Giovanni Ruggeri: Turismo italiano in Romania, tra chances e pregiudizi

«Lavoro serio in Romania e autentica curiosità giornalistica in Italia». È la ricetta che propone Giovanni Ruggeri per incrementare il flusso turistico dall’Italia verso la Romania, opportunità non solo di crescita economica ma anche di più adeguata elaborazione dell’immagine del Paese tra gli italiani. Giovanni Ruggeri, giornalista e saggista, è autore di numerosi reportage turistico-culturali sull’Est Europa (scrive per vari periodici, tra cui il quotidiano «L’Eco di Bergamo», Touring Club Italiano, «Meridiani»), e sulla Romania in particolare, cui tra l’altro ha dedicato il libro Le icone su vetro di Sibiel (Città Aperta edizioni) e il sito www.sibiel.net. Di non trascurabile interesse, rispetto alla nostra tematica, anche la sua recente attività di consulenza e collaborazione con due importanti tour operator italiani, Utat Viaggi e Caldana Travel Service, quest’ultimo specialista dell’Europa dell’Est. In quest’ampia intervista Ruggeri ripercorre, insieme alla sua personale esperienza in Romania, un originale panorama di temi e motivi meritevoli di riflessione.


Turismo e Romania: un binomio ancora poco acquisito nel contesto socio-culturale italiano, sì che questa sua stessa testimonianza appare senz'altro originale. Da dove muove il suo approccio?


Dopo diversi anni di lavoro giornalistico, soprattutto in campo culturale, dal 2000 ho iniziato a occuparmi anche di giornalismo nel settore turistico e, con progressiva convinzione, sono giunto a ritenere che un turismo degno del nome sia una egregia occasione di incontro interculturale e stimolo all’integrazione. Così è, senza alcun dubbio, per tutta l’Europa orientale (complessivamente oggetto, in generale, di una sostanziale ignoranza di noi italiani): Romania inclusa naturalmente, anzi, se possibile, Romania in primis, proprio per la sproporzione tra ricchezza turisticamente valorizzabile del Paese e sua perdurante marginalità nei circuiti della grande industria del turismo, stampa di settore compresa.
Non ho alcun imbarazzo a riconoscere che, come per la quasi totalità degli europei dell’Occidente, anche per me la Romania è rimasta a lungo – di sicuro negli anni della mia giovinezza – quasi un sinonimo del nulla. Nonostante gli eventi del 1989, le cronache della rivoluzione, i resoconti della prima delocalizzazione italiana (più o meno selvaggia) in Romania, occorre riconoscere francamente che, a livello di massa questo Paese era oggettivamente così fuori dal nostro orizzonte culturale e sociale che in pochi avrebbero saputo indicarne addirittura la precisa posizione sulla carta geografica! Di Romania semplicemente non si parlava e, le rare volte in cui lo si faceva, era quasi sempre e solo per segnalarne miseria e problemi.


A quando risale il suo primo viaggio in Romania e quale impatto produsse?

Il mio primo viaggio in Romania ebbe luogo nel maggio del 2002, reduce da precedenti trasferte in Croazia e Ungheria, che il giornale per il quale scrivevo e con il quale continuo a collaborare – «L’Eco di Bergamo», un giornale provinciale, ma nel suo genere il più grande d’Italia (più di 300.000 lettori al giorno) – seguiva con curiosità e soddisfazione fidandosi del mio “fiuto”. Al di là di alcune previe letture per inquadrare storia e cultura del Paese, partii senza una troppo definita immagine della Romania e – soprattutto – portato da una tranquilla apertura a ciò che mi si sarebbe presentato. Questa assenza di pregiudizi è stata preziosa: mi ha consentito un contatto diretto con la realtà romena, quale un italiano sbarcatovi per la prima volta nel 2002 poteva avere. L’impatto fu enorme: immenso silenzio e verde primordiale di un mondo antico, originario. Queste le primissime, indelebili impressioni, facilmente comprensibili se si considera che – dopo lo sbarco all’aeroporto di Cluj – la prima regione in cui arrivai e che visitai per intero fu il Maramureş. Non credevo ai miei occhi: una natura e paesaggio di tal bellezza e integrità come mai avevo visto prima, strade con animali al pascolo sui bordi, carretti e buoi, cimiteri vicino alle chiese con galline in libera uscita tra le tombe, e soprattutto i volti antichi, stupiti e buoni della gente. Non credevo ai miei occhi! Visitai tutto il Maramureş, quindi i monasteri della Bucovina, infine Iaşi. Ripartii con un’impressione fortissima, progressivamente approfonditasi e differenziatasi: la Romania ha un patrimonio di cultura, civiltà, natura ricchissimo, del tutto sconosciuto in Italia. Quanto a me, poi, me ne ritrovavo completamente innamorato, tanto che da allora non ho più smesso – prima professionalmente, poi privatamente – di tornare in Romania, visitandone pressoché tutte le regioni e scrivendone diffusamente.


