«Il console romeno». Un racconto di Diego Zandel

Pubblichiamo il racconto «Il console romeno» di Diego Zandel, introdotto dalla testimonianza che l'autore ci ha concesso.

Penso che capiti un po’ a tutti coloro che lavorano nel mondo della comunicazione: essere avvicinati da personaggi che poi scopri essere uomini dei servizi segreti. A me è capitato due volte, ad anni di distanza. Erano agenti di due diversi Paesi dell’Est. Alla prima di queste volte, siamo negli anni Ottanta, è ispirato il racconto «Il console romeno». Il Paese in questo caso, è chiaro, era la Romania, al tempo di Ceausescu.
Per ragioni di lavoro divenni amico di una donna romena. Bionda, bella, entrava e usciva senza problemi dalla Romania. Avrei saputo più tardi che non era così facile allora. Anche in Italia aveva buone conoscenze. Aveva almeno un paio di amanti importanti. Tra noi non c’era nulla di intimo. Solo buoni rapporti di lavoro: io lavoravo alle relazioni esterne di una grande società e, nello stesso tempo, collaboravo a un quotidiano romano. Inoltre, a quel tempo avevo già pubblicato, per i tipi di Mondadori, il mio primo romanzo «Massacro per un presidente». Lei era un architetto che si era riciclata come grafica. Nacque comunque tra noi un rapporto di confidenza, nato in particolare da un mio certo interesse per l’est europeo, dovuto alle mie origini istriane, a cui deve essere aggiunta una buona dose di curiosità propria del mio carattere.
Fu questa donna a farmi conoscere il diplomatico romeno, con criteri simili a quelli che io racconto: inviti a cena, visite sul lavoro, piccoli omaggi come bottiglie di vino romeno o di “zuica”, la loro grappa. In ballo c’era pure l’impegno di far tradurre il mio romanzo in Romania e un viaggio, del quale scrivere sul supplemento viaggi del quotidiano al quale collaboravo.
Io  interpretavo tutto ciò come segni di amicizia. Invece non era così. Il diplomatico romeno, per dirla con Pavese, mi “lavorava” col fine, al momento opportuno, di poter far leva sulla mia attività giornalistica. Le modalità sono quelle che ho raccontato. E il viaggio in Romania, che avvenne, fu rivelatore di cosa si chiedeva da me. Va detto che, per quel che riguarda il mio soggiorno a Bucarest, il mio racconto è molto diverso dalla realtà, se non altro perché – nonostante venissi, con complicità virile, sconsigliato di farlo – mia moglie volle decisamente accompagnarmi. Partimmo, infatti, in tre: la bionda romena, mia moglie ed io. Il diplomatico restò a Roma. Ma a Bucarest ci prese in consegna un alto funzionario del ministero degli esteri, che fin dal primo momento prese a manifestare gli stessi segni di una simpatia che, come con il diplomatico, sconfinò nell’amicizia. Tranne che al mattino, quando eravamo nelle mani della giovane guida turistica, a cui nel racconto dò il nome di Gina, che ci faceva conoscere Bucarest, il pomeriggio e la sera, fino a tardi, eravamo in compagnia del funzionario e dell’amica romena: due coppie, la nostra e la loro, ospiti e padrone quasi assolute dei migliori ristoranti di Bucarest, con camerieri dal servizio ineccepibile e violinisti che suonavano al nostro tavolo. Il conto, non certo in denaro ma di servizi, mi fu chiesto al ritorno a Roma. Conto che comunque, capita ormai l’antifona, non pagai.



Infilò la chiave nella porta di casa e s’accorse che le mani ancora gli tremavano. Non gli era bastato quel girovagare di ore per la città per calmarsi. Era ormai notte. E Stella lo attendeva. Avrebbe dovuto raccontarle la verità, confessarle tutto. Prima che quelle fotografie che lo ritraevano a letto con un’altra donna le arrivassero. Anzi, per rendere vano quel minaccioso invio. Neutralizzare il ricatto.
Il cervello di Guido continuava a trasmettere i fotogrammi di quella ultima scena.
Sera di inverno. Il biancore irreale della facciata neoclassica dell’Accademia di Romania domina il piazzale, a due passi dal Viale delle Belle Arti. Luci artificiali che lasciano angoli bui, segreti. Roman, il console romeno lo aspetta accanto alla sua vecchia Dacia. La piccola brace rossa della sigaretta che sta fumando brilla in lontananza. Guido gli va incontro. A un passo da lui gli scopre un’espressione insolitamente poco cordiale. Roman gli consegna una busta.
«Cos’è?» domanda Guido.
«Guarda»
Guido apre la busta e si trova tra le mani le fotografie. Lui con Nina, nella sua camera all’Athene Palace di Bucarest. La schiena della ragazza, le sue natiche, mentre sedeva sopra di lui che se ne stava a ginocchia larghe e il viso perso verso di lei. Era Guido, nessun altro. Così nelle altre foto. L’inquadratura era la stessa, per via della fissità dell’obiettivo. Solo le posizioni d’amore cambiavano.
«E allora?» domanda Guido con un filo di voce, attonito.
«L’intervista al professor Ionescu deve uscire… Devi trovare il modo di pubblicarla… Noi abbiamo bisogno di un’opinione pubblica favorevole. Si dicono troppe cose su quello che succede in Transilvania».
Genocidio. Ecco quello che succedeva. Genocidio della popolazione magiara da parte del regime di Ceausescu. Si parlava addirittura di ungheresi sottoposti a radiazioni nucleari per farli poi morire di cancro. Ma il professor Mircea Ionescu, storico di primo piano, nell’intervista rilasciata a Guido, falsificava i contenuti, rigettava le colpe agli ungheresi. Guido non se la sentiva di pubblicarla, anche se le affermazioni del professor Ionescu erano virgolettate. Suonava troppo filo romena. Aveva chiamato Roman al telefono.
«Non posso pubblicare una cosa del genere. Ne va la mia credibilità» gli aveva detto, confidando anche nella sua amicizia.
E Roman: «Vediamo cosa si può fare» gli aveva risposto «Incontriamoci questa sera all’Accademia»
Guido c’era andato. E s’era trovato quelle foto in mano.     
«Non vorrai che arrivino a tua moglie» lo aveva fulminato Roman.
Il ricatto era giunto così. Talmente inatteso da lasciare Guido senza più parole. Incredulo. Tremante. S’era accorto soltanto dopo di avere paura. Prima era troppo confuso. Paura per la situazione di merda nella quale era andato a infilarsi senza neppure rendersene conto. Ma non con quella intervista. Prima, molto prima. Quando aveva cominciato a uscire con Adriana e il console…  Guardando le foto che Roman gli aveva messo in mano non aveva potuto non chiedersi se anche Nina era d’accordo con loro. Sapeva, quando facevano l’amore, che li stavano fotografando? Faceva parte anche lei del piano? Ma allora era una grande attrice oltre che una maledetta spia! Ma lo era? Questi dubbi gli procuravano una ferita maggiore. Ma era nulla, adesso, nulla di fronte alla vergogna che provava nel dover confessare la sua colpa a Stella, al dolore che le stava per procurare. Stella, in attesa di un figlio da lui. Rischiava, con il dolore che le avrebbe procurato, di farglielo perdere? No, Dio mio! Ma una confessione, a trovare le parole giuste, non avrebbe mai avuto l’impatto di quelle foto, la brutalità di un colpo a sorpresa. Eppure, Stella lo aveva messo in guardia nei confronti di Adriana e del console. Poteva essere un’attenuante?
Esitò ancora prima di girare la chiave...
