto, quella dell’intertestualità, atta a suscitare il gioco e la performance letteraria, in congiunzione con altre figure della scrittura di secondo grado.  
Tutti gli elementi del modello interpretativo appena indicato in precedenza contribuiscono a potenziare l’idea di dinamica testuale, già insita nei meccanismi dell’intertestualità, come si desume dalla definizione del concetto stesso fin dai primi approcci teorici, confermati dalle posizioni più recenti, che il lavoro attuale sintetizza e utilizza a fini propri.
Muovendo dal constatare la forza potenziale di un testo, attivata, ad esempio, dalla citazione – l’indice più emblematico del fenomeno intertestuale, atto a trasformare la condizione statica di un contesto in processo dinamico di produzione del senso secondo –, la presente rilettura critica stabilisce le scommesse della stessa figura del palinsesto all’interno della poetica della Generazione ’80. Inoltre, essa specifica ed illustra nel contempo le accezioni del concetto di performance applicato alla poesia, unitamente al modo in cui i procedimenti e gli effetti stilistici sono calamitati nello spettacolo straordinario di questa letteratura.
La rilevanza della prospettiva è doppia. Da una parte, essa emerge dall’estensione del corpus di autori e testi che fanno l’oggetto dello studio comparativo: oltre all’opera poetica completa di Matei Vișniec, trovano posto nel «quadro di famiglia» altre otto tra le più eminenti personalità della letteratura romena attuale. Il secondo elemento consta nella pluralità di strumenti critici usati, che provengono dal repertorio della teoria letteraria, ma anche delle arti dello spettacolo, dall’estetica del postmodernismo, come pure dall’ambito della filologia.
Sono state specificate adeguatamente le affinità più profonde e le differenze che accomunano o, all’occorrenza, che allontanano la formula di Vișniec da quella di ciascuno dei poeti selezionati come oggetto dell’analisi. In fondo, l’elemento che distingue lo scrittore nel contesto della poesia della sua generazione risiede in primis nella sua condizione doppia, di poeta che esercita le proprie abilità del tutto remarcabili come creatore di versi, disponendo nel contempo anche del «menu» completo dei mezzi specifici della scrittura teatrale e, in special modo, della sensibilità di un drammaturgo riconosciuto su numerosi palcoscenici del mondo.    
Pur essendo familiari a tutti i poeti della Generazione ’80 le possibilità espressive offerte dal linguaggio scenico – la predisposizione alla farsa lirica, alla «messa in scena» esposta come tale, alle simulazioni e ai travestimenti di ogni genere, sia che si tratti di effetti letterari, sia di atteggiamenti esistenziali –, spiccano indubbiamente come più propri a Matei Vișniec la consuetudine di rivolgersi direttamente a un interlocutore presente o soltanto presupposto (il lettore, ma anche altri partner occasionali), che egli coinvolge in spettacoli multiformi, dalle performance intrise dalla stranezza della Città con un solo abitante, prevalendosi di innumerevoli trucchi per «addomesticare» l’insolita urbe e la propria solitudine, fino a «scenografie» di spettacolo postbeckettiano, nella cui atmosfera l’io lirico si esibisce in abiti da circo o, in ogni modo, da scena. Si associa a tutto ciò il poema inteso come «regia di teatro» quale inclinazione prevalente al livello della visione.
L’elemento «discriminante» è la scommessa nettamente esistenziale, orientata in senso etico della letteratura di Vișniec, che si configura soprattutto negli anni ’80 in una formula del tutto personale, per lo più parabolica, affascinata da figurazioni ieratiche, «circondate» dal deserto e dall’assurdo. Come nel suo teatro, i fondamenti della poesia si erigono in parte nella fase romena attraverso la rivisitazione delle poetiche del teatro dell’assurdo, che l’autore rinnova e adatta al mondo contemporaneo e di cui decostruisce in modo sistematico i procedimenti e i meccanismi.
