Smaranda Bratu Elian: «Tradurre è far dialogare. Ma in Romania si leggono poco i classici italiani»

Smaranda Bratu Elian è stata di recente insignita del Premio Nazionale per la Traduzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali della Repubblica Italiana per il 2012. Le problematiche della traduzione letteraria e della mediazione tra due culture ai nostri giorni, l’attuale presenza della letteratura italiana in Romania e il ruolo della prestigiosa collana bilingue Biblioteca Italiana dell'editrice Humanitas di Bucarest, sono alcuni dei temi che affrontati in questa intervista.


Professoressa Bratu Elian, Lei ha dedicato cospicue energie a tradurre in romeno grandi autori italiani: il Premio Nazionale Italiano per la Traduzione è un grande riconoscimento.

Ha un significato speciale perché lo interpreto così: anche se alcune delle mie traduzioni (soprattutto quelle dei classici: Leopardi, Giordano Bruno, Campanella, Galilei) rimarranno a lungo un punto di riferimento, dato che testi del genere vengono ripresi solo dopo molto tempo, Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano non premia, di fatto, l’eccellenza delle traduzioni (in quanto la commissione non penso possa valutare direttamente le traduzioni nelle varie lingue); ciò che viene allora premiato è la quantità di lavoro e la qualità dell’impegno nel promuovere la cultura italiana nel paese di chi riceve il premio. Ed io ritengo che, se ho un merito, è esattamente questo: il lavoro e la perseveranza esattamente in questa direzione. Quindi, considero che il premio sia un importante riconoscimento di quello che anch’io penso sia la mia fatica più significativa.

Cosa rappresenta per Lei la traduzione letteraria e quali sono gli «ingredienti» di una traduzione riuscita?

La traduzione letteraria è per me un lusso e un diletto: un lusso perché la rimunerazione non giustifica mai il tempo e la fatica, un diletto perché è l’intervallo in cui sto sola con me stessa tra i libri e mi allieto entrando nell’intimità di un testo, di un autore, dell’orizzonte culturale di un’epoca, rallegrandomi quando trovo la parola giusta o quando una frase mi riesce scorrevole ecc. Ed è un diletto anche perché, visto che sono una persona operosa, il piacere mi arriva dal lavoro e dalla fatica, dalla creazione, perciò è un piacere diverso da quello, per esempio, di ascoltare della buona musica.
Alcuni degli ingredienti che penso siano necessari per una traduzione riuscita sarebbero i seguenti: per primo, la lettura intelligente e coltivata del testo originale, cioè l’entrare nello spirito della sua espressione; poi, la pazienza di cercare, passo per passo, l’equivalente più adatto a quello spirito; poi, il riprendere con distacco, ma non con dimenticanza, la versione romena, perché essa possa scorrere naturalmente in romeno e suggestivamente in rapporto all’originale.

Quanto è importante la mediazione tra due culture realizzata dal traduttore?

Non è importante, è vitale. Ogni cultura vive e si definisce sempre in dialogo con altre culture (di altre nazioni, comunità, gruppi, lingue). Le traduzioni fanno parte del dialogo vivo tra le culture, esse stanno alla base della formazione di quasi tutti gli scrittori di ovunque, esse sono la porta verso il gran mondo, per ciascuno di noi. Oppure, per utilizzare una metafora di moda, il traduttore è l’hardware che fa possibile l’installazione e il funzionamento del software di rete che ci connette al mondo.

Ritiene importante la collaborazione tra traduttore e scrittore?

No. Credo che sia lo scrittore sia il traduttore abbiano il diritto ad una visione personale su un’opera e penso che spesso il traduttore possa essere più coltivato e raffinato dell’autore stesso. Personalmente ho tradotto nella maggior parte le opere di autori scomparsi e, siccome i più grandi e valorosi sono, per forza di cose, sempre quelli scomparsi, non i viventi, dobbiamo cavarcela anche senza gli scrittori.  Ciò non significa che escludo questo tipo di collaborazione: ad esempio, quando l’autore utilizza dialettismi oppure fa delle allusioni culturali, oppure ha significati nascosti, è un grande vantaggio potersi rivolgere direttamente a lui e chiedergli cosa voleva dire. Ad esempio, nella mia recente traduzione dell’opera poetica di Sandro Penna, mi sarebbe stato molto utile che l’autore fosse ancora vivo e mi chiarisse egli stesso cosa voleva dire in alcuni brani, così non avrei più tormentato gli amici specialisti italiani. Le cose potrebbero però andare anche al contrario: sono ora in contatto con un autore italiano che, volendo essere tradotto in romeno, aspetta i miei suggerimenti per modificare l’originale. Qui però entriamo in una questione che supera il binomio scrittore-traduttore, perché ha a che fare con il pubblico.