Adriana! Dio, come ci sono potuto cadere! esclamò tra sé Guido. Ci sarebbe da ridere se non fosse finita così. Da ridere per l’elementarità della tela che era stata tessuta intorno a lui. Una bella donna, matura, attraente, Adriana appunto, di nazionalità romena, da qualche anno in Italia, presenta al console del suo paese un giovane giornalista, collaboratore di un quotidiano importante, prossimo all’assunzione. Il pretesto, un viaggio stampa in Romania per il supplemento viaggi del giornale... Sembra l’inizio di un romanzo. Invece...
Guido conosceva Adriana come fotografa. Vendeva i suoi servizi allo stesso suo giornale. Capitavano più o meno intorno all’ora di pranzo, quando i capi servizio uscivano dalla riunione di mezzogiorno con il direttore per impostare l’edizione che i lettori avrebbero trovato in edicola il giorno dopo. Per tanto tempo Guido si era limitato a salutarla, non trovando il coraggio di avviare un discorso con lei tanto lo intimidiva la sua avvenenza quasi provocatoria, la sicurezza dei suoi rapporti con i redattori che le sbavavano dietro. Bionda platino, minigonne, gambe lunghe, tacchi a spillo, calze a rete, occhi bistrati, labbra rosse, profumo intenso. Paris di Yves Saint Laurent. Adriana lasciava una scia dove passava. La sua presenza si avvertiva lungo i corridoi. Mentre Guido si muoveva con discrezione, quasi nel timore di disturbare e pregiudicare la sua collaborazione, la probabile assunzione. E ciò, nonostante i suoi “pezzi” venissero sempre più richiesti e pubblicati, mentre l’acquisto delle fotografie di Adriana aveva un valore simbolico. Per una cortesia, girava voce, a un suo amante... Frequentandola, Guido però aveva saputo che Adriana aveva storie con più uomini. Racconti di cene galanti, di baci, di regali, che lei esibiva con gioia quasi infantile. Storie che lei giustificava con una leggerezza priva di qualsiasi scrupolo morale. Contava solo la sua bella vita. Per essa era disposta a tutto.
Cos’era Guido per lei? Guido così giovane, così posato, così innamorato di sua moglie dalla quale attendeva un bambino. A lui, pur apprezzando il corpo di Adriana, pur conoscendo la sua disponibilità, non veniva neppure in mente di andare, con lei, oltre un rapporto di pura amicizia.       
Questa era nata un po’ alla volta, per quell’incontrarsi sempre lì, alla solita ora. Dai saluti erano passati, più per la facilità di relazioni di lei che per merito di Guido, a uno scambio sempre maggiore di parole, fino alla conversazione. Adriana aveva preso a leggere gli articoli che lui scriveva. Recensioni di libri, interviste, servizi vari per le pagine della cultura e degli spettacoli, per il supplemento dei viaggi. Quest’ultimo soprattutto le era sembrato un buon viatico per parlare qualche volta del suo paese d’origine.
«Tu potresti scrivere un articolo ed io vendere le mie fotografie» aveva proposto a Guido un giorno «Ne parlerò al console, magari organizzerà un viaggio».
Lui aveva accolto l’idea con entusiasmo. La collaborazione a quel supplemento gli aveva già fruttato un paio di viaggi gratuiti. Con un gruppo di giornalisti di diverse testate aveva visitato, nelle migliori condizioni di ospitalità, città straniere che altrimenti non avrebbe mai conosciuto.
Una giorno Adriana aveva invitato Guido a una conferenza che lei stessa doveva tenere all’Accademia di Romania.
«Parlerò» gli aveva detto «di alcuni aspetti architettonici del mio Paese».
«Come fotografa?» aveva chiesto lui.
«No, sono laureata in architettura» gli aveva risposto sorprendendolo «La fotografia mi serve per avere un lavoro qui in Italia. Piuttosto, la conferenza sarà in romeno, forse ti annoierai, ma ci sarà il console e gli parleremo del nostro viaggio».
Così, quella sera, Adriana, oltre a Roman, aveva presentato Guido un po’ a tutti, ai consiglieri d’ambasciata, al segretario, ad addetti vari. Un’atmosfera di cameratismo aveva reso piacevole l’incontro. Dopo la conferenza era stato allestito un banchetto, ricco di pietanze, in particolare del famoso “cavolo romeno”, e di bevande in gran parte alcoliche, di cui i romeni facevano abbondante consumo. Al centro della sala era stato posto un tavolo sul quale erano stati messi in grande evidenza i volumi dei discorsi e degli scritti di Nicolai Ceausescu.
Guido era stato particolarmente coccolato da Roman. Si trovava da poche settimane in Italia dopo un periodo trascorso a Parigi. Aveva un’aria semplice, dimessa, che favoriva la confidenza. Aveva ancora bisogno di fare amicizie, ed era nata subito tra Guido e lui una simpatia reciproca, favorita anche dai bicchieri di vino romeno e di zuica, la loro grappa. Si erano dati subito del “tu”.
«Ehi, il console è rimasto entusiasta di te» aveva detto il giorno dopo Adriana a Guido, vedendolo «Vorrebbe che uscissimo una sera a cena… Anche in compagnia di tua moglie, se vuoi…» aveva esitato «ma sarebbe meglio di no se dobbiamo parlare del viaggio… potrebbe essere una scortesia nei suoi confronti, visto che purtroppo non possiamo offrirglielo».
«D’accordo, Adriana. Non c’è problema... Possiamo uscire quando vuole il console».
In realtà poi non c’era stata una cena sola. Ne seguirono altre, di solito allo stesso ristorante, piuttosto di lusso. Erano sempre in tre. Roman, Adriana e Guido. Soltanto una volta si era aggiunta la moglie del console, arrivata dalla Romania per un breve soggiorno. Anche a quel livello, per ragioni di sicurezza, per evitare fughe o richieste di asilo politico da parte dei diplomatici e dei giornalisti romeni accreditati all’estero, i nuclei famigliari erano sempre tenuti separati. A Bucarest, in quel caso, erano rimasti i figli del console. Probabilmente, quella sera Adriana era passata agli occhi della moglie del console come amante di Guido. Una precauzione necessaria perché Guido si era fatto l’idea che Roman non doveva disdegnare la compagnia di Adriana anche dopo che lasciavano il ristorante.
Quelle continue cene avevano cominciato a insospettire Stella, alla quale Guido aveva un po’ raccontato di Adriana.
«È sicuro che non te la fai con lei? Voglio proprio vedere… Possibile che una volta non mi ci puoi portare? Devo sempre restare sola a casa?» protestava.
«Te l’ho detto qual’è il problema, una questione di delicatezza nei tuoi confronti… sai come sono questi diplomatici» cercava di convincerla lui.
«Ma questa Adriana deve esserci sempre?» insisteva lei.
E ormai, ogni volta che Guido annunciava una cena con il console, metteva su il muso.
A tavola, comunque, aveva preso sempre più concretezza il viaggio in Romania. Una sera Roman aveva informato Guido:
«Il Ministero degli Esteri è d’accordo. Adesso bisognerà parlarne con quello del Turismo».
Burocrazia e scarsità di budget rendevano complicata la vita anche a uomini di potere come il console.
Queste difficoltà non sussistevano al ristorante. Roman precedeva sempre Guido nel pagamento delle cene. Una volta però, fingendo di alzarsi per andare al bagno, Guido lo avevo battuto sul tempo, e Roman era rimasto molto contrariato. Non devi più farlo, gli aveva detto.
«Non puoi pagare sempre tu» gli aveva risposto Guido.
Gli sembrava un atteggiamento giusto, il suo, tra amici.
Tanto amici, ormai, da trovare talvolta il console all’uscita dal giornale. Adriana era sempre con loro. Insieme bevevano un paio di boccali di birra o qualche calice di prosecco. Dopo ogni incontro con loro, Guido si ritrovava spesso un po’ alticcio.  Con Adriana erano diventati un terzetto affiatato. In una di quelle occasioni, Guido fece sapere a Roman che aveva pubblicato un romanzo.