Un’altra particolarità che individualizza Matei Vișniec nel «ritratto di gruppo» della generazione è il senso colossale del gioco, esteso per così dire a tutti i 360 gradi della sua poesia. Al livello artigianale delle concatenazioni testuali, il gioco con le convenzioni letterarie, ma anche con la sequenzialità simmetrica e logica, pressoché impeccabile, della composizione e con i piani del poema, convertiti dal finale in direzioni devianti rispetto all’evolversi precedente del discorso, si dimostra capillare. Infine, la dimensione ludica, valorizzata e ampliata dall’ironia e dalla canzonatura, associata sovente al mondo del circo, dell’illusionismo e dell’assurdo, è sempre strettamente connessa a quella dell’amore.
La lettura integrale dei versi rivela i punti di continuità, ma anche le novità della poetica dell’autore, che vengono a sommarsi nella tappa francese, successiva all’espatrio, – nei volumi Poeme ulterioare [Poemi ulteriori] e La masă cu Marx [A tavola con Marx] – alle prime caratteristiche di scrittura. Ilritorno alla poesia, con le raccolte pubblicate negli anni 2000, è contraddistinta, oltre alle riprese di temi anteriori, da aspetti formali innovativi, che fungono da stimoli perfino nei romanzi recenti dell’autore (lo stile diaristico e la metatestualità). La novità principale si riscontra nella poesia «ulteriore» in un più deciso ravvicinarsi alle formule più produttive della lirica postmoderna romena degli ultimi decenni. Dunque, il poeta dimostra che scrive informato dall’ evolversi dei canoni letterari insiti nella cultura della sua prima formazione.
L’esame critico della produzione poetica scritta e pubblicata in Romania e soprattutto di quella «ulteriore» conduce alla conclusione che i versi di Vișniec illustrano nella propria sostanza la maggior parte dei tratti più specifici del postmodernismo poetico romeno. L’oralità generosa, il prosaismo, il gioco, l’(auto)ironia, l’(auto)pastiche, l’(auto)derisione, l’apertura multiforme verso i linguaggi e i procedimenti del discorso drammaturgico e registico – di cui alcuni connessi all’estetica della performance, insieme poetica e scenica, sono i requisiti che acreditano una siffatta conclusione. Fin dai componimenti del nono decennio del Novecento, la perplessità diverita, l’ingenuità recitata e l’apparente mancanza partecipativa all’interno del discorso dell’io lirico, trasformato in personaggio-narratore, si alternano o coesistono come altrettante strategie della relativizzazione. Altre caratteristiche del postmodernismo (il biografismo, ad esempio) si segnalano sin dagli inizi nei poemi, in dosaggi più discreti, ma in congiunzioni interessanti con altri effetti intertestuali, metatestuali ecc.
La coerenza cristallina dei «montaggi» e la sequenzialità logica delle parti di ogni singolo componimento rendono fuorvianti le etichette che reclamano il lirismo astratto o ermetico di questa poesia. L’ambiguità che opacizza il discorso e rende il significato difficilmente accessibile non esercita alcun fascino sul poeta.
La natura dell’intertestualità che Vișniec predilige ricava le proprie fonti nel «repertorio» culturale della filosofia o in ambiti connessi alla stessa disciplina (ad esempio, nelle biografie di alcuni pensatori dell’Antichità), però gli «scenari» in cui sono disseminati siffatti riferimenti non rinviano a principi, metodi o dimostrazioni, in altre parole, agli strumenti di lavoro della disciplina, ma piuttosto agli elementi di cultura generale, accessibili ad un lettore istruito, per il quale lo sforzo ermeneutico fa parte del piacere della lettura.
È stata altresì messa in luce la centralità della motivazione etica con cui Vișniec si appella all’intertestualità nella propria poesia, la cui finalità si profila spesso in senso politico negli anni ’80, il filtro garantito dal procedimento essendo più che necessario nella logica della ricezione, all’epoca in cui l’autore scrive e pubblica in Romania. Il meccanismo intertestuale controlla e dimensiona il messaggio affinché questo riesca a passare al limite dell’accettabilità la soglia imposta dalla censura e soprattutto pervenga a comunicare qualcosa di essenziale al lettore. Dunque, si può affermare che la sua intertestualità ha funzionato sovente come strategia indispensabile per eludere la censura, situazione confermata anche dalla poesia di Mariana Marin e di altri colleghi che hanno lanciato attraverso la propria letteratura messaggi simili, seppure in modo meno sistematico. Tra essi, Vișniec ha trasformato con maggiore costanza la sua lirica in palcoscenico per una siffatta scrittura.
