Vitalie Sorbală, il destino spezzato di un romeno di Bessarabia

Nell’estate del 1962, mi accingevo a partire per Leningrado in cerca di fortuna presso quell’Università, per studiare italiano. Caso volle che notassi un annuncio sulla stampa, da cui appresi, con mia grande sorpresa e sollievo, che nell’Università di Chişinău veniva aperta una sezione di lingua spagnola. Così, diventato studente, studiai per cinque anni la lingua, la letteratura, la storia e la cultura della Spagna e del mondo ispanico. Per tutto il corso di studi il mio primo professore e in seguito titolare di cattedra e preside di facoltà fu l’indimenticato Vitalie Sorbală, un buon filologo e un grande romeno.[1]

Nel ricordare la personalità del professor Sorbală non si può non rievocare anche l’atmosfera politica di quei tempi.
Come ben si sa gli anni Sessanta erano pesantemente segnati dall’intensificazione della campagna ideologica del partito unico e i capi del cosiddetto «fronte ideologico» cercavano febbrilmente e disperatamente di tenere a freno la situazione di questa riserva sovietica chiamata RSSM, falsificando spudoratamente la storia del popolo romeno di Bessarabia. E il regime reagiva prontamente e senza discernimento contro ogni dissidenza, da qualsiasi parte essa provenisse. Sotto particolare osservazione erano tenuti gli ambienti intellettuali delle scuole superiori.   
Il professor Sorbală era un uomo capace di ascolto, sensibile, democratico, sempre preoccupato del destino della nostra terra, dei problemi della storia e della lingua. Appunto queste qualità e interessi erano bastanti al vigilante e onnipresente KGB, per porlo all’indice e tenerlo di mira, specialmente dopo il 1968, anno in cui partecipò al Congresso di Filologia Romanza a Bucarest, dove conobbe molti linguisti romeni e stranieri. Persecuzioni e vessazioni continuarono costantemente fino all’assurda ed enigmatica morte del Professore, avvenuta nel febbraio del 1979.
Posso testimoniare, senza falsa modestia, che sono stato forse l’unico studente su cui il Professore poteva contare con fiducia e con cui, in alcuni momenti propizi, discuteva, naturalmente in circostanze confidenziali, facendo commenti, scambi di informazioni e opinioni riguardo ai fatti del giorno. Voglio ricordare, in questo contesto, alcuni casi più significativi in cui fummo implicati.

Nel 1964, a Bucarest venne pubblicata un’opera di Marx sui romeni, una raccolta di scritti inediti custoditi nell’archivio di Amsterdam. L’edizione fu curata e presentata dal noto storico e accademico, professor Andrei Oţetea, con il titolo Însemnări despre Români [Note sui Romeni].[2] Naturalmente in URSS questo libro, benché fosse di Marx, non fu visto di buon occhio, poiché trattava alcuni temi tabù per i sovietici, perciò fu proibito. In quegli anni avevo a Bucarest un buon amico, anche lui studente di spagnolo, con cui ero in corrispondenza. Lo pregai, per lettera, di mandarmene una copia. Detto fatto. Nel marzo del 1965 l’amico di Bucarest me lo mandò, ma dopo oltre quarant’anni sto ancora aspettando ciò che mi apparterrebbe. Non servono particolari spiegazioni… Quando raccontai al Professore del libro, al di là dell’indignazione, mi disse che non bisognava dimenticare che vivevamo nella «Ţara Nelizia» (così si chiamava l’URSS in Occidente).[3]

Un altro caso accaduto, discusso e commentato con il Professore, fu questo: sempre nel 1964 appresi da Radio Europa Libera, che ascoltavo regolarmente, di un progetto sovietico che prevedeva di realizzare intorno al bacino del basso Danubio fino al delta, un complesso economico interstatale, che coinvolgeva tre stati – URSS, Romania e Bulgaria. Secondo questa idea, una buona parte del futuro complesso avrebbe interessato una determinata parte di territorio romeno, compresa la capitale del paese. La reazione da parte romena fu pronta e nettamente negativa, dovuta allo spirito del nuovo corso indipendente della Romania, adottato nella famosa Seduta Plenaria del partito del 24 aprile 1964. Il fatto mi interessò molto e nel luglio dello stesso anno, durante un viaggio turistico in Romania e in Bulgaria, acquistai un opuscolo, supplemento di una rivista economica romena, con la risposta, molto ampia, al piano sovietico, firmata dal più noto economista dell’epoca, il professor Costin Murgescu. Tornato a Chişinău fui curioso di conoscere meglio il progetto sovietico, esposto dal prof. E.B. Valev dell’Università di Mosca, nella Rivista dell’Università di Mosca, serie Geografia, n. 2, 1964. Consultai quella rivista presso la Biblioteca Repubblicana (oggi Nazionale) e ingenuamente sottolineai alcuni passi con la matita rossa e aggiunsi alcune note a margine. Non passò molto tempo e fui chiamato ad un incontro con un tale Garin del KGB, che aveva tra le mani, con mio grande stupore, la rivista con le mie sottolineature. Cosa ne seguì? Un pedinamento costante da parte «loro» e una raddoppiata prudenza da parte mia. La reazione del Professore fu molto calma: «Sta attento, i tentacoli della piovra sono onnipresenti».  