«Mi piacerebbe che fosse tradotto in romeno» aveva buttato lì.
«Come no? Farò il possibile» aveva promesso Roman.
Da parte sua aveva cominciato a proporre a Guido di pubblicare sul giornale alcuni comunicati. Riguardavano per lo più iniziative culturali dell’Accademia di Romania.
Adriana, compiacente, interveniva: «Oh, il comunicato lo scrive Guido. Lui sa come si fanno queste cose>> poi rivolta a lui, con un sorriso disarmante, concludeva: «Vero, Guido?».
Il giorno dopo Adriana veniva per ricordargli, simpaticamente, il comunicato. Dava a Guido tutti gli elementi e lui lo buttava giù davanti a lei. Una volta gli aveva forzato la mano per aggiungere a un comunicato una postilla di politica estera.
«Me l’ha chiesto Roman… gli farebbe piacere» e Guido, pur titubando, aveva eseguito.
Solo ora Guido si rendeva conto delle piccole prove a cui lo sottoponevano. Non era stato messo sull’avviso neppure dalla telefonata che Roman gli aveva fatto per ringraziarlo quando il comunicato, poi, era uscito nella sua interezza. 
«Sai» gli aveva spiegato «la Romania, per il suo strappo da Mosca, ha bisogno di una opinione pubblica favorevole, soprattutto in occidente».
Guido, semplicemente, era contento del piacere che era riuscito a fare a un amico. 
Nel frattempo, con la scusa del viaggio la cerchia delle sue conoscenze romene s’era allargata al responsabile dell’ente turistico, Emil. Un giorno questi gli aveva telefonato chiedendogli di mettere a disposizione una copia del suo romanzo. Evidentemente Roman gliene aveva parlato. Emil sarebbe venuto a prenderlo con uno scrittore romeno che avrebbe provveduto a tradurlo. Gli aveva dato appuntamento all’uscita del giornale. Quel pomeriggio Guido era sceso prima, impaziente. Aveva atteso il direttore dell’ente turistico e lo scrittore per molto tempo. Era pronto ad andarsene quando li aveva visti arrivare trafelati, scusandosi del ritardo. Avevano fretta. Avevano preso il libro e se ne erano andati. Guido, perplesso, li aveva guardati  allontanarsi. Non aveva potuto chiedere nulla allo scrittore, se era poi davvero uno scrittore quello. Era un uomo alto, sui 35 anni e non aveva neppure avuto la prova che parlasse italiano. Che razza di traduttore sarebbe stato? Solo più tardi Guido aveva immaginato che quella copia del romanzo era una pezza di appoggio, una sorta di accredito, che serviva per giustificare la spesa che avrebbe comportato al Ministero del Turismo il suo viaggio.
Finalmente Adriana gli aveva comunicato la data della loro partenza. Sarebbe stata a fine settembre. Per l’occasione c’era stato un nuovo incontro con il direttore dell’ente turistico, nel suo ufficio romano, vuoto, desolato, con le scrivanie polverose. I fasti del Turismo occidentale in Romania della fine degli anni Sessanta e Settanta erano decaduti con la crisi energetica che, in quella metà degli anni Ottanta, attanagliava il Paese. Con Guido c’erano pure Adriana e Roman. Si era tracciato un programma di massima. Una settimana a Bucarest. Gli avrebbero fatto incontrare scrittori, visitare la clinica geriatrica della dottoressa Anna Aslan, conoscere esponenti della televisione.
Dal retroufficio Emil aveva tirato fuori un paio di bottiglie di vino romeno e bicchieri di plastica. Fino a quel momento, nel locale non era entrato nessuno, salvo una ragazza che era venuta a chiedere informazioni. Emil, direttore e ormai unico impiegato, gli aveva consegnato vecchi e superati depliants sparsi confusamente sulle scrivanie. Dopo di lei non s’erano affacciate altre persone. Passarono così un paio di ore, bevendo e chiacchierando in amicizia. Ma con uno scopo educativo. I romeni avevano preso a parlare a Guido del loro paese, anticipando le possibili obiezioni – le solite che si usavano porre sulla vita nei paesi comunisti – con spiegazioni che lasciavano credere a una società in cui forse mancavano i beni di consumo più effimeri, ma dove i servizi sociali primari erano stati risolti. Non nascondevano le difficoltà economiche che il paese affrontava.
«Ma esse» aveva affermato con orgoglio il console «sono il prezzo che dobbiamo pagare per la nostra indipendenza da Mosca».
«Solo certi giovani» aveva aggiunto Emil «le ragazze soprattutto, pensano che in occidente si sta meglio e vanno con i turisti con la speranza di trovare un marito che le porti via. Ma sono una minoranza».
Poco più tardi, però, in un momento in cui Guido s’era trovato a tu per tu con lui, si era sentito dire con complicità virile: «Sai quante ragazze troverai lì?» 
Quel giorno Guido aveva consegnato il passaporto a Roman che avrebbe provveduto per il visto di ingresso. Si era sentito un privilegiato. Gli eventuali altri turisti per il visto avrebbero subito una trafila che a lui era risparmiata
La partenza, pur non data per certa, era stata prevista per la settimana dopo. Le assicurazioni erano tali da lasciare Guido tranquillo. Tra l’altro, il passaporto con il visto e il biglietto aereo avrebbe dovuto portarli Adriana, che sarebbe naturalmente partita con lui, direttamente all’aeroporto. Doveva solo attendere la comunicazione del volo. Ma a due giorni dalla partenza ancora non gli era stata data nessuna conferma. Una certa discrezione, visto che il viaggio e il soggiorno erano gratuiti, tratteneva Guido dal telefonare. Era certo, comunque, che sarebbe stato avvertito per tempo. Ma sua moglie giudicava strano il loro comportamento.
«Ti stanno prendendo in giro» lo aveva criticato «e intanto ti usano per scrivere quei loro comunicati. Fatti almeno pagare…».
«Figurati! Per quelle poche righe» aveva risposto Guido irritato.
«È una furba quella là» aveva ribattuto Stella, che ormai pensava ad Adriana con fastidio «Non verrà a letto con te, ma sa come mettere gli uomini ai suoi piedi. E lo sa pure il tuo console. Per questo la porta sempre dietro… Ti comprano con una cena, mentre noi abbiamo bisogno di soldi per vivere. Tra poco avremo un bambino...».
«Mi comprano? Ma cosa dici!» aveva reagito Guido irritato «Certe cose non te le dovrei neppure raccontare. Ecco, le giri poi sempre a modo tuo».
Stella aveva riso sarcastica.
«Voglio proprio vedere questo viaggio. Sempre se si farà…»
«Ma qui parliamo di un console, di un viaggio ufficiale, mica di gente incontrata per caso per strada>> aveva affermato lui con una convinzione che in cuor suo sentiva debole.
Alla vigilia del giorno previsto per la partenza ancora nessuno s’era fatto vivo. Nel pomeriggio Guido aveva cominciato a cercare Adriana, a casa, per telefono. Non rispondeva. Che fosse partita da sola? Aveva continuato a telefonarle per tutta la sera, sempre più impaziente. Ogni volta che abbassava il telefono, imprecava. Stella lo guardava trattenendosi dall’esprimere qualsiasi commento. Aspettava la sua sconfitta finale.
Finalmente, dopo mezzanotte, Guido era riuscito a trovare Adriana.
«No, domani non si parte» lo aveva gelato, il tono della voce infastidito, però come se fosse arrabbiata con qualcuno che non era lui «Ci sono stati dei contrattempi, la data è stata rinviata».
«Ma perché non mi hai avvertito?».
«Non ho avuto il tempo» gli aveva risposto seccamente.
Stella, già a letto, pur semiaddormentata, aveva preso la sua rivincita.