È stato possibile distinguere nella poesia di Matei Vișniec una gradazione diversa della protesta, che va dall’allusione camuffata nelle pieghe dell’intertestualità, a testi reperibili in tutti i volumi pubblicati prima dell’espatrio, dove il dissenso politico si esprime con franchezza evidente, talvolta irriverente, rendendo alquanto paradossale oggi la pubblicazione, nonché la premiazione da parte dell’Unione degli Scrittori, della terza raccolta, Înțeleptul la ora de ceai [Il saggio all’ora del tè],  in cui figuravano componimenti come Corabia [La nave], Fuga [La fuga], Eu sînt un trist tovarăș de călătorie [Io sono un triste compagno di viaggio] oppure O dimineață cu doamna Vernescu [Una mattinata con la signora Vernescu]. D’altronde, il critico Nicolae Manolescu ricorda, come indicato nella tesi, che al Cenacolo del Lunedì (da egli diretto) sono stati letti numerosi testi di aperta natura politica ed esemplifica la propria affermazione citando per l’appunto la poesia di Matei Vișniec.
Quanato alla componente intertestuale, il più delle volte non strettamente filologica, si è fatto notare che l’autore applica l’intera gamma di figure della letteratura di secondo grado (aggiungendo alla lista il pastiche e la parodia, oltre ad altri procedimenti), arrivando a costruire rapporti transtestuali stratificati, reti di immagini e simboli, triangoli e quartetti intertestuali spettacolari. L’analisi ha incluso, in aggiunta alle illustrazioni dell’intertestualità canonica – in altre parole, della ripresa di un brano di testo o di una semplice allusione appartenente all’opera di un autore secondo – il lato autoriflessivo di siffatta modalità palinsestica (cioè quello dell’‘intertestualità ristretta’), così che, grazie alla condizione di duplicità (romeno-francese) di Vișniec, e più di recente di triplicità – di poeta, drammaturgo e di prosatore altrettanto autorevole –, i temi e le forme di espressione dei tre generi pervengono a migrare da un ordine letterario all’altro, con conseguenze tra le più fruttuose.
Valutando con attenzione ciascun angolo aperto dal prospettivismo labirintico dell’intera produzione letteraria, sono state sondate le direzioni delle connessioni, le fasi dell’opera in cui sono riscontrabili le contaminazioni di significato in funzione della ritmicità interna e dell’evoluzione di ciascun genere, osservando che la poesia ha alimentato nell’accezione più propria del termine alcune piecès, tanto a livello tematico, quanto attraverso l’infusione di poeticità direttamente nella fibra drammatica dei testi. I motivi rivestono spesso un rilievo speciale nella letteratura di Vișniec: i traumi della storia recente, postbellica, dell’Europa dell’Est, le dimensioni dell’eros e l’alienazione dell’individuo, vittima dei regimi totalitari ma anche di ogni forma di manipolazione del pensiero, comprese quelle veicolate dalla civilità di consumo.   
Dunque, così come il bilinguismo dell’opera drammaturgica consente all’autore di scrivere, muovendo da un tema unico, due versioni linguistiche parallele con valenze culturali quantificabili in due codici di civiltà differenti, allo stesso modo, cambiando l’angolo visuale, si può asserire che Matei Vișniec, fin dagli inizi, ha accettato dentro di sé la sfida del raddoppiamento del proprio io tra poesia e teatro. Tale fertile scissione l’ha stimolato a sviluppare in regime duplice motivi-chiave della propria opera, plasmandoli secondo i canoni delle rispettive convenzioni letterarie.
La metapoesia, altra componente cardine della poetica di Matei Vișniec, offre alle potenzialità del gioco una scena supplementare su cui queste medesime possano evolversi, e precisa, per via delle sue funzioni, per così dire classiche, le ragioni ultime dell’atto poetico e i significati dei mondi testuali, mettendo altresì in primo piano gli elementi che compongono il processo della scrittura, i meccanismi che la generano, la sua durata e altri particolari «tecnici».