Quanto ha contato – ed eventualmente condizionato – nel suo approccio al nostro Paese questo lato del suo sguardo per così dire bucolico?

È indubbio che la mia passione per la Romania viva di una profonda complicità d’anima col singolare mix che costituisce l’universo romeno, in particolare le sue antiche radici contadine, le sue eccellenti espressioni culturali e le sue straordinarie potenzialità di crescita (senza peraltro alcuna elusione delle ombre e contraddizioni, spesso pesanti, che affliggono il Paese). Tuttavia, di là dalle trascurabilissime mie personali preferenze, è indiscutibile che la Romania possieda un patrimonio ambientale relativamente integro e che fa da scenario spesso strepitoso per siti di grandissimo interesse storico-culturale: penso ai mai sufficientemente decantati monasteri e chiese affrescati della Bucovina, alle chiese e cittadelle fortificate nonché ai villaggi e città di Transilvania, con la loro tipica impronta multiculturale testimoniata già sul piano architettonico oltre che linguistico, all’universo fantastico del Delta del Danubio con il suo immenso mondo d’acqua, di fiori e animali, capace di conquistare chi abbia orecchie per ascoltare la voce e l’anima della natura. Facile, dunque, immaginare come per un italiano attento e sensibile ai valori ambientali e culturali sia stato naturale ritrovarsi letteralmente innamorato di questa terra. Ho detto tuttavia non a caso «sia ancora» perché va aggiunto che la Romania, a motivo del ritmo fortemente accelerato di sviluppo di questi ultimi anni, è segnata – nel bene, ma spesso anche nel male – da un processo di trasformazione che ne ridisegna tratti e lineamenti anche ambientali (nelle strade, città, villaggi). C’è da augurarsi, non senza una seria preoccupazione, che questo non ne stravolga o, peggio, deturpi l’intonazione di fondo.


Lei ha scritto e realizzato un libro, ricco di immagini e pubblicato in cinque lingue, sul Museo delle icone su vetro di Sibiel, villaggio vicino a Sibiu. Da dove questo interesse e, con l’occasione, quale il suo parere sull’universo religioso ortodosso romeno?