«Che t’avevo detto?» aveva farfugliato.
Guido s’era rifiutato di risponderle. Aveva stentato, poi, ad addormentarsi, arrovellandosi sui motivi di quel rinvio. Alla fine aveva concluso che era dovuto solo a qualche impegno improvviso di Adriana con uno dei suoi amanti.
La partenza comunque era avvenuta un mese più tardi, con l’inverno alle porte. A stagione turistica bassa. Bassissima. E se il rinvio del viaggio fosse stato motivato dall’esigenza di arrivare a prezzi di viaggio e soggiorno ancora più stracciati? Era più che possibile.
Il passaporto di Guido, nel frattempo, era rimasto sempre in mano a Roman. La mattina aveva salutato Stella con un sorriso di soddisfazione che chiudeva la loro contesa. Stella si era raccomandata solo di fare il bravo. La fama delle ragazze dell’Est che si vendevano per un profumo o un paio di calze era diffusa.
Poi Bucarest, l’aeroporto dimesso, odori stagnanti... Guido ricordava quell’arrivo come l’ingresso in un tunnel grigio, sordido.
Un funzionario del Ministero degli Esteri era lì ad aspettare lui e Adriana. Il funzionario si chiamava Ion. Ad Adriana aveva offerto un mazzo di fiori in segno di benvenuto. Crisantemi. In Romania non hanno il significato lugubre che hanno in Italia. Ion e Adriana si conoscevano. L’uomo l’aveva salutata in maniera affettuosa ma compassata. Lei invece si era dimostrata molto espansiva, quasi chiassosa, come se avesse voluto esibire a chi stava intorno la sua amicizia con lui.
Ion aveva condotto Guido e Adriana al controllo doganale. Era un tipo alto e magro, elegante. Indossava un cappotto di lana pettinata allacciato alla vita da una cintura della stessa stoffa, la cravatta di seta, i guanti di pelle raccolti in pugno, il cappello di feltro. Aveva uno sguardo sornione e un pallido sorriso ironico da uomo vissuto che dava sicurezza, un’aria molto francese che contrastava con l’esuberanza anche fisica di Adriana. Era arrivata con addosso una pelliccia di visone aperta sopra un vestito rosso attillato, corto. Il ticchettio delle sue scarpe risuonava sul marmo del pavimento. Come se, in quel grigiore circostante, non bastasse la sua esibita avvenenza di stampo occidentale a focalizzare lo sguardo di tutti.
Guido e Adriana risultavano appetibili. Senza la protezione di Ion, alle loro spalle, sarebbero stati costretti a regalie per non pagar dazio. Il finanziere, una giovane donna in divisa, aveva aperto le valige e dato un’occhiata avida a un paio di stecche di sigarette italiane che Guido s’era portato dietro, rigirandole fra le mani come se volesse trattenerle. Aveva obiettato qualcosa in romeno e, ad alcune parole di Ion, le aveva rimesse dentro.  Esclamazioni di stupore avevano suscitato invece le valigie di Adriana. Contenevano il ben di dio del capitalismo più sfrenato, biancheria intima sexy, calze, profumi. La curiosità aveva richiamato l’attenzione di altri finanzieri, ma l’intervento deciso di Ion aveva chiuso, con le valige, ogni ulteriore indugio e possibile prevaricazione.
Guido e Adriana erano stati accompagnati direttamente alla sala VIP. Li attendeva una ragazza carina, biondina, vestita tutta di bianco, comprese le calze di pizzo un po’ grossolano. Nina. Era l’interprete mandata dal Ministero del Turismo. Si era rivolta solo a Guido, senza degnare Adriana di uno sguardo. Doveva avvertire, come un’offesa, il peso di quella mise eccessiva che contrastava con la sua modesta, presunta eleganza. Aveva dato il benvenuto in un italiano quasi privo di accento: lo parlava molto meglio di Adriana che pure viveva in Italia. La ragazza aveva offerto a Guido, come dono, un prodotto artigianale locale di legno, un piatto intarsiato con alcune figure in costume tradizionale. Era da poco passato mezzogiorno. Nina aveva proseguito annunciando il programma per le prossime ore, nel quale non era presa minimamente in considerazione Adriana. Quest’ultima, evidentemente irritata dal suo comportamento, aveva rimproverato in romeno la ragazza, in un modo che, dal tono, Guido aveva percepito essere aspro. Era nato un piccolo battibecco tra le due donne, durante il quale Ion si era guardato bene dall’intervenire.
«A me, al Ministero» aveva detto Nina a uso e consumo di Guido «non hanno parlato della signora».
Quindi aveva chiesto a Guido di attenderla qualche minuto, perché andava a vedere per la macchina che li doveva accompagnare all’albergo. Era sparito per un po’ anche Ion. Entrambi dovevano essere andati a chiedere lumi ai rispettivi ministeri per la linea da tenere. Era quello, infatti, uno scontro di competenze tra il Ministero del Turismo e degli Esteri. La contesa riguardava l’ospitalità di Adriana che il Ministero del Turismo non aveva considerato, anche perché prevedeva per Guido l’alloggio al più lussuoso albergo di Bucarest, l’Athene Palace. E Adriana, pur avendo famiglia a Bucarest, la madre addirittura, non ci voleva rinunciare. Amava vivere nel lusso e non avrebbe tollerato di trascorrere quella settimana nelle ristrettezze della casa d’origine.
Rimasti soli, Guido, confuso e quasi pentito di quel viaggio irto di continue contrarietà, improvvisamente tutt’altro che tranquillo nel trovarsi solo a migliaia di chilometri da casa, in quella terra straniera, con il gelo e il grigio meridiano che premevano contro la vetrata della trascurata saletta VIP, aveva sentito Adriana criticare aspramente Nina.
«È una ragazza maleducata e impertinente».       
Alla fine l’ospitalità di Adriana era passata a carico del Ministero degli Esteri. In fondo lei era venuta in Romania per lavoro, come accompagnatrice di Guido. Si sarebbe dedicata a lui nel tardo pomeriggio e la sera. Con Nina, in giro per le poche attrazioni di Bucarest, Guido avrebbe trascorso la prima parte della giornata, fino all’ora di pranzo o, al massimo, al primo pomeriggio.
Nina lo veniva a prendere la mattina direttamente in albergo, con macchina e autista. L’Athene Palace era frequentato da uomini d’affari occidentali e, soprattutto, dei paesi arabi. Guido li vedeva trascorrere il loro tempo nelle grandi sale dell’albergo, sempre in compagnia di belle ragazze che stazionavano nei salottini. Quest’ultime gettavano anche a lui occhiate adescatrici, indifferenti al fatto che si trovasse in compagnia di Nina, la quale, indispettita dalla loro petulanza, tirava via Guido senza fare commenti. Ma il fenomeno era troppo evidente per non parlarne.  Così, dopo un paio di mattinate trascorse insieme per musei, ormai entrati in confidenza, evitata l’imbarazzante presenza dell’autista che li accompagnava, Nina aveva preso ad aprirsi.
«Sai, la vita qui è dura per tutti noi. E quelle ragazze cercano di arrangiarsi come possono».
Che la vita lì fosse dura Guido se n’era reso conto quasi subito. Se l’albergo sfolgorava di luci e il cibo era di vasta scelta, con menù di alta cucina, la città appariva misera. I negozi erano vuoti, i mercati rionali vendevano solo mele, null’altro. Nella morsa della crisi energetica, quando calava il buio, le strade erano prive di illuminazione, nei negozi brillava tutt’al più una lampadina di pochi kilowatt. La televisione trasmetteva programmi solo per due ore al giorno. I riscaldamenti, pur con quel freddo che si avvertiva soprattutto la sera, erano razionati.