L’insieme di simili prassi conduce a una lettura orientata programmaticamente affinché susciti da angoli di ricezione diversi il piacere del testo. I temi nuovi – l’eros come melange di esuberanza del discorso, di gioco infantile e di sensualità colta con eleganza principesca nei lati più complessi e meno scontati, e perfino la propensione verso la notazione diaristica – unitamente alle estensioni della metatestualità (da Descrierea poemului fino alle ultime poesie di La masă cu Marx), aggiungono consistenza all’edonismo letterario della produzione in versi di Matei Vișniec, rivelando, d’altra parte, l’intenzionalità dell’autore a rinnovare constantemente le proprie formule, al passo con l’evoluzione del discorso poetico della letteratura romena degli anni ’90 e 2000.  
Tornando allo sguardo panoramico rivolto alla generazione, le scommesse dell’intertestualità si precisano a questo livello in funzione delle stesse due costanti: l’aspetto etico e quello filologico e insieme edonistico della letteratura, il secondo rimanendo inseparabile dalla seduzione per il gioco della performanza stilistica.  
Mircea Cărtărescu, Florin Iaru e Traian T. Coșovei sono gli autori che scrivono i propri testi optando per un uso capillare dei meccanismi e dei principi più ingegnosi dell’intertestualità, consapevoli che l’eterogeneità degli elementi che confluiscono nei componimenti e le ‘anomalie’ di ogni genere, classificate già in studi teorici, sono fonti di raffinamento e ingredienti privilegiati di un’«erotica testuale» infallibile. Le loro opere di resistenza mettono a disposizione la «materia» più adeguata per l’esegeta interessato a identificare le cosiddette ‘perversioni’ che – nell’accezione di A. Compagnon – perturbano la struttura degli scambi possibili al livello del discorso. Prevale in questa letteratura il procedimento della trasformazione (scandita in tre tempi: selezione-modifica-combinazione), più complesso rispetto a quello dell’imitazione, giacché pressupone il riutilizzo decontestualizzato di determinati elementi presi dal testo de première main.
Il repertorio delle ‘aberrazioni’ che costellano la scrittura imitativa, stilato da Compagnon, e identificabile nella poesia della Generazione ’80, lascia scorgere il profilarsi, nella saturazione enciclopedica, dell’immagine del museo in miniatura, o meglio, del fascino della totalità, uno degli aspetti più seducenti e multiformi di questa letteratura. Eppure, nonostante la natura puramente filologica o culturale di molti intertesti, talune fra queste occorrenze mirano verso significati che si attualizzano esclusivamente sul piano storico ed etico-politico, ossia nel reale concreto, mostrando assieme alle altre, di origine extraletteraria, il radicamento profondamente esistenziale della poesia ‘optzecista’.
La letteratura della Generazione ’80 esige in misura considerevole la presenza complice del lettore capace di cogliere quel che si comunica indirettamente e a interpretare l’intertesto, come una maschera da levare dal volto dell’attore. È questo il nesso più immediato tra l’intertestualità e il gioco con le maschere, connaturato al teatro.
Infine, un aspetto centrale dell’intertestualità di tipo postmoderno, presente in questa letteratura e dapprima nel teatro di Matei Vișniec, più che nei versi, riguarda il modo di confrontarsi con i predecessori e – mutuando l’espressione da Compagnon –, con i loro testi. Sulla falsariga di Linda Hutcheon, è stato ripetutamente illustrato, in contesti in cui sovente la parodia implica l’intertesto, che gli scrittori della Generazione ’80 si atteggiano similmente ad altri postmoderni, usando, cioè, i due procedimenti della relativizzazione e del distacco critico come strumenti prediletti, al fine del proprio affrancamento dall’influenza del passato letterario. Come accennato nella tesi, il prendere le distanze dall’autorità del modello avviene in un modo alquanto accomodante, assimilabile al sentimento di ‘dovere’ o addirrittura di ‘deferenza’ (‘omaggio’) nei confronti del testo parodiato oppure citato, nonché dei valori di esso. Il garbo dell’imitatore, di colui che cita, suscita nel medesimo un atteggiamento di reverenza, inclusivo, generosamente integratore e apparentemente nonconcorenziale.
