La scultura neovanguardista di Paul Neagu: tre grandi mostre a Timişoara e Cluj-Napoca

Con il titolo Paul Neagu. (R)evoluţia formei [Paul Neagu. La ri(e)voluzione della forma], è in corso in Romania un ampio progetto espositivo dedicato al più importante scultore romeno dopo Brancusi – nato in Romania nel 1938, emigrato nel 1969 e stabilitosi a Londra nel 1970 – a 10 anni dalla sua scomparsa nel 2004. L’evento è realizzato dalla Fondazione Interart Triade di Timişoara e la Paul Neagu Estate RO, in collaborazione con la Galleria Jecza Timişoara, il Museo dell’Arte di Cluj-Napoca ed il Museo dell’Arte di Timişoara.
La nostra rivista si pregia di essere partner media del progetto, presentando anche in Italia l’opera di questo grande artista che ha abbracciato la scultura, la pittura, il disegno, la grafica, la saggista e la poesia, con uno spirito sempre innovatore. Di lui Sir Nicholas Serota, direttore del Tate Museum di Londra, scrive in un testo ancora inedito che uscirà l’anno prossimo presso la casa editrice della Fondazione Interart Triade: «Paul Neagu ha scoperto un nuovo linguaggio nella scultura, con radici nella sua eredità romena, senza però rimanere circoscritto a questa eredità. Artisti di fama internazionale quali Anthony Gormley e Anish Kapoor hanno riconosciuto l’importanza di Neagu nella loro formazione artistica, sia in qualità di professore, sia come rappresentante di una tradizione europea in cui l’artista è un catalizzatore per la comprensione della società e delle relazioni interpersonali». Di lui così ha scritto Kapoor: «Era un professore autorevole con una visione globale. La sua chiarezza intellettuale era riconfortante in un’epoca in cui “fare” è diventato più importante di “pensare”». Lo stesso Paul Neagu affermava: «Per me la scultura non è un divertimento, ma piuttosto un modo per costruire una zattera con cui galleggiare nel mare di una realtà ingannevole. Per trovare la profondità (oppure la salvezza), devo articolare la forma e il simbolo sociale, la verità immaginativa e la tecnica del materiale, come se la vita stessa dipendesse da questo processo».

Il progetto comprende tre mostre a Timişoara e Cluj-Napoca, aperte al pubblico fino al 25 gennaio 2015: la mostra Paul Neagu. Obiecte regenerative (Paul Neagu. Oggetti rigenerativi) curata da Horea Avram, presso la Galleria Jecza di Timişoara, con opere delle collezioni Ovidiu Şandor, dr. Sorin Costina, famiglia Neagu; la mostra Muchii infinite. Colecţia Mircea Pinte (Margini infiniti. La collezione Mircea Pinte) curata da Simona Nastac, presso il Museo dell’Arte di Cluj-Napoca; la mostra Paul Neagu. Opera ca o hermeneutică vizuală (Paul Neagu. L’Opera quale ermeneutica visuale) curata da Ileana Pintilie, presso il Museo dell’Arte di Timişoara, con opere delle collezioni dr. Sorin Costina, il Museo dell’Arte Timişoara, famiglia Neagu. Ciascuna mostra è accompagnata da un catalogo che raccoglie le opere esposte.
Pubblichiamo, in traduzione italiana, il testo di presentazione del critico Ileana Pintilie e i cataloghi che accompagnano la mostra del Museo dell’Arte di Timişoara e quella del Museo dell’Arte di Cluj-Napoca.
Per gentile concessione della famiglia, pubblichiamo anche un video con lo scultore, in due momenti diversi: un «autodafé» e una performance.