«Mangiamo quello che c’è e ci mettiamo a letto presto» raccontava Nina «Guardiamo la televisione da sotto le coperte, l’unico posto un po’ caldo. Ma la tv finisce presto, così sono riuscita a comprarmi, al mercato nero, un videoregistratore  e dopo guardo qualche film in cassetta, se riesco a procurarmene una».
«Te ne manderò un pacco dall’Italia» si era offerto Guido.
«Grazie. Ma è inutile: non mi arriverà mai. Lo aprirà qualcuno prima di me, alle poste o alla polizia».
«Non ti resta che venire in Italia» aveva proposto lui «Quando ci sei stata l’ultima volta?».
«Non ci sono mai stata» gli aveva risposto Nina.
«Mai? Parli così bene l’italiano!».
«L’ho imparato qui. C’è una buona scuola per interpreti. Ma a noi è proibito uscire dal paese».
«Ma Adriana lo fa».
«Lei va e viene. Ma è protetta» aveva affermato sprezzante la ragazza.
Con molta cautela, a un certo momento Nina gli avrebbe rivelato che Adriana era del giro delle donne di Nico, il figlio di Ceausescu.
Accanto a Nina cresceva il disappunto di Guido per quel paese, quel regime. Cominciava a interessarsi di più lei. Un giorno dopo l’altro la trovava più dolce e più bella. La sua vita povera lo aveva convinto a invitarla a pranzo in albergo. Così avrebbe mangiato qualcosa di più sofisticato delle solite minestre che dovevano costituire i suoi pasti.
«Oh, grazie, ma non so se posso accettare…» si era morsa le labbra, tentata «Se vengono a sapere al Ministero… e lo vengono a sapere!».
«E allora? Di’ che ho insistito, che se no mi sarei offeso» Guido si sentiva battagliero e questa insistenza aveva convinto Nina.
Avevano pranzato insieme. Lei aveva dato fondo alle sue voglie, fino al dolce. Guido era contento per lei. Gli sembrava di averla strappata alla fame. Grata, Nina gli aveva voluto quasi baciare la mano. Quel giorno si erano salutati, per la prima volta, con un abbraccio. Ed era  dispiaciuto a Guido vederla andare via, quasi fuggire. Avrebbe voluto che rimanesse con lui. Ma non poteva. Doveva passare alle cure di Adriana e Ion.   
Con loro, la seconda parte della giornata assumeva aspetti diversi. Avevano fatto insieme le visite promesse, all’Associazione degli scrittori, incontrandone una delegazione, e all’ente televisivo, dove a Guido era stato presentato addirittura il presidente. Con quest’ultimo avevano parlato del progetto di fare uno sceneggiato sul conte Dracula. Ciò che sembrava stare a cuore in particolare ai romeni era la terra del conte Dracula, la Transilvania. La leggenda che lui beveva il sangue delle sue vittime era falsa, era venuto a sapere Guido. In realtà si trattava di un principe romeno, Vlad III, che aveva combattuto contro i turchi fermando l’espansione dell’Impero Ottomano in Europa. Adriana era quella che parlava più di tutti, ascoltata per il suo charme, ma anche per il tono scontato che dava alla realizzazione del progetto, a cui sembravano aderire tutti con una leggerezza che al momento non sorprendeva Guido.
Invece ciò di cui doveva preoccuparsi, ma lo capiva solo ora, era quell’insistere sulla Transilvania, la sua affermazione di regione romena. Del conte Dracula a loro non importava nulla… 
La sera poi andavano in alcuni ristoranti esclusivi. I clienti erano rari, per lo più ancora arabi, quasi tutti uomini. Il servizio era eccellente. I camerieri erano in divisa e di alta scuola. Guido era sorpreso soprattutto della discrezione con cui versavano il vino e con la quale cambiavano il posacenere, cosicché i bicchieri erano sempre pieni e il posacenere pulito.
A tavola Ion era per lo più silenzioso. La conversazione era tenuta in gran parte da Adriana, che aveva preso a raccontare delle sue esperienze con gli uomini italiani. Il suo pensiero però andava spesso a uno di essi, tale Ugo, che a suo dire, era follemente innamorato di lei. Era disposto a sposarla, se non fosse che già aveva moglie, la madre dei suoi figli. Era soprattutto per quest’ultimi che rinviava sempre la decisione. Intanto avanzava richieste sessuali alle quali lei, per amore, obbediva.
«Vuole che quando scendo dalla macchina allarghi le gambe e mi mostri... senza mutandine» raccontava, facendo così alzare la temperatura della serata.
Guido e Ion fingevano un ascolto del tutto naturale, salottiero, come se Adriana parlasse del tempo.
La lunga giornata finiva al bar dell’albergo. Guido aveva la sensazione che dopo Ion salisse in camera da lei, perché, al momento della buona notte, non lo vedeva mai andare via. Una sera, rientrando, era capitato che Adriana aveva proposto di andare a bere nella sua camera. Ampia e ben arredata, con mobili d’epoca come tutto l’albergo, era simile a quella di Guido. C’erano il letto matrimoniale, l’armadio e un paio di poltrone. Per ospitalità Guido era stato fatto accomodare su una di queste, mentre sull’altra Ion aveva insistito, per cavalleria, che fosse Adriana stessa a sedersi. Lui si era sistemato sul letto. Ma era rimasto così solo per un po’. Poi, divertito, aveva deciso addirittura di sdraiarsi, con tutte le scarpe.
«Sono stanco» si era scusato, confermando un po’, con quella sorta di famigliarità, i sospetti di Guido.
Era anche tardi, ormai. Adriana aveva tirato fuori una bottiglia di zuica e avevano preso a bere. Ma lei invece di rimettersi seduta sulla poltrona, si era piazzata sul letto, ai piedi di Ion. Guido le aveva notato la camicetta più sbottonata, i seni sempre più in vista, la gonna che risaliva sempre più sulle gambe. Aveva cominciato a provare imbarazzo. L’atmosfera era cambiata. Gli era sembrato improvvisamente di essere un intruso. Non sapeva cosa fare. Anche perché i due, Ion e Adriana, avevano preso ad alternare all’italiano frasi in romeno, a scherzare, almeno dal tono, tra loro.
«Certo che trovarmi in una camera d’albergo con due uomini e non fare nulla, non mi è mai capitato» aveva detto Adriana a un certo momento, facendo ridere Ion, che  aveva pronunciato qualcosa in romeno.
Adriana subito dopo aveva allungato una mano per tirargli giù la lampo dei pantaloni. Ion era già eccitato, con l’uccello che emergeva dalla fessura dei boxer e che la donna aveva preso subito a maneggiare con esperienza. Poi, quando fu rigido, gli era andato sopra con la bocca. Adriana teneva le cosce larghe sotto gli occhi di Guido come doveva fare con Ugo, quando scendeva dall’auto. Oltre il bordo delle calze autoreggenti s’intravedevano le mutandine. Rosse. Di pizzo. Guido non sapeva come comportarsi, tra il sordo impulso di andarsene e l’attrazione che gli procurava la scena. Non poteva certo restare indifferente. Era eccitato, ma un certo pudore lo tratteneva da qualsiasi gesto di partecipazione. Si limitava a guardare, avido, ipnotizzato da un sesso così esplicito come se si trovasse sul set di un film pornografico. Ion socchiudeva gli occhi e mormorava qualcosa, con le mani nei capelli di Adriana. Poi lei, ormai discinta e accaldata, toltesi le  mutandine, si era sistemata a cavalcioni sul ventre dell’uomo. A quel punto aveva chiamato Guido.
«Avvicinati» gli aveva detto.
Ma Guido era come stordito e aveva tardato a comprendere l’invito.
«Vieni qui» gli aveva ripetuto lei, e Guido, con lo spirito di un automa poco consapevole, si era alzato dalla poltrona per avvicinarsi a lei, fermandosi in piedi al bordo del letto.