Nel caso specifico di Matei Vișniec siffatti aspetti sono stati discussi con riferimento a due pièces, le più marcatamente intertestuali della produzione drammaturgica dell’autore, La machine Tchekhov e De la sensation d’élasticité lorsqu’on marche sur les cadavres, in cui le figure tutelari sono due maestri dell’autore: Cechov e Ionesco. Il dialogo col predecessore più vicino nel tempo e nello spazio, di cui la tematica irradia una forte seduzione per Matei Vișniec – motivo per cui Ionesco potrebbe apparire come l’antecessore maggiormente problematico cui rapportarsi –, comporta la ripresa di situazioni e personaggi, ma anche una notevole cesura, che hanno condotto l’autore a sperimentare soluzioni originali, partendo da suggestioni ioneschiane rielaborate nella pièce sopracitata. Il fascino del palinsesto dà origine ad una costellazione intertestuale, il drammaturgo postmoderno optando per la soluzione di costruire nuovi microcosmi drammatici dal riciclo di quelli di Ionesco, taluni «centrifugati» nella struttura del testo, talaltri inseriti come elementi autonomi di teatralità riscoperta (il topos delle sedie), tutti impressi da sfumature diverse oppure spinti al limite delle possibilità espressive (ad esempio, la parte della Cantatrice calva).
Appare emblematico il fatto che il dialogo con Ionesco si stabilisca in senso etico-morale, ossia nella direzione principale in cui l’intertestualità si manifesta anche nella poesia di Vișniec. La seduzione estetica del modello si esercita nel testo de seconde main per via della citazione e dell’esplicitazione della formula stessa del ‘teatro dell’assurdo’, messa in associazione con l’assurdo della dittatura romena di quegli anni. La performance teatrale che si recita nel carcere secondo tutte le regole del genere equivale sul piano della struttura testuale a un intreccio di metateatro edi intertestualità, che si propone come atto di denuncia della tortura e del crimine politico, messi concretamente in atto nello spazio di reclusione.
Matei Vișniec tematizza in questa pièce l’aspetto dell’influsso di Ionesco, più di quanto abbia fatto in precedenza nei confronti di ogni altro scrittore, condividendo col maestro, e più precisamente, con uno dei fondatori del ‘teatro del assurdo’, il tema della rappresentazione della storia nazionale recente, ovvero l’espressione scenica dell’assurdo vissuto effettivamente dagli intellettuali romeni, vittime della «rinocerite» prodotta dal comunismo. Dunque, Vișniec traspone la metafora nella realità tangibile, la esplicita e recontestualizza la formula teatrale consacrata in Francia a scala storica, concreta, citando nomi, biografie non immaginarie e situazioni verificabili nell’ordine dell’esperienza contingente.
Riunendo le prospettive si possono notare altri temi trasversali, presenti – pur con declinazioni diverse –, nelle prime due parti della tesi. L’opera drammaturgica di Vișniec, il teatro ‘postdrammatico’ (nell’accezione di Hans-Thies Lehmann) e pure quello postmoderno, manifestano in uguale misura la predilezione per l’autotematizzazione e autoriflessività. Il punto di congiunzione tra siffatte posizioni è rappresentato, per l’appunto, dalla percezione dell’opera come processo, in altre parole, come performance. Ebbene, anche la lirica della Generazione ’80 è ossessionata nella sua totalità dalla processualità dell’opera, dal proprio «modo d’uso» e di funzionamento, dalla composizione del poema che si compie durante la lettura della poesia stessa, sotto lo sguardo del lettore, in breve, dalla dinamica interna del testo oppure, se vogliamo, dal testo come dinamica ininterrotta, intesa non soltanto in senso intertestuale, ma ben più esteso. Per le ragioni esposte in precedenza, la lirica di questa «promozione» letteraria ha consentito più che mai e per la prima volta in modo sistematico nella letteratura romena di essere associata alle forme dello spettacolo di teatro, ai temi e ai procedimenti della nuova performatività scenica.