Un altro brutto caso capitò il 28 giugno 1965, a 25 anni dalla «liberazione» (leggi: occupazione). Centinaia di poveri studenti universitari e di altri istituti, tutti incolonnati, dovettero sfilare davanti ai presidi, per le vie della città fino al Lago municipale, andata e ritorno, manifestando, come disse il Professore con aria costernata, «la felicità per la liberazione». Simili «manifestazioni» erano sempre più insopportabili ed era sempre più evidente la loro falsità. Purtroppo molti professori, studenti e altre persone si misero il paraocchi davanti alla menzogna e accettavano la «vera verità», camuffata con tanta cura da «storici», dei politruci, i commissari politici dell’esercito sovietico, come Lazarev, Mohov, Berezneakov, Sîtnic, Brîsiakin & comp. Erano gli anni in cui gruppi di studenti di varie scuole di Chişinău si riunivano davanti al monumento di Ştefan cel Mare, e non mancavano anche quelli di Lingue Straniere. Il rettore, a quel tempo Medvedev, uno sbirro, soldataglia di partito[4], convocò il Professore e il sottoscritto, ci fece un’indisponente morale sul tema del patriottismo sovietico e infine pronunciò con supponenza la sentenza: «Il Nazionalismo deve essere estirpato senza pietà!» Appena usciti, il Professore, indignatissimo, disse: «Ecco che canaglia sta al timone dell’università!» Un sentimento di amarezza ci prese nel faccia a faccia con questo straniero, Medvedev, perché, come in un incubo, non potevamo articolare una sola parola di protesta. Non potevamo perché dietro di lui c’era una spaventosa e paralizzante forza ostile alla nazione, vorace di terre straniere. Una dominazione imperiale che ci ha terrorizzato lungo i secoli, ci ha trasformato in esseri muti, umiliati, disarmati e impotenti di fronte ai conquistatori.

Possiamo pensare quanto difficile sia stata la condizione del Professore, quale preside, circondato da uomini estranei alle nostre aspirazioni, gente di partito, sempre sospettosi di ogni sua mossa, di ogni suo passo. Alla fine gli avevano creato intorno un’atmosfera ostile e venefica, costringendolo ad abbandonare l’università, nella primavera del 1967, e a trasferirsi a Kiev, presso l’Istituto di Lingue Straniere. Seguì una persecuzione in libertà, situazione poco invidiabile, che lo costrinse a non restare a lungo in un istituto. Eccolo allora passare da Kiev a Odessa e poi a Cernăuţi…, peregrinazioni simili a quelle del sottoscritto: Chişinău, Bălţi, Mosca…
Dopo aver terminato la facoltà nel 1967, mi stabilii a Mosca, ma avevamo comunque incontri e scambi epistolari. Scrivevo le lettere in «lingua esopica». Quando nel 1974 fu costretto ad andarsene dall’università di Odessa, il Professore tentò di tornare a Chişinău, ma fu respinto categoricamente e con amarezza mi scrisse: «Il Granchio[5] è stato molto brutale con me!».

L’ultima volta che ci siamo visti fu nell’ottobre del 1978 a Mosca. Si fermò alcuni giorni e in quell’occasione ci intrattenemmo in lunghe conversazioni su vari temi; uno degli argomenti fu il poderoso volume di A. Lazarev, Statalitatea sovietică moldovenească şi problema basarabeană [Lo stato moldavo–sovietico e il problema della Bessarabia] [6], apparso in russo nel 1974. Entrambi conoscevamo la risposta degli storici romeni, risposta con considerazioni facilmente intuibili, che fu pubblicata in una rivista italiana con il titolo Come si falsifica la storia, a firma di un certo Petre Moldoveanu, che non era altro che il famoso storico Constantin C. Giurescu.[7] Non certo casualmente, con lo stesso pseudonimo l’articolo apparve, ipocritamente e sarcasticamente, nel 1994 a Chişinău. L’opera di Lazarev[8] era un assurdo pamflet di proporzioni difficilmente riscontrabili, una grossolana falsificazione della nostra storia o, come sottolineava Giurescu, «una trama di falsità sulla storia del popolo romeno». «Il lavoro di Lazarev – disse Sorbală – è un eloquente esempio di frode e menzogna scientifiche, che offendono la dignità del popolo romeno. Quel grafomane si è basato sul falso criterio che più la falsità è grande, più è credibile. Triste errore! Per quanto grande sia la menzogna, pur sempre ha le gambe corte!» [9]

