Architettura a Timişoara /2. Serena Volterra: «Asburgica e disinvolta, un ponte nel tempo»

Serena Volterra, architetto, è assistente del prof. Tancredi Carunchio al Laboratorio di Restauro dell'Architettura presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Nel 2011, ha partecipato al convegno «Histories of restoration, picking up the pieces for architectural rebor», tenutosi a Timişoara, con una comunicazione sulle conclusioni del dottorato di ricerca per studenti romeni e italiani dedicato al recupero della Caserma ad U di Timişoara. Nell’intervista che proponiamo, l’architetto Volterra segnala in maniera estesa ed approfondita alcune peculiarità architettoniche della città di Timişoara, considerandone tra l’altro l'edilizia sul modello austriaco e altre tipologie del tutto differenti legate alla cultura e tradizione locale.«Mi sembra che a Timişoara si sia molto disinvolti nell'utilizzo di un linguaggio attuale e nella progettazione e costruzione del nuovo», segnala l’architetto Volterra, senza trascurare di raccomandare grande cura per ottimizzare il rapporto fra strutture preesistenti e interventi contemporanei.


Architetto Volterra, qual è stato il suo impatto con Timişoara? Cosa l'ha colpita di più sul piano architettonico?

La città di Timişoara colpisce subito per la presenza di un nucleo storico ben definito e riconoscibile tanto per l'impostazione planimetrica che per l'architettura. Delimitato dal canale a sud e dalla ferrovia a nord, presenta un nucleo con caratteristica organizzazione a scacchiera – con orientamento circa nord-sud, con isolati prevalentemente rettangolari, il cui negativo sono le piazze  fra le quali spicca, per dimensioni, la Piazza dell’Unità (Piaţa Unirii) – circondato da un'area quasi a raggiera più evidente nella parte e sud e un po' sfrangiata nella nord-est.
Nell'impostazione planimetrica si può riconoscere la volontà di ispirarsi al ring viennese con l'evidente intento di preservare il centro storico dall'espansione successiva, tramite una soluzione di continuità verde che viene a rappresentare, soprattutto nella parte sud, un elemento fortemente caratterizzante il paesaggio urbano; un diaframma, un momento di sosta percettiva nell'attraversamento della città fra l'espansione più recente e il nucleo storico e viceversa. Lo stesso verde prosegue nella bellissima passeggiata lungo le rive del canale in cui si recupera quel rapporto con l'elemento naturale che a Roma, per esempio, è stato negato dalla costruzione dei muraglioni e da una mancata ed inadeguata progettazione delle sponde, che qui si configurano, invece, come dei lidi gradevoli e vissuti sicuramente nelle stagioni più calde. Notevole nella percorrenza di questa barriera verde l'emergere graduale fra alberi e fogliame di monumenti come la bellissima e policroma Cattedrale. Interessante l'impronta dell'andamento delle antiche fortificazioni di cui si conserva la traccia materiale nei bastioni recentemente recuperati e restaurati.
Le peculiarità che maggiormente mi hanno colpito percorrendo Timişoara, oltre la ostentata monumentalità, di impronta austriaca, degli edifici di rappresentanza della Piazza della Vittoria (Piaţa Victoriei), sono la disinvoltura e l'armonia con cui all'edilizia corrente ottocentesca austera e severa, sempre di modello austriaco, si accostano architetture di tipologie nettamente differenti, probabilmente più legate alla cultura e tradizione locale, e di colori disparati. Molto interessante, a mio avviso, è anche la presenza di botteghe e locali commerciali che conservano il loro aspetto storico concorrendo all'individuazione di un paesaggio urbano originale ed unico.
Nel complesso è una città molto interessante ma che necessita di urgenti interventi soprattutto sull'edilizia storica corrente, mi sembra che attualmente l'attenzione sia rivolta principalmente alle emergenze.

Ampliando l'orizzonte, quali differenze riscontra fra l'architettura italiana contemporanea e quella romena?