L’idea di dinamica produttiva, presente già nei primi tentativi teorici legati alla definizione dell’intertestualità, collocano ancora una volta la poesia ‘ottantista’ e post-ottantista analizzata in questi capitoli sotto il segno dell’arte come processualità, come esercizio abilissimo della riflessione in atto, attributo che rivela in modo innegabile, fin dagli anni ’80, la sua natura postmoderna, comune anche alle motivazioni della performance.

Ricezione e diffusione del teatro di Vișniec

L’ultima parte della tesi presenta per la prima volta una prospettiva complessiva su un terzo versante fondamentale dell’opera di Matei Vișniec, ovvero la ricezione e la diffusione del suo teatro anzitutto nello spazio culturale francese, che l’ha adottato e gli ha offerto delle possibilità concrete per manifestarsi, e successivamente nell’ambito italiano, dove, di recente, la sua produzione drammaturgica è pubblicata, commentata e messa in scena in misura sempre crescente e dove l’autore viene percepito come uno degli esponenti della performatività scenica attuale.
Siffatto approdo si spiega per via dello sforzo e della passione dell’autore che ha saputo mantenere un ritmo costante, scrivendo e pubblicando in lingua francese presso le case editrici specializzate di Parigi, e, d’altro canto, grazie alla capacità rinnovata di crearsi interlocutori credibili, professionisti autentici della scena (registi, attori ecc.). Da questo punto di vista, il Festival di Avignone rappresenta un luogo magico, una fucina per le ipotesi e i progetti che prendono vita e pervengono a realizzarsi da un’edizione all’altra, tra gli esperti del teatro francese e del mondo intero.
Per quanto riguarda l’apporto personale a questo esito, dovuto alla sua qualità di drammaturgo, Matei Vișniec fornisce durante l’arco intero dell’affascinante «avventura» artistica della sua scrittura teatrale conferme reiterate del fatto che il ritmo di creazione è rimasto assai sostenuto nel corso degli anni, e ciò gli ha consentito più di recente di proporre a ogni nuova edizione del festival un nuovo testo. Non andrebbe perso di vista nemmeno il fatto che nella prima decade degli anni 2000 l’autore ha scritto anche altre pièces notevoli, che non sono state ancora allestite ad Avignone.
L’analisi ha individuato alcuni criteri principali in base ai quali, a conclusione della stessa, emerge un profilo oggettivo del drammaturgo, quantificabile con precisione e documentato in modo accurato, che segue passo dopo passo il costituirsi della ricezione e della diffusione in un arco temporale di più di venti anni. Il quadro generale che si delinea risponde complessivamente alla domanda su quale sia oggi l’identità dello scrittore Matei Vișniec nel panorama della drammaturgia e della rappresentazione scenica al livello del teatro europeo in senso lato, indicando contestualmente le tappe, le modalità e le condizioni concrete di affermazione dell’opera congiuntamente alle qualità di quest’ultima che, insieme, ne hanno favorito l’accesso costante sia ai palcoscenici di uno dei più importanti Festival internazionali del teatro attuale, sia agli ambienti editoriali e accademici delle due culture, e, allo stesso tempo, al circuito garantito dalle opere critiche e antologiche più note e più prestigiose, dedicate alla drammaturgia contemporanea europea e di lingua francese.   
La catalogazione e il commento degli allestimenti, delle note di regia e di quelle formulate dal drammaturgo stesso, cui si aggiungono gli articoli a stampa – conservati nei dossier predisposti dalle compagnie di teatro per ciascun spettacolo inserito nei programmi del festival di Avignone – e, oltre l’altro versante degli Alpi, su alcuni grandi palcoscenici italiani, dall’«esordio» nel 1998 al Piccolo Teatro di Milano fino ad ora, sono precedute da un capitolo collocato alla fine della Prima Parte del lavoro, che collega le conclusioni della prospettiva bilingue e il presente «quadro»della diffusione e della ricezione.