Paul Neagu. Uno sguardo retrospettivo

Il decennio trascorso dalla scomparsa fisica di Paul Neagu rappresenta un intervallo abbastanza esteso per poter guardare a distanza di tempo la creazione di un artista che ha costruito la sua carriera tra l’Est e l’Ovest europeo, ovvero tra la patria dove si è formato e di cui ha assorbito la tradizione culturale, ed il mondo britannico, in cui si è evoluto per decenni.
Nato a Bucarest nel 1938 e formatosi all’Accademia di Belle Arti della capitale romena, Neagu può essere considerato senza dubbio una figura emblematica della neoavanguardia degli anni ’60-’70, figura diventata leggendaria per gli oggetti «tattili» i quali, nonostante la loro materialità, sono di natura concettuale. Le Scatole di Neagu, come le ha chiamate egli stesso, erano degli oggetti – né scultura, né pittura, ma una specie di mixed-media, in cui l’artista applicava il principio della composizione-decomposizione. Nonostante la loro fragilità, gli oggetti erano costruiti in modo sofisticato, con scuri che si chiudono e si aprono, nascondendo al loro interno la rappresentazione di una silhouette umana oppure materiale, che dava l’impressione di una preziosità ricercata.
Dalle forme di piccole dimensioni l’artista è poi arrivato agli oggetti grandi, fissati su supporti, alcuni addirittura a rotelle. Tutti questi oggetti contenevano elementi di sorpresa e avevano nomi ironici oppure provenienti da settori del tutto diversi dall’arte. Essi si chiamavano: Razionalizzatore di collasso e anticollasso, Collettore di prestigio, Funzionalizzatore non costruito ecc. Queste costruzioni sempre più complesse e soprattutto bizzarre erano l’espressione di un’ironia poco mascherata, spesso trasformata in derisione, specie nella serie di oggetti Collettore di meriti e medaglie, attraverso la quale l’artista si interrogava sulla modalità di assegnazione delle «medaglie di merito socialiste», ironizzando sul modo in cui il regime instaurava i propri valori, senza rilevanza per la società. Con questi oggetti, ad altezza d’uomo, ha organizzato nel 1968 un’azione sulle strade di Bucarest, arrivando perfino sulla carreggiata di un viale trafficato. Questa azione solitaria fu considerata la prima nello spazio pubblico della Romania di quegli anni.

Nella visione di Paul Neagu, gli oggetti da lui concepiti non si rivolgevano necessariamente alla visione, ritenuta superata o compromessa, a causa del conformismo dell’arte realista in generale, e soprattutto a causa del servilismo dell’arte ufficiale romena; essi dovevano far sviluppare, nel pubblico, il senso tattile, che andava esplorato come forma di percezione non ancora alterata. In questo senso egli ha elaborato anche un Manifesto dell’arte tattile, pubblicato prima in Romania, nel 1969, poi anche in emigrazione, in Gran Bretagna. Così, per Paul Neagu l’avvicinamento alla realtà circostante si è realizzato con due mezzi distinti, diametralmente opposti, che costituiscono due direzioni continuamente riscontrabili nella sua creazione successiva: da una parte per via razionale, attraverso il concetto (la sua forza analitica e di sintesi sono visibili soprattutto nei disegni del periodo 1968-1976), dall’altra parte per il rapportarsi alla sensorialità (attraverso i sensi, soprattutto quello tattile, considerato anteriore alla vista), che riteneva, come testimoniava in un testo, appartenesse ad una cultura pragmatica, primaria, ereditata da suo padre.
Il disegno è diventato per lui un mezzo fedele tramite il quale ha continuato la sua ricerca di tipo analitico. Se le «scatole» sono state prima oggetti, esse sono poi diventate dei lavori grafici, come se si tentasse di realizzare una sistematizzazione delle forme oggettuali, scaturite dall’immaginazione e dall’intuizione. Da questi disegni sono inoltre nati altri concetti artistici. L’idea di scomposizione, di frammentazione degli oggetti ha portato alla segmentazione delle forme in piccole unità, associate alle cellule dei corpi viventi. Questo modello primario di strutturare le forme, e soprattutto il corpo umano, è rimasto nell’attenzione dell’artista per diversi anni.

Così, parallelamente a queste «scatole» palpabili, l’artista ha sviluppato un sistema concettuale basato su un’interpretazione filosofica del mondo in cui, in posizione centrale, c’era la figura umana. Nella sua visione, il corpo umano era scomposto in elementi componenti dalla dimensione delle «cellule», divisioni strutturali propri dell’artista e destinate a evidenziare i tragitti-reti di energia. In un disegno del 1971 l’artista proponeva uno schema di materiali che si compenetravano dal punto di vista «concettuale ed organico» allo stesso tempo, definendo tattilmente l’«architettura» dell’Antropocosmo. In rapporto al corpo umano, egli sviluppa un sistema gerarchico amplificato dall’uno al multiplo, dall’individuale al collettivo, dal microcosmo al macrocosmo, avendo come punto di riferimento l’universo umano e in cui esiste una comunicazione verticale tra i diversi livelli. Questa visione gli fu ispirata dalla teoria della gerarchia del filoso e logico Naom Chomsky; nella sua concezione, Neagu metteva alla base di questa costruzione simbolica l’individuo e, a un livello superiore, la società, vista come una rete di inter-relazioni tra individui e, alla fine, immaginava una forza cosmica di natura spirituale che unificava i livelli inferiori in un «tornado», destinato a inghiottire in un solo vortice tutto ciò che gli si apriva dinanzi. 
Le sue azioni The Cack Man, Blind Bite, Horizontal Rain, Ramp e Going Tornado hanno avuto il ruolo di mediare l’intesa arida di alcuni concetti filosofici da parte del grande pubblico non specializzato. Neagu ha messo in atto queste azioni, nel periodo 1970-1976, in vari spazi di molte gallerie e musei britannici, nel tentativo di provocare il pubblico a capire intuitivamente e poi intellettualmente le sue idee. Queste azioni con il pubblico sono solo una parte della sua opera degli anni ’70, molto produttiva e creativa, essendo una forma di manifestazione che deve essere guardata nel contesto generale della sua attività.