Adriana aveva allungato la mano verso il suo ventre, tastandogli la protuberanza e, quindi, cercando di tirargli giù la lampo. L’operazione, forse per un intoppo causato dalla camicia infilata malamente nei pantaloni, aveva presentato qualche difficoltà, provocando un moto di impazienza nella donna. Quella reazione aveva avuto il potere di scuotere Guido, facendogli sentire tutto l’imbarazzo della situazione. Così era stato lui a mettere mano alla lampo, ma, invece di tirarla giù, l’aveva richiusa del tutto.
«Ci vediamo domani» aveva annunciato «Vi lascio soli, è meglio» e aveva raggiunto l’uscita.
«Resta, stupido!» lo aveva rimproverato Adriana, anche se non aspramente «Ti divertirai».
Mentre usciva, Guido aveva udito Ion mormorare qualcosa in romeno ad Adriana. Richiusa la porta, si era precipitò nella sua camera. Si era gettato a letto confuso nei sentimenti, eccitato e pentito di essersene andato e pur tuttavia contento, perché sentiva le giuste ragioni del suo gesto.
Si era addormentato tardi, con un senso di irrealtà addosso, con negli occhi le immagini oscene di Adriana e Ion...
Ora, davanti alla porta di casa, si diede dell’imprudente. Perché già allora, con quell’invito a salire in camera di Adriana, Guido avrebbe potuto essere in grado di intuire la trappola che gli stavano preparando. O era il senno del poi, ora che le carte erano state scoperte, che gli rendeva chiaro il disegno?
La mattina dopo Guido non aveva potuto trattenersi dal raccontare l’episodio a Nina. Aveva bisogno di una persona amica con la quale sfogarsi. Lei lo aveva ascoltato divertita e scandalizzata insieme.
«Te l’ho detto che razza di donna è quella!» aveva commentato sprezzante.
Guido aveva stretto a se Nina. Si trovavano nel bel mezzo di un parco, vicino a Bucarest, in cui erano rappresentate case di legno contadine delle varie regioni della Romania. Si chiamava “Herastrau”, il Museo del Villaggio. L’autista era rimasto in macchina. Quando si erano trovati soli all’interno di una delle case di legno, Guido aveva baciato Nina sulla bocca. Le scene di sesso della sera prima avevano covato sotto pelle voglie represse. E Nina si stava rivelando docilissima.
«Non voglio che pensi male di me» si era giustificata abbassando gli occhi, dopo che si erano staccati.
«No, tu sei un’altra cosa» le aveva risposto lui, volendo distinguerla da Adriana.
Camminando per le stradine di “Herestrau” avevano scoperto un uomo, con addosso un giubbotto di pelle nera, che li seguiva in modo quasi plateale.
«Ma guarda che roba!» aveva esclamato Nina, tirando Guido per il cappotto per fargli affrettare il passo e allontanarsi in fretta dall’uomo, chiaramente una spia della Securitate.
Una apparizione, quella, che serviva solo a fargli credere che gli uomini della Securitate, oltre che incombenti, erano riconoscibili, e tutte le altre persone, come Nina, quindi, sicure e affidabili? si domandò ora Guido.
Al ritorno in albergo, aveva trovato un biglietto di Adriana in cui lo informava che quel giorno non si sarebbero potuti vedere perché era il compleanno della madre e le aveva promesso di passare la serata con lei. Che strana tempestività! Valutò adesso Guido alla luce di quanto poi era accaduto tra lui e Nina. Ma potevano essere così diabolici da prevederlo? Certo, se avevano le informazioni giuste. L’uomo della Securitate a “Herestrau”? Oppure, semplicemente, Nina era d’accordo con loro… Sta di fatto che, letto il biglietto di Adriana, Guido aveva accolto quella notizia come una liberazione. Allo stesso modo di Nina che, quel pomeriggio, dopo aver pranzato con lui, era salita nella sua camera. Per capire quanto lei fosse consapevole, complice o meno, doveva ripassare bene nella sua mente i momenti precedenti alla sua salita in camera. Ricordava il tocco dolce delle sue mani.  I suoi occhi blu che lo guardavano teneramente. Seduttivi? Certamente grati per quel nuovo, ricco pasto che le aveva offerto. Poteva anche aver voluto ricambiare per pura gratitudine, con l’unica cosa di cui poteva disporre: il corpo. Od obbediva a un piano, anzi al piano? Tutto era avvenuto quasi senza parlare, come per un tacito accordo, una comunione di sensi, tra loro. Nina era salita in camera e si era lasciata spogliare. Il primo amplesso era stato serio e passionale, i successivi, per la felicità di quell’incontro e la maggiore conoscenza dei loro corpi, si era trasformato in divertimento. Nina s’era messa a giocare con Guido fingendo, per celia, di essere Adriana, prendendolo come lei aveva preso Ion, sedendosi a cavalcioni sui fianchi di lui, con le tette, giovani e piccole, non mature come quelle di Adriana, preda delle sue carezze. Si fecero, alla fine, la doccia insieme, con gioia.
«A casa» aveva confessato Nina sotto l’acqua, allacciata al fianco di Guido «abbiamo solo un catino».
Lui le aveva riempito il corpo di schiuma, spalmandogliela, indugiando tra le gambe mentre lei si gingillava con il suo membro. Non avrebbero smesso mai se Nina non avesse dovuto correre a casa prima che facesse buio e per non far preoccupare la madre, irraggiungibile telefonicamente per la scarsa diffusione del servizio. Questa era almeno la spiegazione. Guido neppure ora voleva pensare a una sorta di fine turno. Rimasto solo, soddisfatto, aveva pensato confusamente alla moglie, a Roma. Aveva rimosso subito qualsiasi senso di colpa. Anche nei confronti del bambino che stava per arrivare.Tutto sarebbe finito a giorni con la sua partenza da Bucarest.
Ma non doveva essere così, pensò Guido al cospetto della sua porta di casa. Tutto allora era cominciato. Anzi, per loro era il punto di arrivo… Sai le risate che si doveva essere fatta Adriana con Roman. Quel viaggio in Romania tirato per le lunghe, fatto sospirare come se fosse un premio… Quel mondo grigio, sordido, quella sensazione di essere spiati ovunque, gli uomini neri della Securitate. E poi magari la loro spia era proprio Nina. No, non ci voleva credere. Nina odiava quel suo paese di merda. Era stato lui, Guido, a farsi sotto con lei, così come era fuggito da Adriana. Non c’entrava Nina… A Stella però doveva dire che si trattava una spia mandata dalla Securitate per incastrarlo. Ma a te basta che si presenti una qualunque e la fai entrare nel tuo letto? avrebbe potuto obiettare. E lui cosa le avrebbe risposto? Un tradimento era un tradimento, al di là delle circostanze che potevano attenuare la colpa. Dall’altra parte c’era il ricatto di Roman. Dio mio, sperava solo nella comprensione di Stella. Perché le racconterai tutto, vero? Si volle convincere Guido. 
Forse... forse però era meglio tacerle quanto era accaduto il giorno dopo. L’ennesimo segnale non ascoltato. Un nuovo motivo per una ritirata che desse prova della sua intelligenza, se ne avesse avuto.
Il giorno dopo si era visto presentare un conto dall’impiegato dell’albergo. Erano circa 300 dollari.   
«Che cos’è?» aveva domandato Guido.
«Per la sua ospite, i pranzi…» gli aveva risposto scivoloso l’impiegato.