Questa sezione intermedia sulla poetica del drammaturgo funge da complemento ad un’interpretazione più estesa dei testi citati nei capitoli dell’analisi traduttologica e commentati in tale sede prevalentemente in quella determinata chiave di lettura, integrando approfondimenti estesi ad altre piecès, che hanno fatto tuttavia l’oggetto della sintesi storico-letteraria e storico-teatrale nella parte riservata alla ricezione propriamente detta. Mettendo a confronto le direzioni della drammaturgia e dell’arte scenica europea e attuale in senso lato con le caratteristiche principali della scrittura per la scena di Matei Vișniec, spicca l’appartenenza di quest’ultima ai modelli con larga circolazione nell’ambito della teoria del teatro ‘postdrammatico’ e postmoderno, le cui accezioni sono state esposte nella tesi.
Restringendo l’angolo visuale alla ricezione in Francia, per ricostruire la diffusione dell’opera rappresentata al Festival di Avignone è stato necessario estendere il campo di investigazione ad altre scene francesi, poiché diversi spettacoli allestiti dapprima, ad esempio, a Lione oppure a Parigi, sono stati programmati nella Città dei Papi in un secondo momento. Al contrario, il prestigio di essere rappresentati sul palcoscenico dell’elegante città provenzale ha procurato in seguito ad altri spettacoli nuove rappresentazioni, indipendentemente dallo svolgimento del festival.
Ancora a riprova della vitalità dei testi, sono stati più volte citati i nomi di alcuni registi che hanno messo in scena per più anni testi diversi del drammaturgo e la cui collaborazione ha dato occasione a tournées in Francia e anche in Romania. È un dato di fatto significativo che fra i registi presenti con le loro compagnie ad Avignone siano sempre più numerosi nelle ultime edizioni i partner di nazionalità romena. Per riflesso, il quadro imperniato prevalentemente sulle coordinate francesi ha reso necessari taluni riferimenti alla ricezione nella cultura di origine dell’autore, nonché a orizzonti teatrali in cui le pièces di Matei Vișniec hanno scoperto nuovi spazi di affermazione internazionale.
Criteri supplementari che accertano il valore della scrittura drammatica di questo autore e giustificano l’ampio interesse suscitato fino ad oggi poggiano sulla qualità dell’opera. La versatilità, l’attualità e l’universalità dei contenuti della scrittura, desumibili anche dal teatro scritto prima del 1987 e fin dal principio apprezzato in Francia e altrove, si sono rispecchiate nella varietà enorme di tipologie di allestimenti impiegati al momento della messa in scena dei testi Caii la fereastră [I cavalli alla finestra], Angajare de clovn [Vecchio clown cercasi], Buzunarul cu pîine [La tasca ripiena di pane], Théâtre décomposé…, Le mot ‘progrès’… ecc. Le valenze poetiche e metaforiche di questo teatro hanno costituito delle premesse per la sua rappresentazione in formule intensamente frequentate nelle arti attuali dello spettacolo: le mise en clown, il teatro delle ombre, la pantomima, il teatro delle marionette e degli oggetti,il théâtre de papier, il teatro di strada ecc.
La rilevanza del profilo del drammaturgo deriva in fin dei conti dalla qualità degli spettacoli presentati in questa analisi, da quella dell’esperienza artistica delle compagnie, dal prestigio dei luoghi teatrali che hanno ospitato le produzioni sceniche, cui va sommata la competenza e, sovente, il prestigio dei critici, dei giornalisti e dei commentatori che hanno firmato nella stampa locale e nazionale articoli, recensioni e cronache delle messe in scena cui avevano assistito. (Per considerazioni conclusive più approfondite sulle medesime tematiche si rinvia ai paragrafi finali della sezione riservata nella tesi alla ricezione in Francia). Siffatta disponibilità è forse dovuta in parte al suo illustre predecessore, Eugène Ionesco, il cui nome è stato ripetutamente menzionato dalla critica teatrale in associazione con quello dell’autore del Teatro decomposto…, ma sempre con la capacità di riconoscere che, sebbene il giovane drammaturgo abbia fatto propria la lezione del primo, è riuscito tuttavia ad affermare la personale diversità.
Al termine del bilancio della ricezione in Francia sono venuti alla luce alcuni record di partecipazione e, contestualmente, una media che supera tre allestimenti a ciascuna edizione. I premi ottenuti vengono a ribadire il giudizio che tende già a profilarsi dalla somma delle caratteristiche sopracitate.