Lei ha tradotto in romeno sia poesia che prosa. Dal punto di vista del traduttore, quale delle due le è più vicina e perché?

Entrambe mi possono essere sia vicine sia lontane: per me, almeno, non conta se si tratta della poesia o della prosa, ma di quale poesia e di quale prosa. Ci sono dei testi con i quali entro in risonanza e allora, anche se difficili, ho il coraggio di affrontarli. Ad esempio, dopo una lunga esperienza sulla prosa filosofica italiana del Seicento e del Settecento, mi è stato più facile tradurre Campanella, poesia e prosa, di quanto non lo fosse Italo Svevo, le cui costruzioni ipotattiche (in prosa, ovviamente) mi hanno tormentata proprio perché, a differenza di Campanella, esse non potevano permettersi di presentarsi in romeno in modo vetusto e pesante (anche se in italiano sono in grande misura così). Oppure la poesia: è forse tutta uguale? Ad esempio, quella di Sandro Penna è prima di tutto melodia, mentre quella di Giordano Bruno può essere sia mera filosofia, sia un gioco osceno. Quindi, dipende!

Ha mai riscontrato delle situazioni traduttive senza un risultato soddisfacente per Lei?

Per quello che mi riguarda, ho sempre cercato di arrivare a dei risultati soddisfacenti. Quanto invece possano essere stati soddisfacenti per il pubblico è un'altra questione alla quale non spetta a me rispondere. Nel mio caso però sono da prendere in considerazione altre due cose: la prima, che io ho lavorato e lavoro molto anche come curatrice di volumi (un lavoro meticoloso e invisibile al lettore, ma estremamente formativo), perciò mi sono «esercitata» anche sulle traduzioni altrui e ciò mi è stato e mi è tuttora d’aiuto; la seconda, che ho avuto ed ho il privilegio di collaborare con eccellenti redattori (Florin Chiriţescu, prima, Vlad Russo, adesso), loro stessi dei traduttori raffinati, che sono l’occhio di lince alla fine del lavoro e, per me, la garanzia che posso mandare la traduzione nel mondo.

Lei traduce anche dal romeno in italiano. Come vede la traduzione in una lingua diversa dalla propria?

Traduco solo saltuariamente in italiano e, forse a sorpresa per i profani, prediligo (perché mi riesce meglio e mi sento più sicura) tradurre poesia, non prosa. Quest’ultima richiede una naturalezza della quale raramente un non madrelingua può avere la padronanza. Penso che la traduzione in una lingua straniera – mi riferisco, ovviamente, alla letteratura – è bene che venga lasciata ai madrelingua o che almeno abbia la supervisione di un madrelingua. Perciò la mia monografia su Leonardo Sciascia pubblicata in Italia l’ho tradotta in collaborazione con un madrelingua, Davide Arrigoni, buon conoscitore del romeno: e non era neanche letteratura!

Dal 2006, è coordinatrice della collana Biblioteca Italiană della casa editrice Humanitas, insieme al Prof. Nuccio Ordine. Come è nato questo progetto e quale è la sua peculiarità?