Il desiderio di conoscere sempre più a fondo la Romania – desiderio che mi ha portato, in modo tanto naturale quanto a suo tempo imprevedibile, a studiarne e parlarne la lingua (unica vera via di accesso alla cultura e all’anima di un popolo) – mi ha spinto a concentrare il mio impegno professionale in una pubblicazione che, nella prospettiva e contesto suoi propri, potesse essere simbolicamente espressiva, nel suo intento comunicativo, dei valori culturali e umani della Romania. Sibiel e il mio libro sul suo Museo delle icone su vetro (patrimonio ancora completamente sconosciuto alla grande massa in Italia) sono così anche la punta di diamante e, se posso dire, un simbolo del mio affetto per questo Paese. Conobbi il villaggio e il suo museo nel 2003 e subito rimasi impressionato dalla straordinaria storia di questa produzione artistica sorta nei secoli scorsi ad opera di anonimi contadini e destinata ad altrettanti contadini, per non dire dell’altrettanto grande pagina di umanità e spiritualità scritta dalla vicenda del fondatore di questo museo, Padre Zosim Oancea, e dal suo villaggio. Dirò di più: pur bellissimo per il suo paesaggio e la sua atmosfera, questo villaggio potrebbe avere dal punto di vista storico e paesaggistico molti altri villaggi “concorrenti” in Romania, ma nessuno avrà mai la straordinaria storia cui hanno dato vita, in pieno comunismo, Padre Zosim Oancea e la gente di Sibiel creando il Museo delle icone su vetro. Se poi si considera che, sul piano personale, io sono estremamente sensibile alla sproporzione tra umiltà delle origini ed elevatezza dell’espressione, nonché a quella tra penuria di mezzi ed eccellenza dei risultati, facile capire come la singolare concentrazione di queste realtà a Sibiel mi imponesse, per così dire, un lavoro e un impegno tanto grandi quanto ineludibili come la realizzazione di questo libro. Ben altro discorso e spazio, poi, meriterebbe – ma non è questa la sede idonea – una riflessione sui risultati della mia azione, che sono stati, nell'ordine: molto grandi per la mediatizzazione del Museo di Sibiel in Romania e in Europa; spesso commoventi per la partecipazione e l'interessamento di privati cittadini romeni e di istituzioni (Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica, istituti di cultura, ambasciate ecc.) che risiedono non in Romania ma in altri Paesi europei; a tutt'oggi pressoché nulli per quanto riguarda il coinvolgimento della Chiesa ortodossa romena e delle istituzioni pubbliche romene nel prendere opportune misure per assicurare la buona conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico e religioso del Museo di Sibiel, oggi in serio pericolo per le inadeguate condizioni generali di quest'ultimo, prima tra tutte la mancanza di un impianto di riscaldamento e di microclimatizzazione. Sono molto amareggiato davanti a un immobilismo che sembra non apprezzare nei fatti il sacrificio compiuto in Romania dalle generazioni precedenti, che sono i vecchi di oggi, negli anni durissimi del comunismo.
Infine, per venire all’ultima parte della sua domanda, credo che un approccio all’ortodossia romena esiga accurate differenziazioni, sulle quali non posso qui dilungarmi. In generale, credo che la Chiesa ortodossa di Romania avrà, già oggi e nel prossimo futuro, molto da lavorare per accompagnare la società romena nel passaggio inevitabile (e a mio parere traumatico) da una cultura per lo più contadina e chiusa in sé a un mondo globalizzato e governato dalle leggi dell’economia di mercato. Secolarizzazione galoppante e tendenziale svuotamento del sentimento sacro della vita segneranno a fondo (e dolorosamente) l’anima di quei romeni che non sapranno custodire – e soprattutto approfondire con personale intelligenza – l’originario stupore e sentimento di sacra gratuità dell’essere al mondo. Per non dire poi che sarà sempre più impegnativo e ineludibile, anche per il mondo ortodosso, passare da una fede ricevuta e accettata per tradizione ad una fede maturata e assunta per convinzione.


Venendo all’ambito del turismo in senso proprio, quale tendenza caratterizza il flusso degli italiani che si recano in vacanza in Romania e che cosa li induce a scegliere questa destinazione?