Il conto era chiaramente gonfiato. Equivaleva, poco meno, a quanto Guido guadagnava mensilmente con le sue collaborazioni al giornale. Il suo contributo al mantenimento della famiglia. Era troppo alto. Guido aveva immaginato che quello doveva essere il prezzo della loro complicità, come doveva accadere con le ragazze che giravano per la hall... Fin lì, con un modesto esercizio di furbizia imparato sul campo di un paese straccione e corrotto, arrivava la sua analisi. Ma Guido non era disposto a pagare tanto. D’altra parte, se non pagava subito non era escluso che, prima della sua partenza, non gli presentassero altri conti. Doveva cercare di trattare il più possibile. L’aveva messa sull’ufficiale.
«Non dispongo della somma, in questo momento. Il mio soggiorno è del tutto gratuito» aveva spiegato «O meglio, a carico del Ministero degli Esteri e del Turismo».
«Non per gli extra» gli aveva risposto l’impiegato con un sorriso ambiguo, ma il tono della voce insistente «Può darci intanto un anticipo».
Era meglio pagare, aveva riflettuto infine Guido. Piuttosto che avere strascichi. Doveva restare in quell’albergo ancora per un paio di giorni e potevano disturbarlo con qualche piccola rappresaglia. Aveva dato all’impiegato cento dollari, che quello aveva accettato seppur con sufficienza.
«Non ho di più» si era giustificato Guido, come se fosse colpevole di quella mancanza.
Ma era pure irritato, per quel senso di impotenza che gli impediva di far valere le sue ragioni. Sembrava incredibile che si trovasse nell’albergo più esclusivo di Bucarest. Appena aveva potuto, nella ormai acquisita intimità che aveva raggiunto con lei, aveva raccontato l’episodio a Nina.
«Che cosa?» aveva reagito lei «Come si è permesso? Ha parlato di extra. A parte il fatto che io non sono un extra>> gli aveva sorriso «vero Guido? Mi vuoi bene, almeno un po’… dillo!»
«Sì, ti voglio bene» aveva risposto lui, sentendolo davvero in quel momento.
Nina lo aveva accarezzato.
«E poi era previsto che il Ministero pagasse anche gli extra».
«Quale Ministero?» aveva domandato Guido, a questo punto divertito.
«Il Ministero degli Esteri. Se ti presentano ancora il conto, dillo ad Adriana… Ci penserà lei, con Ion. Tu non pagare più>> e ciò dicendo si era stretta a lui.
Quel giorno sarebbero andati a visitare la clinica della dottoressa Aslan.
«Forse riuscirai anche a parlare con lei» gli aveva annunciato Nina, venendo incontro così alla esplicita richiesta di Guido di intervistare la grande scienziata.
E infatti venne accontentato. Con Nina era stato introdotto nel suo studio. Avevano atteso un po’, quindi Anna Aslan era comparsa. Era anziana, ma magra e scattante. Vestiva un tailleur di Chanel melange, sul marrone, e una camicetta di seta pura. Aveva voluto premettere, nella conversazione tradotta da Nina, che erano quindici anni che non concedeva interviste e che quella eccezione la faceva solo per la testata che Guido rappresentava. Si era messa poi a parlare della sua teoria sulla vecchiaia, che si poteva allungare semplicemente intervenendo sulla prevenzione delle malattie tipiche della terza età. Senza quelle malattie il corpo, l’organismo, restava efficiente, indipendentemente dagli anni.
«Il corpo umano è programmato per vivere 120 anni» aveva affermato.
E il Gerovital, di sua invenzione, contribuiva allo scopo. Ma, naturalmente, anche il moto e l’alimentazione erano importanti. Sosteneva però l’uso di una dieta che non fosse deprimente. Aveva esaltato i suoi Centri Felix, com’erano chiamate le sue cliniche sparse per la Romania. I costi  forse erano alti per i romeni, disse, ma non per gli italiani e gli occidentali in genere.
La valente geriatra aveva saputo cogliere l’occasione per farsi promozione.
La sera, quando Guido aveva rivisto Adriana e Ion, era come se tra loro non fosse successo nulla. Si era cenato insieme e, quando, per una breve assenza del funzionario, Guido si era trovato a tu per tu con Adriana le aveva confidato la richiesta dei 300 dollari da parte dell’albergo. Lei, senza chiedere spiegazioni,  aveva mostrato sorpresa, anzi indignazione. Come si erano permessi? Avrebbe provveduto lei a fargli restituire i soldi. Ne avrebbe parlato con Ion. Così era avvenuto. Già il giorno successivo, vigilia del ritorno in Italia, Adriana aveva comunicato a Guido che aveva già con se i dollari che il Ministero degli Esteri aveva provveduto a restituire. Glieli avrebbe consegnati quanto prima.
L’ultimo giorno, Guido aveva trascorso la mattinata con Nina, a letto. Lei era quasi angosciata per la sua partenza. Si era innamorata di lui, diceva, e non sapeva come avrebbe fatto a continuare a vivere lì, in quel paese senza futuro. Aveva pianto. E Guido non aveva potuto fare altro che stringerla a sé e amarla con dolce passione. Avevano fatto l’ultima doccia insieme. Nina gli aveva detto di non avere la forza di accompagnarlo all’aeroporto per vederlo andar via. Se n’era andata dopo averlo lasciato giù nella hall, dove Adriana e Ion lo aspettavano già in macchina. Durante il percorso dall’Athene Palace all’aeroporto, Guido non aveva detto una parola. Con una certa malinconia guardava, oltre i finestrini, le strade che aveva attraversato con Nina. Tra queste, il grande viale che portava al palazzo di Ceausescu e che doveva obbligatoriamente svuotarsi di traffico, sebbene già scarso, negli orari canonici in cui il Conducator arrivava o usciva con il suo corteo di macchine per tornare nella sua residenza privata, vale a dire quattro volte al giorno.
Arrivati a Roma, Adriana si era guardata bene dal restituire i dollari del rimborso. Nè Guido aveva avuto la faccia tosta di chiederglieli. Non se ne era curato più. In fondo s’era limitato a pagare solo cento dollari. Ma d’allora, la pressione di Roman nei confronti di Guido si era fatta più forte. Ormai gli chiedeva apertamente di far pubblicare alcuni articoli veri e propri, non più semplici comunicati, sulla politica romena. Roman gli consegnava testi grondanti retorica, che Guido sistemava a fatica. Gli era sempre più difficile accontentarlo. Ormai incontrava Roman con una certa preoccupazione.
Poi l’epilogo...
Solo un paio di giorni prima, il console aveva chiamato Guido per chiedergli di intervistare un personaggio romeno importante. Era arrivato nella capitale il Direttore Generale delle Antichità in Romania, Mircea Ionescu, presidente onorario della Unione Accademica Internazionale, che raccoglieva gli studiosi di tutto il mondo dell’Antica Roma. Si trattava di uno dei massimi esperti di storia romana. Guido aveva giudicato la cosa  interessante. L’intervista alla dottoressa Aslan era uscita addirittura con lo strillo di prima pagina. Le era stato dedicato uno spazio ampio. Guido pensava di fare un altro colpo del genere. Ma, l’aveva capito solo ora, l’intervista alla Aslan da lui tanto voluta, era stata la moneta di scambio. 
L’incontro era avvenuto in una stanzetta dell’Accademia di Romania. L’atmosfera era stata subito cordiale. Guido era stato presentato come un giornalista importante e amico. L’esimio professore lo aveva trattato come tale. A restare con loro, intorno allo stesso tavolo, c’erano sia Ion che un paio di consiglieri d’ambasciata. Guido non aveva mai fatto un’intervista così affollata. Era come se si controllassero a vicenda. Guido aveva cominciato a porre le domande che si era preparato sullo stato degli studi latini in Romania. Ben presto però, il professore aveva deviato dagli argomenti di sua competenza per affrontare, in chiave storica, la sua chiave, la questione della Transilvania, rintuzzando le pretese rivendicative degli ungheresi. Da una ricerca seguita all’intervista, Guido però aveva appreso che gli ungheresi avevano ragione. Nel 1920 il comunista ungherese Bela Kun, nativo di Szilàgycseh, in Transilvania, aveva fondato qui la cosiddetta Repubblica dei Consigli, di carattere bolscevico. Per spazzarla via le potenze occidentali dell’epoca avevano armato l’esercito romeno che aveva occupato definitivamente la regione. Ma il professore aveva fatto passare il tutto come una riappropriazione di territori romeni.