Il nome del professor Sorbală farebbe onore certamente a ogni università, ma all’università di Chişinău si sono «vergognati» di collocarlo nel libro dei professori dell’USM (Chişinău, 2001),[10] perché, guarda un po’, i criteri di selezione per questo volume non permettevano di farlo, poiché  «nel 1967, quando se ne andò, non era ancora dottore abilitato e professore universitario». Nulla di più falso! Per la verità il titolo di dottore abilitato lo ottenne nel 1972, come pure il titolo di professore universitario arrivò più tardi. Ma cosa significa? Il fatto è un altro: V. Sorbală, attraverso i suoi due dottorati, analisi profonde sulle parlate moldave, fu uno tra i nostri primi linguisti, che ha dimostrato pienamente il carattere unitario della lingua romena; V. Sorbală fu il primo specialista e docente, con profonda preparazione teorica, che iniziò lo studio dello spagnolo e dell’italiano in Bessarabia; V. Sorbală fu colui che diede vita alla Cattedra di Filologia Spagnola, fu il suo primo direttore e il primo preside della Facoltà di Lingue Straniere. Dal punto di vista umano, l’inclusione del nome del Professore in quel libro sarebbe stato un gesto riparatore verso una persona e uno scienziato maltrattato e marginalizzato da un ordinamento sociale ingiusto.

Spesso penso al destino del Professore e lo paragono a quello di altri due bessarabi: Eugeniu Coşeriu, il più grande linguista del nostro tempo, e Nicanor Rusu, noto filologo e specialista di linguistica romanza. Tre romeni di Bessarabia, con destini diversi, passati attraverso le dure prove della vita.
Fortunatamente, il destino di E. Coşeriu si trovò sotto il segno della fortuna e del raggiungimento dei suoi progetti, poiché si affermò in un mondo libero. I destini di Rusu e Sorbală non giunsero a buon fine, perché furono spezzati da un regime crudele e disumano.

Attraverso questo articolo ho cercato di ricostruire, magari in modo parziale, l’immagine della personalità di Sorbală, figlio della Bessarabia, uomo di alta coscienza patriottica, che sapeva manifestare in una società totalmente chiusa.
Il professor Vitalie Sorbală resterà nella nostra coscienza, in quella degli allievi e dei giovani studiosi come un esempio di devozione verso la patria, come modello di docente e ricercatore di valore, di grande umanità e di profonde qualità intellettuali.

Andrei Crijanovschi
Traduzione dal romeno di Achille Tramarin
(n. 6, giugno 2012, anno II)

NOTE
1. Vitalie Sorbala, nato il 3 novembre 1926 a Ocniţa, ex-judeţ Hotin, morto il 18 febbraio 1979.
2. La traduzione in italiano di questo libro merita di essere raccontata. Nel 1970 il padovano Luciano Troisio scovò in una Consignaţie di Bucarest il libro, evidentemente sfuggito alla censura, per altro neanche tanto arcigna, e lo portò a Padova. Pensò a me per avere un aiuto nella traduzione, visto che studiavo il romeno da tre anni. Chiesi solo che non apparisse il mio nome, perché dovendo recarmi ancora in Romania per preparare la mia tesi di laurea, non volevo aver fastidi. Luciano Trosio pubblicò a sue spese l’opera con il titolo I Russi in Romania, ed. COO POE, 1971, arricchita con 20 litografie del famoso pittore italiano Walter Piacesi. Il fatto fu presto noto in Romania, tanto che, poco dopo la comparsa del libro nelle librerie di Padova, arrivò un addetto dell’Accademia di Romania di Roma, che acquistò in blocco tutte le copie disponibili, non si sa se per farle sparire o per fare gentili omaggi agli amici romeni. (N.d.T.)
3. Nelizia è una parola russa che significa non si può, è vietato.
4. In Moldavia si usava in senso dispregiativo la parola russa soldafon, accostabile al romeno soldaţoi, in italiano soldataccio.
5. Un gioco di parole: granchio in romeno si dice rac, e a quel tempo il nome di un prorettore dell’università era Ion P. Racul!
6. In Romania il testo è conosciuto con il titolo Organizarea statului sovietic moldovenesc şi problema basarabeană. Statalitatea è una parola che non c’è nei dizionari romeni, mentre i moldavi l’hanno mutuata dal russo.
7. L’opera di Giurescu fu pubblicata a Milano, nel 1976, per le edizioni Nagard, in due versioni, francese e inglese: Petre Moldoveanu, A. M. Lazarev: A Counterfeiter of history e A. M. Lazarev: un faux-monnayeur de l’histoire; in romeno fu pubblicato nel 1991 a Baia Mare, edizione Gutinul, con il titolo Cum se falsifică istoria di Petre Moldoveanu (!)
8. Nel testo romeno Opus è una parola russa (latina) che ha valore dispregiativo.
9. Nella Repubblica Moldova ci sono ancora dei continuatori di Lazarev, come V. Stati, esponente del Moldovenismo, concetto etnico-culturale e politico tendente a facilitare il processo di russificazione dei romeni che vivono tra il Prut e il Nistru. Si sostiene che i moldavi sono un’etnia separata e diversa dai romeni. Questo Stati ha pubblicato nel 1994 un libro Moldovenii în istorie, usando volutamente lo pseudonimo Petre Moldoveanu!
10. È il libro dei professori dell’Università di Stato di Moldavia (USM).