La costruzione concettuale dell’opera di Paul Neagu ha acquisito una profondità e un significato maggiore nel momento in cui ha cominciato a fare connessioni tra le diverse idee ed elementi già enunciati. Ha costruito gradualmente un intero sistema di ordinazione mentale con cui associava le forme geometriche semplici – triangolo, rettangolo e cerchio, poi il cono, la piramide, la sfera e finalmente la spirale – ai vari livelli – individuale, sociale e cosmico. Con questo sistema, Neagu è arrivato a correlare tutte le sue creazioni visuali – disegni, pitture, oggetti, installazioni e performance – in un insieme unitario e coerente da lui denominato arte generativa. Anche questo termine è stato prestato dalle teorie applicate alla linguistica da Chomsky.
Nel periodo 1973-74, attraverso esplorazioni formali, è arrivato ad un’installazione composta di una serie di «ripiani» (shelf), apparentemente supporti per alcuni lavori. I rapporti geometrici austeri tra verticale, orizzontale e obliquo, quali elementi di supporto, lo hanno portato – come egli stesso ha testimoniato – ad un oggetto-scultura che riassume le sue ricerche degli anni ’70, chiamato Hyphen. Inizialmente questo oggetto-scultura sembrava avere un ruolo funzionale, ma la sua evoluzione è stata veloce ed è diventato una sorta di piattaforma sulla quale sono poggiati diversi oggetti con particolare significato nel contesto delle sue azioni svolte nella maggior parte attorno a questo oggetto centrale nella sua creazione.
L’evoluzione formale del suo Hyphen ha avuto un carattere aperto e sperimentale; Neagu ha utilizzato all’inizio più materiali organici, soprattutto il legno, ma anche spago, diversi altri materiali tessili, cuoio, filo di ferro, rami di albero, tutti adattati alla forma sculturale. La spontaneità e la scaltrezza con cui li adatta alle sue idee dimostrano un’evidente propensione verso l’organico e uno spirito vernacolare che arriva da queste prime sculture di tipo Hyphen. Da questo oggetto sculturale che considerava «generatore» di forza artistica vitale è nato, nell’arco di alcuni anni, un intero sistema di oggetti che rivendicavano sempre di più lo spazio. In altre parole, dalle forme aperte, create secondo concetti continuamente migliorati, Paul Neagu arriva ad una serie di sculture strettamente legate tra esse. Questa famiglia di forme è arrivata a nove sculture derivanti l’una dall’altra: Hyphen, Double Hyphen, Open Monolith, Fish, Starhead, Wake, Fish Over Gate, A-Cross, Edge Runner.
La filiazione morfologica, che segna un’evoluzione in una successione visibile, ha portato a un nuovo concetto artistico, quello del catalitico, inteso come caratteristica di questi oggetti-sculture di accelerare la metamorfosi dello spazio e di generare e propagare una reazione di comprensione da parte degli spettatori. Come ha spiegato lo stesso Paul Neagu, le nove stazioni catalitiche non sono simboli, ma segni, e ciascuno contiene energie multiple. Questo insieme di lavori conferisce un compimento e un significato ancor più profondo alla sua opera di tipo occidentale, perfettamente inserita nello spazio artistico europeo.

Ileana Pintilie
Traduzione di Afrodita Carmen Cionchin



Qui sotto i cataloghi delle mostre del Museo dell’Arte di Timişoara e di Cluj-Napoca.
I testi integrali si possono visualizzare cliccando sull’immagine delle copertine.


Catalogo del Museo dell’Arte di Timişoara Catalogo del Museo dell’Arte di Cluj-Napoca



Di seguito, un video con lo scultore Paul Neagu in due momenti diversi: nel 2003, nella corte della sua casa-atelier in Romania (Valea lui Enache, Argeș), un «autodafé» di alcuni lavori dell’inizio («27 PERSONAGII» del 1968 e altri); nel 2001, a Londra, nella corte di casa sua, lo scultore «rifa» momenti della performence GOING TORNADO di 20-25 anni prima. Il video si può visualizzare cliccando sull’immagine sottostante.











(n. 12, dicembre 2014, anno IV)