Le statistiche segnalano che il flusso di turisti italiani in Romania conosce un progressivo incremento negli anni, giungendo ad attestarsi a poco più di mezzo milione di presenze. Un valore significativo, questo, se colto nella sua progressione temporale, ma largamente inferiore a quelli di altre destinazioni nella stessa area (penso all’Ungheria e alla Polonia, solo per segnalare due esempi). Ciò induce a prendere atto che, a livello di massa, la Romania è ancora per i miei connazionali – nella migliore delle ipotesi – una terra pressoché completamente sconosciuta, se non proprio ignorata; per non dire poi dei diffusi pregiudizi negativi che, ancora statistiche alla mano, dobbiamo purtroppo registrare presso molti connazionali. D’altra parte, operatori di settore e numerose testimonianze anche da me via via raccolte, attestano un’esperienza comune alla grande maggioranza di coloro che si recano in Romania in vacanza: quella, cioè, di partire spesso con una pressoché sostanziale ignoranza di ciò che andranno a scoprire (o tutt’al più con una meno che vaga fantasia “vampiro-draculesca”, che ben sappiamo aver nulla a che fare con la storia, il folclore e la coscienza collettiva della Romania) e di tornare a casa con la sorpresa e la soddisfazione di aver scoperto un mondo ricco di valori e, in non pochi casi, di un’umanità che conosce ancora il senso dell’ospitalità. Oltre il caso d’eccellenza, unico nel suo ambito, di Sibiu «Capitale europea della cultura del 2007», Transilvania e Bucovina in particolare lasciano sempre pieni di ammirazione gli italiani che vi si recano.
Nondimeno, anche se ricerche di mercato evidenziano che il turista che sceglie la Romania quale destinazione per le sue vacanze è spesso un viaggiatore preparato, di formazione scolastica medio-alta (almeno diploma di maturità) e con un reddito dal medio all’alto, è innegabile che il turismo italiano in Romania sia ancora – purtroppo, sottolineo – un fenomeno relativamente di nicchia e, anche dal punto di vista qualitativo, connotato da atteggiamenti molto diversi, meritevoli di attento esame. In linea generale, a me pare che oggi in Romania vadano sostanzialmente tre categorie di turisti italiani. La prima, piuttosto minoritaria, è costituita da un pubblico davvero colto, molto motivato, che prepara con cura la sua visita e punta su obiettivi storico-culturali ben identificati. La seconda, piuttosto cospicua, è composta da un pubblico di età tendenzialmente medio-alta, che spesso ha già visitato mezzo mondo e che si reca in Romania senza sapere bene cosa l’aspetterà, guidato da un non meglio precisato interesse di scoprire qualcosa di nuovo, di cui ha sentito solo vagamente parlare. Infine, la terza comprende un pubblico più giovane (ma purtroppo non solo) che vede nella Romania una destinazione in alcuni casi di dichiarato turismo sessuale, in altri casi di comunque deresponsabilizzante “avventura”. A fronte di tutto ciò, va da sé che la Romania meriti ben altro registro di attenzione e interesse, sperabilmente con il supporto di un maggior investimento sul piano della comunicazione e della promozione, nel nostro Paese, da parte delle istituzioni centrali romene. Queste ultime – lo dico da vero amico della Romania – risultano ancora, ahimè, imperdonabilmente non impegnate come occorrerebbe negli investimenti promozionali in Italia.


Quali iniziative e atteggiamenti auspica, tanto sul fronte romeno quanto su quello italiano, per migliorare comunicazione e promozione turistica della destinazione Romania in Italia?