Inoltre, va dato il giusto risalto nel bilancio generale alle collaborazioni con i registi e le troupes arrivate dalla Romania per merito dell’opera teatrale di Matei Vișniec, e che hanno creato ponti durevoli tra il teatro francese e quello romeno, dando, d’altra parte, a personalità di primo piano e a giovani artisti già affermati nella cultura di origine la possibilità di partecipare con le proprie visioni registiche ad Avignone (Alexandru Tocilescu, Radu Afrim, Alexandra Badea).
In concomitanza con la ricezione dell’autore romeno rappresentato più sovente al festival provenzale, la Terza Parte include una presentazione sintetica dello spirito, dell’atmosfera e delle caratteristiche generali della manifestazione (limitate alla sezione Off) e, in fine, un compendio della triplice partecipazione di autori, registi e compagnie della Romania alle edizioni più recenti, che hanno aperto le loro porte sempre più largamente al teatro dei paesi dell’Europa Centrale e dell’Est.
Questo primo approccio critico esamina due piani della ricezione dell’opera che comunicano in modo fertile. La prospettiva offerta dall’inclusione dell’autore nelle antologie e nelle storie del teatro, pubblicate per lo più in Francia, è un indizio pertinente rispetto alle possibilità concrete di accesso di cui sta beneficiando la scrittura di Vișniec nel circuito degli studi teorici di drammaturgia francofona ed europea. Ben più, siffatti strumenti permettono ai professionisti del teatro e della letteratura di informarsi in merito all’opera drammaturgica dello scrittore romeno-francese.
A completare il quadro, la diffusione della medesima opera ad Avignone è indicativa del modo in cui ciascuna edizione ha contribuito all’ampliarsi del cerchio di esperti dello spettacolo, interessati alla poetica del teatro di Matei Vișniec e, al tempo stesso, essa restituisce gli accenti specifici delle letture sceniche che ciascuno di questi interlocutori privilegiati ha proposto, e che nel loro insieme costituiscono il profilo completo descritto sopra.
Con un simile palmares e con una presenza talmente duratura al Festival di Avignone, Matei Vișniec è ora il drammaturgo di origine romena maggiormente rappresentato in Francia, in Romania e nel mondo tra quelli affermatisi negli ultimi decenni.
Per quanto riguarda la ricezione in Italia, la scoperta del drammaturgo si posiziona su un trend ascendente, cui contribuisce ancora una volta, in modo essenziale, il bilinguismo dell’opera, giacché i testi pubblicati e quelli messi in scena fino ad ora sono nella maggior parte traduzioni dalle versioni francesi. La qualità della ricezione – editoriale, scenica e accademica –, considerando i dati disponibili fino allo stadio attuale, è tutto sommato anche in Italia di ottimo livello.
Tornando al contenuto globale della ricerca, si può asserire in conclusione che la poetica della Generazione ’80 ha radunato tutte le risorse acquisite in precedenza dalla letteratura romena, e altre, molto numerose, chiedendosi con urgenza assoluta in quale misura la poesia fosse ancora in grado di riflettere la realtà – l’attualità storica e la crisi etica e morale, che sembrava a quel tempo implacabile –, e saldamente radicata nella stessa, l’esistenza privata, intima, intellettuale, in tutta la sua complessità. Lo spessore delle scommesse ha imposto a questa poesia un livello di maturazione eccezionale all’interno della letteratura romena di fine millennio.
Dentro la stessa Generazione ’80, Matei Vișniec è uno dei rappresentanti esponenziali, uno scrittore che ha costruito la propria identità bilingue e biculturale, europea ed essenzialmente poliedrica, riconosciuta come tale in orizzonti che si allargano progressivamente.

* Nel presente lavoro il termine si riferisce alla letteratura della Generazione ’80, ovvero alla tendenza letteraria di maggiore rilievo della letteratura ‘optzecistă’ [ottantista] o dello ‘optzecism’ [ottantismo].



Emilia David
(n. 6, giugno 2016, anno VI)