Il mio campo di lavoro e di interesse è l'architettura contemporanea in relazione alla preesistenza storica. In Italia, e a Roma in particolare, di architettura contemporanea se ne progetta poca e se ne costruisce ancora meno per l'atavico conservazionismo che la distingue e per la sostanziale paura nei confronti del contesto storico.
Dopo anni, anzi secoli, di dibattito sul rapporto fra architettura contemporanea e storica e sul ruolo del restauro nella contemporaneità, solo nell'ultimo decennio, finalmente, si è cominciato a sperimentare un progetto del nuovo che proponga soluzioni che realmente nascano dal riconoscimento del valore e delle qualità formali e spaziali della preesistenza e del contesto senza temerne la storicità.
Mi sembra invece di poter notare che a Timişoara si sia molto più disinvolti nell'utilizzo di un linguaggio attuale e nella progettazione e costruzione del nuovo ma mi sembra, altresì, che il momento del restauro o della conservazione delle superfici venga considerato una cosa a sé, distinta dal progetto totale dell'architettura sull'architettura; forse la consapevolezza della necessità di instaurare un rapporto fra preesistenza e contemporaneo non è ancora pienamente matura. Da quel che ho potuto osservare, il progetto del nuovo viene inteso come assoluto e «altro» rispetto alla preesistenza storica a cui si connette solamente, senza far propria la spazialità specifica dell'oggetto architettonico storico a cui si accosta e partecipando poco, in termini di visuali e percorrenze, al paesaggio-contesto urbano in cui si inserisce piuttosto indifferentemente. Un'architettura contemporanea anche di qualità ma il cui scopo, più che altro, sembra essere la ricerca della miglior soluzione tecnologica in connessione alla funzione imposta piuttosto che lo studio e la proposizione di un organico rapporto fra forma storica – nuova funzione – nuova architettura.
Si tratta probabilmente della stessa situazione che si poteva riscontrare in Italia nei primi 10-20 anni del secondo  dopoguerra, quando usciti dalla dittatura fascista si cercava un riscatto nella modernità; come afferma Stefan Davidovici, «Si possono paragonare gli anni 2000 dei romeni con gli anni '50 o '60 degli italiani; la stessa ondata di costruzione nuova, le stesse energie, ed anche gli stessi errori» («Arhitectura», Rivista dell'Unione degli Architetti Romeni). Guardare all'estero, e questo vale anche per noi italiani, è importante e necessario ma probabilmente si giunge alla piena maturità solo dopo personali meditazioni e lunghe ricerche di una propria e specifica posizione.

Tra passato e presente, come si caratterizzano i rapporti dell’architettura italiana con quella romena?

Alla fine dell'Ottocento e poi fra le due guerre la Romania, e particolarmente la sua capitale Bucarest, è stata meta di emigrazione di operai specializzati, soprattutto veneti, attirati dalle buone opportunità di lavoro che offriva la costruzione delle nuove infrastrutture stradali e ferroviarie, ma anche di ingegneri e architetti, come Giulio Magni – uno dei fondatori dell’Associazione Artistica fra i Cultori per l’Architettura di Roma – che desideravano così ampliare i propri orizzonti. Questa ondata di emigrazione, terminata all'incirca intorno al 1948, con il notevole spostamento di mano d'opera e artisti, ha portato in Romania nuovi fermenti di cultura; di contro, nell'allora fervente ambiente culturale romeno, gli architetti e ingegneri italiani hanno avuto l'occasione di entrare in contatto con esponenti del dibattito sull'architettura e sulla nascente disciplina urbanistica – quali O. Wagner, P. Berlaghe, J. Stubben e C. Bulls – riportando in patria esperienze di carattere internazionale.
Attualmente purtroppo non è più così; indubbiamente però per gli architetti italiani, tanto per i «restauratori» quanto per i «progettisti» – il cui dibattito culturale, e non solo, si incentra principalmente sul progetto nell'esistente o dell'esistente o sull'esistente – l'architettura, l'edilizia storica corrente ed i nuclei urbani storici in Romania, sicuramente bisognosi di interventi, talvolta anche urgenti, rappresentano un buon campo di esercitazione estetico-formale e di verifica delle proprie posizioni filosofiche.
Mi sembra, in proposito, estremamente interessante l'esperienza della quattro tesi di laurea di studenti di architettura italiani della Sapienza sul restauro della Caserma ad U di Timisoara, i cui esisti si sono visti esposti al convegno di novembre presso la mansarda del bastione Theresia, che dimostrano uno spiccato interesse nei confronti di architetture e piccoli ambiti urbani che  necessitano di intervento e su cui alla mera conservazione si è associato un vero e proprio intervento di rigenerazione dell'architettura, tramite la comprensione delle sue caratteristiche e peculiarità, che diviene contagioso per l'intero paesaggio urbano.

Quali sono gli aspetti che suscitano maggiore attenzione in un architetto italiano che venga in Romania?

Interessante per un architetto italiano che si occupa di restauro è il dibattito attualmente in atto in Romania sui concetti e sugli assunti del restauro, dibattito che, in Italia, si svolge invece ormai da più di un secolo e che a volte tralascia, considerandole assodate e scontate, alcune osservazioni che probabilmente non lo sono affatto.
Per una nazione, in cui al momento il dibattito dal restauro dei Monumenti sta deviando verso il recupero e il ri-progetto o rigenerazione dell'esistente – edilizia storica corrente, nuclei urbani ma anche ambiti di paesaggio per arrivare a tutto ciò che ha compiuto cinquant'anni –, uno stato in cui la discussione sulla teoria del restauro, sui restauri e sugli oggetti del restauro è ancora agli inizi può rappresentare una ottima occasione di verifica delle proprie posizioni filosofiche.



Intervista realizzata da Afrodita Carmen Cionchin
(n. 4, aprile 2012, anno II)