«So che lei preparerà per la nostra televisione» aveva sorriso compiaciuto a Guido «uno sceneggiato sui principi Vlad II e III, eroi romeni, non a caso della Transilvania, già a quel tempo una nostra regione…»
Solo in quel momento era stato chiaro a Guido il senso di quella proposta di lavoro, peraltro  rimasta sempre ferma allo stato di intenzione. E quindi, anche, di quella intervista, in cui la storia della presenza e influenza latina in Romania, sulla quale s’era preparato, non c’entrava nulla. Si voleva soltanto approfittare del nome prestigioso del professore per affermare le verità ufficiali del regime di Ceausescu...
Non ci dovevano essere scappatoie. Tanto meno per Guido. Ci avevano tanto lavorato sopra da precludergli qualsiasi possibilità di scelta. O scriveva quella intervista, e così gli altri articoli a venire, o… Guido aveva ancora il gelo nelle ossa. Ma non doveva essere per il freddo. Era per la paura che lo aveva colto quando Roman, dopo avergli consegnato le foto, lo aveva minacciato con quella frase:
«Non vorrai che arrivino a tua moglie».
Anche la voce gli suonava diversa, metallica, in sintonia con il buio e il clima, le folate di tramontana. Di umano, di caldo, aveva solo il vapore dell’alito. 
«Vedrò cosa posso fare» aveva  farfugliato Guido, provando improvvisamente disagio a reggere le foto, non sapendo cosa doveva farne, se tenerle o restituirle.
Era come se scottassero. Le aveva passate con un gesto che gli era parso brusco a Roman. S’era accorto di stare tremando.
«Le puoi tenere>> gli aveva detto Roman «Abbiamo i negativi».
E gliele aveva restituite. Guido era rimasto impassibile, le foto in mano, la testa vuota. Si sentiva umiliato. Ma c’era in fondo anche una sorta di dolorosa delusione nei confronti di Roman. Il console se ne doveva esser reso conto, perché non aveva indugiato oltre. Aveva aperto lo sportello della sua Dacia e, un attimo prima di accomodarsi, lo aveva salutato mimando il vecchio tono amichevole.
«Ciao. E pensaci»
Incapace di proferire altre parole, Guido lo aveva visto andare via attraverso il velo di lacrime che aveva preso a scendergli sul viso. Aveva guardato ancora, smarrito, le foto. Una lacrima era caduta sulla schiena di Nina. Era stato raggirato. Preso da un improvviso moto rabbioso, aveva strappato le foto, che aveva gettato in un secchio vicino. Contro il quale si era ulteriormente sfogato mollando un calcio di stizza. Il rumore risuonò gonfio nel deserto piazzale dell’Accademia. Adesso che era solo, come se avesse compreso tutto in una volta il perfido piano ordito a sue spese, la rabbia si era impossessata di lui. Avrebbe dovuto reagire subito con Roman, prendendo a calci lui non il secchione, dirgli quello che pensava di lui, strappare le foto sotto i suoi occhi, per fargli capire che se ne infischiava del suo ricatto... 
Aveva raggiunto la sua macchina ed era partito. Non sapeva dove andare, cosa fare. Davanti a se aveva scoperto il baratro. Doveva scrivere quella maledetta intervista, continuare cioè con i ricatti di Roman, o tagliare di netto? Dove sarebbe arrivato? Dove sarebbero arrivati? Se non avesse fatto pubblicare l’intervista, Roman avrebbe fatto pervenire le foto a Stella. Gli avevano chiuso un cerchio intorno. L’unico modo per spezzarlo, se ne era reso conto via via che il tempo passava, era confessarle tutto, con qualche aggiustamento. Così quando avrebbe detto a Roman che quella intervista l’aveva buttata nel cesso perché aveva confessato a sua moglie il suo tradimento, quelle foto avrebbero perso il loro significato. Guido non avrebbe avuto più nulla da temere. Roman passava, sua moglie restava. Se avesse fatto il contrario, Roman non se lo sarebbe più tolto di mezzo. Stella avrebbe capito. Guido lo sentiva. 
Con questa convinzione era arrivato a casa. Le chiavi ora infilate nella serratura. In un lampo, prima di aprire, aveva corso tutta la sua avventura. Aveva da rimproverarsi solo la sua ingenuità. 
Aprì. Vide Stella venirgli incontro dal fondo del corridoio. Era mezza assonnata. Doveva essersi addormentata nell’attesa di lui. Che ora aveva fatto a girare per la città, a cercare una soluzione?
Doveva apparire un po’ teso, perché la prima cosa che Stella gli chiese fu:
«Cosa hai?»
«Nulla» rispose e si rese conto di aver abbassato subito gli occhi, di non avere il coraggio di guardare Stella nei suoi.
Alle narici, a un tratto, gli pervenne l’odore di un profumo. Guido s’allarmò. Paris! Inconfondibile. Adriana era stata lì. Perché? Che altro poteva esserci ancora? Temeva ormai ogni loro mossa. 
«Cos’è questo profumo?» domandò con precauzione, sordamente in difesa.
«Ah, è venuta quella donna, la romena» rispose Stella, senza acrimonia.
Anzi, sembrava esserne contenta.
«Adriana?» esitò Guido «E che voleva?»
«Niente... Ha portato i soldi che, ha detto, ti doveva...»
«I soldi?...Ah, sì...» ricordò i soldi dell’albergo di Bucarest.
«Cinquecento dollari» esclamò Stella con gli occhi che le brillavano.
«Cinquecento!» ripeté  Guido, stupito.
Questa volta guardò Stella, per assicurarsi che non si trattava di uno scherzo.
«Sì, e ha detto che altri cinquecento te li da il prossimo mese».
«Anche il prossimo mese, sei sicura?»
«Si? Veramente... mi è parso di capire che dovrebbe trattarsi di uno stipendio» sorrise
«Stipendio?»
«Guarda, ha usato questa parola... o non ne conosce bene il significato in italiano oppure...»
«Lo conosce, lo conosce… le parole che hanno a che fare con i soldi le conosce molto bene» commentò cupo Guido.
«Non sembri contento. Perché?»
Cosa doveva risponderle, senza dover confessare, come aveva pensato di fare, tutta la storia?
«Ancora non ci credo» prese tempo Guido, diffidente «Fammi vedere…».
«Come no, guarda» Stella si diresse verso la cucina, con il suo pancione che le faceva da apripista, seguita da Guido. Sul tavolo c’erano i biglietti verdi, che Stella raccolse e porse a Guido «Finalmente mi potrai portare una volta fuori a cena e, sopratutto, potremo comprare le prime cose per il bambino» disse contenta.
Lo spiazzava soprattutto quella gioia. Dirle tutta la verità adesso sarebbe stato ingiusto. Peggio, brutale. La vide atteggiare il viso a gattina amorosa.
«Ti chiedo scusa» la sentì dire.
Guido si sorprese. Semmai era lui che doveva farlo.
«E di che?» domandò.
«Per non aver avuto fiducia in te. Pensavo che ti facevi abbindolare. Invece…» Stella lo abbracciò forte. Guido avvertì la dolce pressione del suo pancione. Sentì che non poteva distruggere quella felicità. Non quella sera. Domani. Forse.


Diego Zandel
(n. 1, gennaio 2012, anno II)


* Tratto dall'antologia Omissis, a cura di Daniele Brolli, Einaudi, 2007.