In due parole: lavoro serio in Romania e autentica curiosità giornalistica in Italia. Mi spiego. Oltre a programmare in modo coerente ed efficace sistematiche operazioni di promozione all’estero, la Romania deve lavorare seriamente all’interno del proprio territorio, in primo luogo per la realizzazione delle infrastrutture indispensabili ad un turismo che funzioni, quindi formando adeguatamente il personale che lavora in questo settore (dove non sono consentiti né improvvisazione né pressappochismo) e vigilando tra l’altro (pare un dettaglio, ma conta molto) sulla corretta definizione del rapporto prezzo-qualità dei servizi (luogo di pericolosa insidia per operatori tentati di irresponsabile avidità, letale per un nuovo flusso turistico). Giudicando quel che accade, o non accade in Italia, a me pare che le autorità romene non abbiano un reale interesse a far  crescere il flusso di turisti italiani in Romania: le attività di promozione – tanto per la stampa quanto per i tour operator – sono meno che modeste. Dispiace dirlo, ma è così.
Per quanto riguarda noi italiani – e noi giornalisti in particolare – è certo che, a fronte di destinazioni di eccezionale interesse e servizi in via di adeguamento a standard europei, la stampa italiana – e soprattutto la stampa turistica – dovrebbe scrollarsi di dosso la miopia e una certa spocchiosità che ancora l’affliggono nei riguardi della Romania, lasciandosi conquistare – e conquistando così i suoi lettori – dalla curiosità e dal gusto della scoperta. Le racconterò due episodi per farle capire come funzionano le cose, in generale. Uno è del 2002, l’altro di alcuni mesi fa.
Quando nel 2002, quindi non nell’età della pietra, partii per la prima volta per la Romania, i miei colleghi e amici – persone aperte, intelligenti – mi guardavano con un misto di incredulità e malcelata commiserazione: «Ma cosa vai a fare in Romania? C’è qualcosa di interessante da vedere lì? Non è terra solo di miseria e povertà?». Questo pregiudizio di fondo – che, ribadisco, è di carattere anzitutto emotivo, oltre che figlio di protratta e non più giustificabile ignoranza – è all’opera nelle redazioni italiane (e non solo), benché ovviamente vi siano anche in Italia figure meritevoli di giornalisti (penso a Ettore Mo, Paolo Rumiz e molti altri meno conosciuti ma non meno attenti). Resta però il fatto che non sono costoro a “dettare” il timbro, il tono, lo sguardo, il “sapore” nel dare la notizia: la “macchina della redazione” – capiservizio, capiredattori, addirittura direttori – spesso nemmeno immagina (per dirla con immagini adeguate al contesto del nostro discorso) quanto sia straordinario il Maramureş, grandiosi i monasteri della Bucovina, splendide le chiese e le città fortificate della Transilvania, strepitoso il Delta del Danubio, e quasi mai ha sentito parlare della poesia, musica e pittura di Eminescu, Enescu, Grigorescu… Non più di sei mesi fa, poi, segnalavo a una collega milanese, caporedattrice di un noto mensile italiano di turismo, una serie di destinazioni romene di sicuro livello, a partire da Sibiu. Non le dico il mio sconcerto, tristezza e anche irritazione quando mi sono sentito rispondere, quasi con un senso di sdegnoso fastidio: «Noi non prendiamo neanche in considerazione la Romania, perché non ha strutture all’altezza dei nostri standard di qualità». Si noti bene che tale rivista non è specializzata su destinazioni di lusso: semplicemente ignora – e, quel che è peggio per un giornale non ha alcuna voglia di scoprire – di quali bellezze sia ricca la Romania, di quali servizi ormai in diverse città siano dotati non pochi hotel, ristoranti, caffè e via dicendo. Gusto della scoperta, ricerca, curiosità, esplorazione: se un giornale non ne fa il suo criterio, si riduce a poco più che fotocopia di belle fotografie patinate e vuote. Quanto agli operatori turistici, tutti sono comprensibilmente assillati da problemi di fatturato e cercano di vendere i «fast-food» più facili, e spesso banali, delle note destinazioni di massa. Un’impennata di fantasia e creatività, anche in questo campo, ridarebbe slancio, sapore e soddisfazione a un settore dove routine e luoghi comuni sono non solo modi di dire.
Termino con un segnale positivo. Una mia recente attività di consulenza per un importante tour operator italiano, da molti anni leader per tutto l'Est Europa, mi ha dato modo di apprendere che sta cambiando, nel mercato turistico italiano, l’atteggiamento della clientela e dunque delle agenzie di viaggio nei confronti della destinazione Romania. Alcuni segnali rilevabili tra gli operatori lasciano intendere che si sta facendo strada tra i miei connazionali un nuovo atteggiamento verso la Romania come possibile destinazione turistica. Ciò che prima era ignorato, o addirittura rifiutato, oggi inizia a destare curiosità e spesso interesse. Fatto quanto mai importante. Sapranno le autorità di Bucarest intercettare questa nuova domanda e coltivarla adeguatamente? La Romania lo merita in pieno.


Intervista realizzata da Afrodita Carmen Cionchin
(n. 2, febbraio 2012, anno II)