Ci sarebbero molte cose da dire, ma sarò breve: il progetto è nato dall’amicizia con Nuccio Ordine, che già all’epoca coordinava una splendida collana di classici italiani, sempre bilingue, della prestigiosa casa editrice parigina Les Belles Lettres. Dalle nostre conversazioni è nata l’idea di riportare all’attenzione, anche in Romania, i classici (la cui dimenticanza è un pericolo), di fare una loro presentazione (un apparato critico, come diciamo noi) di alto livello ma tuttavia accessibile, di offrire anche il testo originale, italiano, accanto alla traduzione (per venire incontro ai nostri studenti, ai curiosi e agli  studiosi, ma anche per prefigurare il multilinguismo tanto desiderato nell’Unione Europea nella quale, all’epoca, solamente aspiravamo ad entrare). Abbiamo ideato insieme il progetto e lo abbiamo presentato a quell’intellettuale ineccepibile che era Vito Grasso, allora direttore dell’Istituto Italiano di Cultura (istituto che oggi porta il suo nome). Vito Grasso ha capito il valore del progetto ed anche il fatto che necessitava di un appoggio finanziario, perciò l’ha inserito nel programma di finanziamento del Ministero degli Esteri italiano. Solo dopo è iniziato il lavoro reale che continua ancor’oggi e per me è ininterrotto. Lo specifico? È l’unica collana bilingue in Romania dedicata ai classici di una sola cultura – e credo che questo sia sufficiente! E per non dilungarmi troppo, vorrei aggiungere un’ultima cosa, per me essenziale: tra le più grandi soddisfazioni che questa collana (a sua volta premiata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali) offre a me, è il fatto che intorno ad essa si è radunata e formata un’elite di giovani italianisti e di studenti aspiranti che, mi auguro, portino avanti l’italianistica romena.

Quanti volumi sono usciti finora e come vengono promossi?

La collana conta il 21esimo volume, e la promozione si basa tanto sull’iniziativa e la perseveranza dei giovani dei quali stavo parlando (attraverso le «Serate italiane», evento mensile dedicato al dibattito sull’attualità dei classici della collana) e della casa editrice Humanitas, partner intelligente e stimolante di tutte le iniziative legate alla collana, quanto sull’interesse che abbiamo suscitato negli altri, per cui siamo stati invitati a presentare la collana nelle fiere del libro nazionali e internazionali, in istituzioni di prestigio (l’Università di Padova e gli Istituti culturali romeni di Roma e Venezia), in trasmissioni televisive (TVR 2 e il compianto TVR Cultural).

Quali sono i prossimi titoli?

Nel prossimo futuro usciranno, in ordine, i seguenti quattro volumi: Carlo Goldoni, Teatro / Teatru, vol. III (La trilogia della villeggiatura / Trilogia vilegiaturii); Giovanni Boccaccio, Il Corbaccio / Croncanul (un testo divertente che susciterà sicuramente reazioni contraddittorie e che uscirà per il settimo centenario della nascita del fondatore della narrativa europea moderna); Gli Asolani / Asolanii di Pietro Bembo, uno dei dialoghi d’amore del Rinascimento, testo essenziale per comprendere un’epoca fondamentale della cultura europea; e poi, un’ampia antologia dell’opera di uno dei più valorosi poeti del Novecento italiano, Giorgio Caproni, Poesie / Poezii. 

In uno sguardo d’insieme, come valuta l’attuale presenza della letteratura italiana in Romania? Gli autori contemporanei sono ben rappresentati?

Come si sa, in Romania ci sono attualmente moltissime case editrici, ma non c’è, come in altri paesi, un albo che possa offrire dei cataloghi completi, delle statistiche ecc., perciò è abbastanza difficile per chiunque sapere con certezza che cosa e quanto si pubblica. Certamente, frequentando per quello che mi è possibile il mondo letterario, le presentazioni e le fiere del libro, l’immagine che mi sono fatta (però mi sto chiedendo quanto sia giusta, anche perché non sono specialista di letteratura contemporanea e le mie letture sono in un certo senso casuali) è la seguente: si pubblicano più autori contemporanei che non classici e la loro selezione si basa molto sui premi letterari italiani che negli ultimi tempi non hanno annoverato dei valori. Forse domani spunterà uno scrittore italiano formidabile, ma per il momento le generazioni di adesso presentano dei libri interessanti, ma non delle eccellenze. Perciò, non mi lamenterei del fatto che non si pubblica sufficientemente la letteratura contemporanea; mi lamenterei piuttosto del fatto che non si legge abbastanza la letteratura italiana classica.



Intervista realizzata e tradotta da Afrodita Carmen Cionchin
(n. 10, ottobre 2013, anno III)